Missioni del Fato

La vostra storia, il vostro destino!

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    La Stanza dei Ricordi - Viaggio verso la Prigione Eterna


    Parte Seconda


    CITAZIONE
    Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso di unguenti. Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le bestie più superbe.» (Giobbe 41)


    Il senzacuore venne sbalzato dal suo posto mentre la nave scivolava sempre più verso il basso, bagnandosi il muso decisamente più del normale.
    Per sua fortuna i riflessi gli avevano consentito di aggrapparsi al parapetto della nave, e per sua sfortuna vide il suo compagno di battaglia perdere i sensi sbattendo contro l’albero maestro.
    Gridò alla ciurma di portarlo sottocoperta, così al sicuro dalle onde tempestose del mare.
    “Ai cannoni” urlò poi Kainh anche se non aveva il comando della nave, e anche consapevole che i colpi di cannone non avrebbero fatto un gran danno a quel gigantesco leviatano che si ritrovavano a fronteggiare.
    Se non altro, il senzacuore aveva la fortuna di poter resistere all’acqua, cosa che in quel frangente era fondamentale per non arrendersi subito e del tutto a quella creatura, che mai aveva visto nella sua vita ed oltre.
    Sguainò dal fodero che portava sulla schiena, Frost sword, eterna compagna di battaglia, che già sentiva la rabbia del suo padrone e fremeva, scricchiolando nelle sue mani, poi fece un enorme salto e atterrò infine sulla coffa della nave.
    Ma come fare a fronteggiare una creatura di quella grandezza, che portava una pelle corazzata spessa come l’acciaio e grossa quanto una costruzione strisciante?
    “Fuoco” disse il capitano, mentre la nave passava di lato all’enorme corpo del leviatano, scalfendo appena la sua pelle dura come l’acciaio.
    Il senzacuore fu all’altezza del muso quando ricevette i colpi, ed ebbe la sfortuna di ricevere in faccia l’urlo di frustrazione della creatura, nonché la rivoltante salivazione dell’essere.
    Con le fauci e la bocca completamente spalancata, Kainh poté vedere un grosso buco in cui sperava di non finire.
    Tentò subito di tranciare di netto le zanne serpentini del leviatano, ma si rese conto che erano molto resistenti anche quelle, per cui senza pensarci troppo balzò dietro alla testa e sul corpo per poi tentare di affondare Frost nella sua carne e come immaginava non era un’impresa molto facile.
    In men che non si dica il leviatano si girò puntando l’Epico, che rischiò quasi di rimanere intrappolato nelle sue spire che riaffioravano fuori dall’acqua.
    Trasformandosi in nebbia lo oltrepassò e cadde nel vuoto.

    In sottocoperta Gryxis non poté sentire il tonfo del senzacuore che ruzzolava rovinosamente sul ponte della nave, in compenso Kainh stesso fu per un attimo dolorante per la caduta rimettendosi in piedi.
    Doveva uccidere quella cosa il più presto possibile o il loro trasporto verso la prigione eterna rischiava di colare a picco.
    E addio sogni di gloria
    E addio nave.
    E probabilmente addio Phobos.
    SI guardò attorno e vide che il leviatano sparì momentaneamente dalla sua visuale, visto che in mezzo alla tempesta che comunque imperversava sul mare cui transitavano era difficile vedere bene.
    Vento, pioggia e saette impregnavano il cielo tempestoso, e il leviatano parve abile a sfruttare queste condizioni per facilitare il suo compito di distruzione.
    Che poi, si chiedeva Kainh, perché doveva necessariamente attaccare una nave senza motivo?
    I disegni di quel mondo erano davvero stupidi e misteriosi, pensava.
    “Capitano, i colpi riescono a raggiungere le carni del nemico?” chiese il vampiro
    Egli scosse la testa sconsolato.
    “Allora concentriamo tutto l’equipaggio sulle manovre della nave, non deve colare a picco, mai. E’ troppo importante, ogni nostra vita è importante”
    Quando la testa della creatura riaffiorò, Kainh era pronto a balzarci nuovamente sopra, dove avrebbe dovuto inventarsi qualcosa di efficace, poi si rese conto che doveva fare i conti anche con Madre Natura.

