Missioni del Fato

La vostra storia, il vostro destino!

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    Dopo mesi chiedo scusa e finalmente sono pronto a postare la prima parte della missione del fato.


    Sette volte Sette


    Il giorno sembrava non passare più, oramai erano ore che su quella lastra di marmo non prendevo più pace. Avevo ucciso un mio pronipote e avevo scoperto la verità sulla mia stirpe.

    Nella mia vita da umano avevo così amato i raggi solari mattutini, ed ora erano l’incubo di noi creature delle tenebre, mi sembrava impossibile rimanere ad aspettare il tramonto, segnale per gli umani di tornare dai campi, di interrompere il lavoro: il giorno è finito, bisogna tornare a casa.

    Ore passate nel nervosismo e nella confusione.
    Dovevo scoprire di più, dovevo sapere qualcosa... Possibile che il mio incontro con le mie origini fosse avvenuto già ad Uschteneim?

    Se fosse stato così non me ne sarei stupito, il dolore è ancora molto forte...e se in passato mi avesse procurato un’amnesia non ci sarebbe stato nulla di anomalo.

    Spero solo che la cosa non si ripeta. Ero riuscito a prendere un po’ di sonno dopo ore.

    Le immagini che vidi nei miei incubi erano sfocate, il fuoco della fortezza di Meridian, la mia figura che veniva torturata da strani demoni, un mantello che si alzava dopo una forte raffica di vento, una vampata e poi un urlo di dolore.

    Mi svegliai di soprassalto con la testa che mi girava.

    Qualche minuto dopo una figura si palesò sulla soglia ed entrò nel mio alloggio, mi inchinai al Signore del Conflitto.

    Un altro Seven a quanto pare era comparso ad Uschteneim.
    Ero perplesso a riguardo, come faceva a saperlo? Era ovvio che avesse informatori ovunque, ma era strano, poi a pochi giorni di distanza da quella strage... e poi in quel momento così duro per me.

    Se era vero, doveva essere un mio discendente, dovevo recarmi nella mia città.
    Dopo essere tornato anni fa alla Cattedrale, non avevo messo più piede nel posto che mi aveva visto crescere.

    Era la settima missione che svolgevo per il Senzacuore, il mio cognome, i sette Sarafan, tutto coincideva, la numerologia giocava con la ruota e con il mio destino.

    Scesi le scale che portavano all’atrio principale dopo aver preso il mio mantello porpora, mentre la fodera della Claymore urtava contro la mia schiena ad ogni passo.

    Avevo abbandonato l’Artiglio di Enoch dopo lo scontro con Lord Seven, ero troppo stordito e confuso in quel momento e lo lasciai conficcato nel corpo di quel maledetto Cenobita che portava dentro di se il mio stesso sangue.

    Kainh grazie a quell’amuleto che ero riuscito a prendere in quel sotterraneo forgiò un’arma così maestosa e potente che avrebbe rimpiazzato la mia vecchia lama in maniera efficace.

    Indossai il cappuccio e mi recai all’uscita della Cattedrale, il vento soffiava forte mentre il cielo diventava scuro come la pece... a quell’oscurità si unì un boato in lontananza, cominciava a piovere, potevo resistere per un bel po’ grazie all’armatura e al mantello ma avrei dovuto cercare un riparo, altrimenti quelle piccole gocce avrebbero avuto su di me lo stesso effetto di una lapidazione.

    Uno stormo di pipistrelli neri attraversò le montagne di Nosgoth raggiungendo il cancello di entrata al villaggio della superstizione e dell’inganno.

    I tetti innevati mi sorridevano maliziosi, mentre la foschia si faceva largo tra i picchi delle montagne con fare arrogante.

    Uschteneim. Finalmente.

    Un enorme stato di abbandono si presentava davanti a me all’entrata del villaggio.
    Le mura di ingresso avevano delle crepe vistose, alcune passerelle erano crollate, la torretta di sorveglianza distrutta, sembrava fosse stata fatta a brandelli dalle intemperie.

    Eppure era presente una piccola guarnigione Sarafan, lo stendardo per quanto rovinato era ancora affisso, ma non vi era nessuno in quel momento. Non ero qui per loro, ma se mi avessero ostacolato non mi sarei fatto problemi ad affrontarli.

    Il cancello di ingresso era spalancato, non temevano nulla...ma a pensarci... l’unica cosa che dovesse temere Uschteneim in quest’epoca era la propria popolazione.

    L’ignoranza e i pregiudizi viaggiavano di pari passo con la superstizione.
    Da secoli.

    I miei passi si fecero largo tra le persone che nonostante fosse già sera affollavano le vie del paese.

    Gli abitanti mi guardavano quasi con disprezzo chiedendosi chi io fossi e parlottando tra di loro, mentre il lanternaro avvolto in un poncho e con il viso coperto da un cappello a tesa larga si ritirava dopo aver acceso con la sua fiammella le luci del villaggio.

    Alla fine Uschteneim era stata davvero una bella città, in quel periodo lontano della mia vita.
    Un polo commerciale. Finché non fu distrutta per la terza volta dai mercenari Sarafan.
    Le cose a quel punto cambiarono.