    Nel frastuono delle onde che si infrangevano contro lo scafo della nave, si poté improvvisamente udire la campana della nave
    “Onda a tribordoo!”
    E quindi Kainh girò il suo capo verso sinistra, vedendo che una grande onda anomala stava avanzando minacciosamente verso di loro.
    Il Leviatano sparì sotto i flutti blu scuro di quel marasma in tempesta e il capitano della nave era sull’orlo di una crisi di nervi, dal momento che la giornata non era andata secondo i suoi piani.
    “Virate, virate! Affrontiamola di prua!”
    L’equipaggio fu lucido da eseguire, in quel caos naturale, le manovre in modo corretto e tempestivo.
    “Al riparo, presto!”
    Il vampiro non se lo fece ripetere due volte e si mise vicino alla porta che conduceva alla cabina del capitano, aggrappandosi saldamente, poi in un attimo poté sentire la grande forza, l’impeto naturale di quella natura che si agitava nel mare, scrosciando e infrangendosi in sé stessa, portando con sé qualunque cosa sfortunata che non si poteva mettere in salvo.
    Per quanto possibile, visto che la tempesta era tutto tranne che finita, la nave ritornò in quadro senza subire danni, raddrizzandosi.
    “Ce la siamo vista brutta” disse il capitano
    “Non ancora” disse il senzacuore facendo un cenno laterale con la testa verso l’enorme serpente che stava riemergendo dagli abissi “abbiamo ancora un piccolo dettaglio da sistemare”

    Per nulla affaticato, il mostro marino avanzava verso la nave, famelico, con le sue spire, squame e innumerevoli spuntoni artigliati che facevano da armatura per la sua pelle.
    Più lo guardava, più Kainh ne provava ribrezzo; eppure se volevano salvarsi la loro di pelle, doveva elaborare un piano, e in fretta.
    Frost, la sua lama fidata, lo avrebbe di certo aiutato in quel duro compito, e per quanti piani potesse elaborare, l’improvvisazione di quella spada era sempre il meglio che veniva.
    Balzò di nuovo sulla coffa della nave, sperando che le onde non l’avessero spostata di quel tanto che gli bastava per atterrare; tempo di arrivare in cima all’albero maestro e il suo nuovo amico lo stava già aspettando, con il ripugnante muso a dirgli “benvenuto”, o meglio “bentornato”.
    Per niente in vena di nuove “amicizie”, l’epico vampiro della Cattedrale menò qualche fendente verso il capo del leviatano, alzando nel frattempo il suo scudo magico, aspettandosi di certo qualche attacco dal suo nemico marino :repel:
    Un minimo di idea ce l’aveva, Kainh. Non era uno sprovveduto. Avrebbe fatto come tutte le altre volte nella sua passata non-vita al servizio dei Vampiri e dell’Alleanza, ovvero guidare lo spirito gelido di Frost, ora rinnovato, verso la morte dei suoi nemici, minuscoli o giganteschi che fossero stati.
    Tentò, come prima di staccare le fauci di quel serpente, che se non altro gli avrebbero dato un pericolo in meno, ma l’ambiente di combattimento era davvero ristretto; la coffa non era un granché come spazio.
    Saltò quindi sulla testa del leviatano e senza pensarci troppo conficcò nell’occhio della bestia la sua spada, girando la lama ulteriormente, e come prevedibile, la bestia cominciò a dimenarsi terribilmente, tanto che Kainh dovette aggrapparsi ad una delle sue squame artigliate per non ricadere nel mare tempestoso.
    Era viscido, la presa stava per scappargli, così tentò di balzare nuovamente sulla coffa, ma ruzzolò invece su una delle poche vele spiegate e aggrappandosi disperatamente poi rovinò sul ponte.
    Poteva vedere la creatura degli abissi continuare a dimenarsi e ruggire, così recuperò le forze e di nuovo saltò sulla sommità dell’albero maestro, dove ebbe una visione che lo sorprese non poco.
    Vedeva un brigantino, nella media distanza, che forse li aveva seguiti sin dall’inizio.
    Incredulo e dubbioso sul fatto che venissero inseguiti, tentò di scorgere meglio le vele e riconobbe le insegne del Sacro Ordine dei Serafan.
    I Serafan, lì, in quel momento.
    In mezzo al mare, in mezzo alla tempesta, fra loro e un leviatano che stava per riprendersi e tornare alla carica.
    “Senzacuore, nave in avvicinamento!”
    Kainh balzò giù per parlare velocemente all’uomo, dal momento che a breve il mostro sarebbe tornato all’attacco.
    “Ho visto capitano”
    “Prepariamo i cannoni, presto!”
    All’epico venne forse un’idea : sconfiggere un leviatano era di certo una cosa molto difficile. Forse con il Cavaliere dell’Incubo avrebbe avuto qualche chance di riuscita, ma da solo non poteva di certo competere.
    Con quello nuovo scenario poteva forse cambiare i suoi piani.
    “No, non attacchiamo, le condizioni sono avverse” disse il senzacuore “piuttosto cerchiamo di andare via da qui, via dalla tempesta”
    “Ma ci attaccheranno, e anche il mostro... non capisco”
    “Al mostro ci penso io” disse balzando ancora una volta sulla coffa.
    I fulmini saettavano nel cielo in tempesta, ma Kainh pensava di riunirli per dare una sonora pedata al leviatano; non gli interessava del tutto sconfiggerlo, anzi forse era persino peggio, secondo quello che aveva pensato.
    Riunì i poteri elementali del fulmine e cercò di concentrare le sue forze sul mostro che stava per attaccarlo, infine scagliò un enorme fascio di fulmini, che partirono dal cielo stesso e andarono ad infrangersi sulla corazza del mostro, nonché sul suo capo.
    Il mostro ruggì di dolore e frustrazione, ma per poco, perché cadde stordito nel mare, sprofondando per un po’ di metri.
    Sceso sul ponte urlò:
    “A tutta birra capitano, andiamo via di qui, via, via, via!!”
    “E come la mettiamo coi Serafan?”
    “Dovranno vedersela col leviatano, quando si risveglierà tra un po’, visto che sono stati così stupidi da seguirci sino a questo punto”
    Stanco, di fisico e di mente, andò sotto coperta a bere un po’ di quel nettare rosso che tanto piaceva ai Vampiri.
    “Quando ti svegli, amico mio, ti racconterò di tutto questo”
    Quasi come in colpa con sé stesso e forse, con qualche accenno di vergogna dentro al suo onore di cavaliere esorcizzò i suoi pensieri
    “Eh, amico, non sempre la fuga è un male, la vita è più importante del combattere, a volte. Oggi doveva andare così”
    Sempre sperando che fossero usciti dalla tempesta indenni e senza alcun inseguitore gigante e dall’aspetto serpentino.


    In lontananza Il tuono rombava ed i lampi balenavano.
    Scendeva una pioggia finissima e le nubi non restavano mai immobili.
    Il mare appariva stanco: grandi onde si sollevavano a fatica e crollavano, quasi con sollievo, ululando mentre s’infrangevano sulle rocce aguzze.

    Il corpo di Phobos era disteso sulla branda allestita appositamente per lui, ma né la sua coscienza, né quella di Gryxis erano tornate.
    Tuttavia percepiva ciò che lo circondava, come un sogno o una memoria lontana offuscata dal tempo.
    Udì qualcosa, qualcosa che non era il cupo e monotono mormorio del mare: uno scricchiolio regolare. Attese. Lo scricchiolio si fece udire di nuovo, ma vi si aggiunsero altri suoni: un clangore, dei passi sul legno, forse una voce.
    Gli parve di riconoscerla, come se fosse familiare e che gli narrava qualcosa, ma non ne afferrava il senso. Tentò di parlare, ma non ne fu in grado.
    Dei colpi secchi sul legno ed un’altra voce attirarono l’attenzione dell’uomo, che si alzò muovendo dei passi in direzione di essa. Ci fu una pausa, poi ripresero. Un lieve cigolio e la stessa voce di prima riferì un messaggio:
    “Il capitano manda a dire che siamo in vista della vostra destinazione, ma che non attraccherà alla costa: i marinai sono provati dai recenti avvenimenti e non vogliono andare oltre. Quando il vostro compagno sarà in grado, sarà calata una scialuppa e con essa raggiungerete l’isola.”
    Phobos non capiva nulla, né dell’isola di cui parlavano, né di perché fossero in mare...si ripeté si trattava di un sogno, convincendosene, e lentamente si allontanò da quella realtà, scivolando nella totale incoscienza.

    Gryxis si ridestò il giorno dopo ascoltando sommariamente e malvolentieri i ragguagli dell’Epico, arrivando a minacciare che avrebbe sgozzato i marinai per rifocillarsi se non gli fosse stato dato del sangue. KainH non poté non notare come l’odio per i vampiri, almeno in quella situazione, era stato sconfitto dall’istinto di sopravvivenza.

    Una volta saziatosi, l’Epico gli ribadì la modalità con cui sarebbe avvenuto l’ultimo tratto del loro viaggio, suscitando le proteste e le contestazioni dell’alter-ego del Cavaliere verso l’arbitraria decisione imposta dal capitano.
    Non essendo a sua volta entusiasta dalla prospettiva di dover governare la scialuppa in mare, anche se per una breve distanza, ma comprendendo i motivi di quell’imposizione, troncò con uno sguardo le lamentele del suo compagno di viaggio evitando che le cose degenerassero compromettendo una valida alleanza per la Cattedrale.
    Gryxis con fare indignato si calò subito, usando una traballante scala di corda, sulla scialuppa, non senza mostrare timori verso il mortale liquido sottostante.
    KainH, dopo aver salutato e ringraziato il capitano, venendo a sua volta ringraziato per averli salvati dal mostro marino, cosa che però suscitò qualche mugugno da parte di quelli tra l’equipaggio che ritenevano i due vampiri responsabili, indirettamente o meno, per quello sfortunato incontro, raggiunse il Cavaliere.

    La linea della costa era indistinta.
    Avanzarono a guado nell’acqua schiumosa e nella nebbia lattea. La spada del Senza Cuore era la loro unica arma, perciò entrambi prestavano la massima attenzione ad ogni rumore o movimento.
    Presto la sabbia si fece più compatta e poi cedette il posto alla roccia. KainH continuò ad avanzare, guardingo, pronto ad attaccare chiunque si fosse mostrato ostile nei loro riguardi. Ma la nebbia si stava diradando, come se non potesse far presa sulla terraferma, senza che ci fosse traccia di difensori.


    Arrivati alla Prigione trovarono le spesse ante del portone, come era facilmente prevedibile, chiuse per tenere lontano ospiti indesiderati.
    Costretti a trovare un’altra via per entrare, esaminarono il perimetro tenendosi ben nascosti per non farsi notare, fin quando finalmente non trovarono una finestra con la grata parzialmente divelta.
    Per consentire al Cavaliere di poter entrare, l’Epico si arrampicò fino all’inferriata e, in equilibrio precario sulla sottile lastra di pietra su cui il ferro poggiava, diede due secchi strattoni.
    Il telaio cedendo, seguì il movimento brusco verso il vuoto compiuto dalle braccia del vampiro che istintivamente mollò la presa per non venire trascinato dal peso verso il basso. La grata cozzò diverse volte contro, producendo un suono vibrante, contro la ripida parete di rocca per poi terminare la propria corsa con un sonoro tuffo in mare.
    Gryxis si appiattì contro la parete. KainH lo raggiunse in pochi istanti e lo imitò, portando tuttavia la mano sull’elsa della spada, pronto ad ogni evenienza.
    Quando ormai sicuri che nessuno sarebbe giunto a controllare, l’Epico si arrampicò nuovamente e tese un braccio a Gryxis per aiutarlo, il quale, seppur riluttante, dovette riconoscere la propria attuale debolezza fisica ed accettare l’aiuto.
    Una volta all’interno si guardarono intorno: sarebbe stata un’impresa titanica trovare la stanza specifica tra quelle spire contorte di corridoi tutti uguali...dovevano trovare un altro modo.
    KainH, riluttante, si avvicinò a Gryxis che, non sapendone il motivo, si allontanò di qualche passo, l’Epico si avvicinò nuovamente tendendo il braccio con in mano una fiaschetta di sangue.
    Il Cavaliere la trangugiò avidamente dopo aver superato l’iniziale titubanza.
    “Questo sangue era puro, senza altri intrugli, le altre volte ti venivano somministrate sostanze per permetterci di controllarti ottenebrando tutti i doni del vampirismo” - fece una pausa notando che Gryxis si stava irritando, per poi ignorarlo e proseguire - “Potrai facilmente capirne i motivi, quindi non perdiamo tempo e studiamo una linea di azione.”
    Le parole di KainH risuonarono ferme ed autoritarie come si confà ad un leader, e Gryxis non poté far altro che calmarsi ed ascoltare.


    Il vampiro iniziò a vagare per i corridoio dell’edificio.
    Erano vuoti e spogli, a parte qualche ragnatela, tanto grande da esser degna di un tendaggio, e vari strati di polvere.
    Man mano che vi ci si addentrava, però, divenivano più animati, popolati dai pazienti del luogo. Ognuno di essi si muoveva con fare barcollante in una direzione casuale, qualche volta finendo per sbattere contro altri, come se non facessero caso della presenza gli uni degli altri. Solo in quel momento la marcia silente e caotica diveniva più vivace: un lento gemito si alzava tra tutti i presenti, per cessare quasi subito. I due che avevano dato inizio a quel susseguirsi di reazioni, si limitavano a cambiare direzione o a proseguire non trovando più l’eventuale ostacolo e così, come le increspature prodotte dal lancio di un sasso in un lago terminavano col graduale infrangersi sulla riva, così quel rapido momento, un tenue barlume di testimonianza di vita, cessava.
    Uno di quei individui passò accanto a Gryxis che così riuscì a capire come mai di quel comportamento: avevano gli occhi cuciti, chissà in seguito a quale barbara credenza e ‘rituale’ da parte dei guardiani.
    Iniziò a rimuginare e a ribollire di una rabbia incontrollata verso coloro che avevano perpetrato simili atti.
    Osservò quei relitti umani e in un istante decise cosa fare: si avvicinò a loro e provò ad invocare Inspire Hate. Dopo i tentativi a vuoto nei primi giorni in cella, non aveva più tentato, figurarsi da quando avevano iniziato il viaggio: ben capiva che KainH non volesse rischiare qualche inutile tentativo di fuga o che compisse qualche carneficina immotivata...
    Tuttavia ora si era fidato di lui infatti il Dono iniziava a fare effetto. Certo, non sarebbe potuto andare lontano senza l’Epico, ma avrebbe sempre potuto tradirlo e farli scoprire come un ultimo atto di vendetta. Un sentimento misto di sorpresa, irritazione e curiosità animava ora Gryxis: voleva risposte.
    Intanto il Dono Oscuro aveva fatto breccia nelle menti di quei relitti.
    Un basso suono, come di un animale che soffia, iniziò a riecheggiare nella volta del corridoio. Tutti muovevano a casaccio gli arti come a colpire un nemico fatto d’aria, poi casualmente qualche colpo andò a segno. Gemiti di dolore e paura si levarono a coprire i precedenti.
    Quando fu sicuro che quel trambusto fosse tale da richiamare l’attenzione di qualche guardiano, si spogliò dei vestiti che i marinai gli avevano prestato per affrontare il viaggio, lì nascose in una cella vuota, rimanendo con gli stracci con cui era stato imprigionato alla Cattedrale. Anche l’aspetto, seppur non essendo nelle stesse condizioni degli altri, gli conferivano il giusto camuffamento.
    Iniziò a vagare tra quel marasma, cercando di confondersi fra loro, confidando che nella confusione non sarebbe stato subito notato, dando così il tempo a KainH di trovare la Camera.
    Colpì qualcuno e venne colpito a sua volta...e con una forza che non si aspettava.
    Ben presto le sue speranze trovarono risposta: due Guardiani si materializzarono attraversando le pareti.
    Mentre i due nuovi arrivati erano intenti a sedare la ‘rivolta’ colpendo violentemente i malcapitati con sadico piacere, si acquattò tra i litiganti aggirandoli, raggiungendo il corridoio lungo il quale in precedenza si era allontanato KainH.

    Sul lato destro si affacciavano sul corridoio alcune celle i cui cancelli, logorati dal tempo, avevano ceduto. Alcuni erano completamente divelti al suolo, altri invece si reggevano inclinati su un solo cardine.
    Gryxis non capiva come quel luogo fuori dal tempo potesse trovarsi in un tale stato di degrado, ma non si soffermò molto sul quesito, concentrandosi invece sul trovare l’Epico.
    Quando finalmente lo raggiunse e la fiamma della rivolta era ormai spenta, gli chiese rapidamente se la fortuna gli avesse arriso, ricevendo però il suo diniego.

    Avanzarono cauti tra quella lenta processione cercando di non disturbarli, guardandosi bene attorno e studiando ogni corridoio. Ma la ricerca sembrava vana.
    Girarono un angolo nell’esatto momento in cui due guardiani si materializzavano: acquattandosi sulle gambe, si nascosero nel gruppo.
    I due passavano in rassegna i prigionieri, strattonandoli ed osservandone i volti: li stavano cercando.
    KainH non perdeva d’occhio i due, ed aveva già fatto scorrere Frost diversi centimetri fuori dal fodero, pronto ormai all’inevitabile scontro. Gryxis studiò le varie inferriate, notando una sbarra, lunga qualche decina di centimetri, corrosa e piegata su se stessa: probabilmente al minimo sforzo si sarebbe spezzata, decise così di provare a raggiungerla.
    Sfruttando il moto ondeggiante degli uomini si avvicinò alla parete e, prestando la dovuta attenzione ai due guardiani, proseguì fino al cancello divellendo la piccola asta.
    L’operazione tuttavia non risultò facile come se l’era immaginata: fu costretto, infatti, a strattonare bruscamente la sbarra causando l’oscillazione dell’intero cancello. L’arma di fortuna gli sfuggì di mano, finendo con il rimbalzare sonoramente sulla nuda pietra del pavimento.
    L’attenzione di uno dei guardiani venne richiamata dal rumore. Con prontezza e senza perdersi d’animo, spinse bruscamente uno di quei derelitti mandandolo a sbattere su un altro.
    Il diversivo parve funzionare, così, approfittando della momentanea distrazione del guardiano, si riacquattò spostandosi verso l’Epico che, richiamato anch’egli dal rumore, si ricordò di avere qualcosa per il suo compagno: fece scivolare un fagotto verso il Cavaliere.
    Gryxis saldò la stretta sull’elsa di Mammon, sia per infondersi coraggio che per stizza visto la situazione totalmente sfavorevole: seppure ora grazie a KainH era armato, ben poco poteva fare non essendo ancora al massimo...anche se non poteva essere comunque sicuro che trovarsi in condizioni ottimali avrebbe significato alcun cambiamento.
    Per un istante guardò l’Epico sperando che avendolo trascinato lì avesse un qualche asso nella manica, ma si morse subito il labbro vergognandosi per quel pensiero: non avrebbe atteso a guardare, seppur con poche speranze avrebbe combattuto per la sua vita. Strisciò allontanandosi da KainH, si alzò in piedi ed allargando le braccia attirò l’attenzione su di sé: “È me che cercate!”
    Sapeva che uno contro uno era già impossibile, figurarsi contro due...ma sperava in quel modo di dare al suo compagno il tempo di un attacco a sorpresa su quello più lontano.
    I due guardiani avanzarono lenti, come se non avessero la minima fretta, e sicuri della sorte che attendeva la loro preda si cimentavano in un sadico gioco. Come il Cavaliere sperava, l’intervento dell’Epico non si fece attendere, così come non aveva sbagliato a prevedere che non se lo sarebbero aspettati.
    Sfortunatamente però, KainH, seppur riuscendo a mandare a segno il colpo, due prigionieri, nel loro ciondolare senza meta, si frapposero nella traiettoria del colpo dovendolo leggermente deviarlo, inflisse solo una piccola ferita al guardiano.

    Il fallimento dell’attacco a sorpresa provocò l’ira dei due esseri: il primo si avvicinò al Cavaliere, piantandogli addosso gli occhi spettrali, mentre l’altro con un movimenti talmente rapidi da non essere quasi percepibile, riuscì a schivare agevolmente un ulteriore colpo dell’Epico.
    Gryxis non poteva allontanarsi troppo, ma al tempo stesso era conscio che il massimo che potesse fare era guadagnare tempo: cercò di mettere sempre un prigioniero tra sé ed il guardiano, ma questi, dapprima si limitò a scansarli, per poi iniziare ad ucciderli, senza pietà ed esitazione, con l’affilata lama della propria falce, come a voler mandare un chiaro segnale al vampiro.
    KainH seguiva con la coda dell’occhio il suo compagno, pronto eventualmente ad intervenire in suo soccorso. Di fronte alla sadica crudeltà dell’essere un moto di rabbia gli divampò nell’animo. Frost, percependo le emozioni del suo possessore, iniziò a vibrare sprigionando ondate fredde.
    Il Cavaliere, seppur incuriosito, non poté osservare il combattimento dell’Epico. Incalzando dai colpi del guardiano che, nonostante si impegnasse, non riusciva a parare del tutto.
    Martoriato dalla selva di colpi, percepì la fine dello scontro dell’Epico: con un tonfo sordo il corpo senza vita del guardiano cadde al suolo per poi dissolversi lentamente...evidentemente con la fida spada ed i propri Doni Oscuri era riuscito ad avere la meglio.
    Dopo qualche istante per riprendersi e prima che il guardiano si riavventasse su Gryxis, KainH gli si stava gettando contro con la spada alzata pronto a calare un colpo violento.
    L’intero corridoio vibrò di energia arcana e tutto si fermò come in stasi: “FERMI!” - tuonò una voce spettrale che proveniva da ogni direzione e da nessuna allo stesso tempo.
    Mentre i due vampiri ed il guardiano rimasto abbassavano le armi, come ad obbedire inconsciamente a quell’ordine che non lasciava spazio a dissensi, piccole fiammelle eteree iniziavano a fluttuare per tutto l’ambiente.
    “Già il vostro Sire è venuto in questi luoghi disturbandone la quiete...” - attese come a voler sfidare i due immortali a controbattere, ma questi non caddero nella provocazione - “...ponete fine a questo scempio e a questo inutile spargimenti di essenza...so perché siete qui e vi consentirò il passaggio...fate in fretta ciò per cui siete venuti ed andatevene senza far più ritorno.”
    Terminato quel monito la voce scemò, per poi scomparire del tutto come un eco lontano. Le fiammelle arsero con violenza avvolgendo tutto senza però bruciare, e quando queste si dissolsero i due compagni si ritrovarono di fronte ad un portone.
    Si guardarono intorno con sguardo interrogativo, tutto di quello scenario stonava con quanto avevano visto fino a qualche istante prima. Gryxis mosse qualche passo verso la porta, poggiandovi sopra una mano.
    Sapeva di dover affrontare quanto lo attendeva oltre da solo, così senza voltarsi spinse...

    I Quadro: Infanzia

    Gryxis era di fianco a me. Era strano: ne avevo paura, ma allo stesso tempo mi infondeva tranquillità.
    Distese una mano su una cornice la cui tela fino a quel momento era vuota e pronunciò alcune parole in una lingua che non avevo mai sentito, ma che stranamente sembrava comprendessi:

    Dun Iki-na Qu Srit Kor On-Zait /Permetti a lui di vedere chi era

    La tela fu pervasa da un fievole luce, che quando scomparve lasciò un dipinto su di essa.
    Vi era una collina verde e nella vallata un paio di fattorie distanti, ma non troppo, l’una dall’altra.
    Quel luogo mi era tristemente familiare, ma in cuor mio speravo di sbagliarmi.

    Mi spinse verso il quadro. Tentai di divincolarmi, ma mi afferrò costringendomi a stare fermo: ero totalmente inerme.
    Urlò un’altra parola verso il quadro:

    Ert! /vivi!

    ...E tutto divenne bianco e inconsistente. Luci balenavano in giro vorticando convulsamente come l’acqua di un gorgo. Per un tempo che sembrò infinito ondeggiai insieme a quelle luci, sempre sotto la presa di Gryxis.
    Tutto s’acquietò con la stessa velocità con cui era cominciato, e ben presto la camera e il quadro non c’erano più: eravamo in un prato...
    Libero per il momento dalla costrizione del mio alter ego, mi guardai sgomento intorno.
    Mi voltai verso di lui pregandolo: “Ti prego...non quello...non di nuovo!”
    Per tutta risposta lui sorrise: “E’ necessario.”
    Tentai di scappare. Corsi. Mi voltai. Era fermo ad osservarmi tranquillo. Inciampai e caddi. Cercai di rimettermi in piedi, e mi ritrovai nuovamente al punto di partenza.
    “Non opporti. Non puoi combattermi qui. Questo è un mio, un nostro, ricordo. Ed obbedisce a me. Seguimi, e non costringermi ad obbligarti.”

    Lo seguii mestamente, volevo che tutto finisse al più presto...ma forse se ce ne fosse stata l’occasione avrei tentato nuovamente la fuga. In fondo il mio destino era sempre stato combattere.

    Arrivammo alla porta del casolare. Non era distrutta come quando me ne ero andato, quindi capii che il mio timore era fondato.
    Poggiai la mano sullo stipite, dove ricordavo trovarsi l’impronta di una mano artigliata sporca del sangue fresco di mia madre.
    Chinai la testa mentre gli occhi si riempivano di lacrime e, a denti stretti, inveii contro Gryxis, e questi ne parve quasi compiaciuto.

    Ad un gesto di Gryxis ci sollevammo come in una bolla ed il tempo iniziò a scorrere più velocemente fin quando non fu sera.
    Sgranai gli occhi ormai al culmine della disperazione: mia madre correva, come quella sera verso il casolare. Me da piccolo aggrappato al suo ventre come un peso morto...la rallentavo, mentre mio padre per permettere a noi di scappare si stava immolando nel cortile di casa contro quei maledetti corrotti.
    Cercai di fermarla, l’avrei convinta a lasciare il bambino...me, in quel luogo. Preferivo morire io e sapere lei in vita che vivere tutti gli anni a venire con quel rimorso: se non fosse stato per me, per le mie domande su cosa fosse successo nel cuore della notte, o sul perché stessimo scappando lasciando mio padre indietro, lei si sarebbe salvata...forse ci saremmo potuti salvare entrambi.
    Mi gettai verso di lei a bloccarla, se fosse stato necessario mi sarei battuto contro quei demoni della notte, ora ne avevo la forza anche se disarmato, ma quello che successe mi lasciò interdetto: lei continuò la sua corsa come se io non ci fossi, come se io fossi aria, e le mie braccia l’attraversarono inconsistenti.
    Mi chiesi come mai fossi riuscito a toccare lo stipite e ora invece no...ma mi ricordai le parole di Gryxis: “Questo è solo un ricordo...” - ripetei amaramente tra me e me.

    Sentii il rumore provocato da mia madre nello sprangare la porta, i rapidi passi sulle scale di legno e il rumore delle travi scricchiolanti sotto il nostro peso.
    Ed eccoli come degli animali selvatici due vampiri spuntare dalla casa, da dove poco prima le agghiaccianti urla di mio padre avevano sancito la caduta dell’ultima difesa, e correre verso il casolare.
    Cercai di mettermi in mezzo, ma, come prima, non sortii nessun effetto.
    Con rapidi colpi divelsero la porta già un po’ malandata.
    Mia madre in un gesto disperato si staccò da me, privandomi di quell’abbraccio rassicurante. Rapidamente scese le scale, saltando poi sul pavimento, e correndo disperata nella direzione opposta, per portare quegli esseri lontano da me.
    Il bambino stava per lanciarsi a seguire la madre, ben sapendo cosa sarebbe successo ad entrambi, ma l’istinto gli disse di non vanificare quel supremo gesto d’amore del genitore.
    In men che non si dica però l’attaccarono e la uccisero.
    Sazi dalla propizia caccia, i vampiri si allontanarono, lasciando il bambino, ad osservare con gli occhi sbarrati dal terrore fin quando la mattina dopo non fu trovato da un gruppo di Saraphan.
    Phobos cadde a terra in lacrime, colpendo col pugno più e più volte il suolo.

    Dei passi si fecero sempre più vicini per poi fermarsi, e la voce calma e priva di alcuna emozione di Gryxis:
    “Dimmi, cosa provi?”

    “TU! Maledetto!” - mi lanciai contro di lui con tutta la mia rabbia e il mio odio, volevo ucciderlo, farne brandelli sanguinolenti da lasciare in pasto alle fiere, ma come prima con un semplice gesto della sua mano caddi a terra senza riuscire ad alzarmi, come se fossi sotto un macigno.
    “Collabora, e presto tutto sarà finito.” - proseguì con la stessa calma.
    “Ti odio...ti odio...” - riuscii a biascicare.
    “A me?” - chiese stupito - “E io di grazia cosa ti avrei fatto? Ho solo fatto rivivere un ricordo. Il ricordo di quando tutto ebbe inizio. Riproviamo. Cosa provi davvero?”
    Avevo capito cosa voleva sapere, e pur di smettere quel tormento lo assecondai.
    “Li odio: odio mia madre per essersi sacrificata per me. Odio mio padre per essere rimasto indietro a combattere stupidamente quando non aveva già speranze in partenza. Odio me, per non essere stato capace di far niente, di non avere la forza di proteggere coloro che avevo di più caro. Odio i Saraphan per non aver saputo tener fede al giuramento di difendere i deboli, e per essersi lasciati sfuggire quei corrotti. Odio quei stramaledettissimi vampiri!”

    “Finalmente!” - fu la pronta risposta di Gryxis.
    Tuttavia mi pentii subito di quelle parole espresse così facilmente a caldo e corressi il tiro: “No non è questo ciò che provo: non odio mia madre, le sono grato perché mi ha protetto, cosa che avrei fatto anche io se ne avessi avuto l’occasione, dandomi un futuro da vivere; non odio mio padre, ogni uomo deve combattere le proprie battaglia anche se sa di non avere speranza, ha protetto anche lui ciò che aveva di più caro al mondo, e questa è la più importante delle vittorie...odio solo me stesso.”

    “...e i vampiri?” - aggiunse lui soddisfatto.
    Ora avevo davvero capito cosa volesse da me, voleva che ammettessi l’odio per i vampiri ma non li odiavo, non più...non tutti almeno.
    Non mi liberò dalla morsa che mi costringeva a terra, probabilmente voleva sentire dalla mia voce quell’ultimo pensiero.
    L’avrei accontentato, ma a modo mio: “Sì, odio i vampiri...gli abomini che sono una piaga per la società, coloro che non rispettano l’ordine e l’equilibrio di questo mondo.” - conclusi con più rabbia in quelle parole verso Gryxis che verso i vampiri stessi.
    “Non ne sono soddisfatto appieno, ma è già qualcosa, e poi è solo l’inizio. Non credevi fosse già finita, vero?” - disse sorridendo mentre mi liberava.
    Schioccò le dita e tutto scomparve e ci ritrovammo nella sala dei quadri.


    II Quadro: Giovinezza
    Si avvicinò ad un altro quadro vuoto e pronunciò altre parole nella stessa lingua:

    Dun Iki-na Qu Srit Arfev On-Heman Kerarui /permetti a lui di vedere mentre diventava cavaliere/

    Stavolta quello che si impresse sulla tela era l’Accademia dei Saraphan e alcune giovani reclute intente ad allenarsi. Se l’idea che mi ero fatto su ciò a cui mirava era corretta, non capivo il senso di farmi rivivere quel luogo, tuttavia volevo sapere fin dove volesse arrivare, così non mi ribellai, c’era ben poco di peggio da farmi rivivere...

    Ert!

    E di nuovo tutto iniziò a riplasmarsi sul ricordo di quel luogo.
    Phobos si guardò attorno cercando di capire quale evento importante del loro passato Gryxis volesse fargli rivivere, ma nonostante gli sforzi non riusciva a figurarsi nient’altro se non quel luogo familiare: l’Accademia dei Sarafan.
    Da uno dei cortili nei quali le reclute venivano inviate, dopo essere suddivise in gruppi, per addestrarsi nel combattimento uno contro uno, argentee voci agitate vibrarono nel sereno pomeriggio.
    Gryxis si incamminò nella direzione dalla quale esse provenivano, seguito senza proteste dal Cavaliere.
    Un piccolo gruppo di ragazzi incitavano lo scontro tra altri due, a terra, che se le davano di santa ragione, mentre più in disparte un ragazzo dai capelli scuri si frapponeva con fare fraterno tra quello scenario ed una ragazzina dai riccioli neri e gli occhi verdi.
    La rissa si concluse con l’intervento del supervisore chiamato da un giovane responsabile del gruppo che trascinò via, non senza difficoltà, un ragazzino dalla zazzera bionda. I due che non incitavano la baruffa seguirono rapidi il supervisore, lanciando rapide occhiate al gruppo che ora inneggiava al vincitore.

    “Perché io sono qui e lui che ha iniziato è là fuori?” - sputò a denti stretti il ragazzo mentre si tastava il labbro spaccato e dolorante.
    Il supervisore lo guardava senza dire niente con un velo di preoccupazione e pietà nello sguardo. Il ragazzo non sopportava che fosse guardato in quel modo, non sopportava la sua debolezza e soprattutto detestava quell’uomo che si atteggiava come fosse suo padre: non era suo padre! Nonostante tutto però non riuscì a sostenerne lo sguardo e, senza che gli fosse richiesta, si affrettò a fornire una scusa: “Se la stavano prendendo con Morén...sono dovuto intervenire...in fondo i soldati dell’Ordine questo fanno, no? Difendere i deboli intendo...”
    L’uomo continuò a fissarlo, poi lo incalzò anche se conosceva la risposta: “È andata davvero così? Era quello il motivo?”
    Avvampando di imbarazzo per la facilità con la quale era stata smascherata la sua bugia, ammise: “Loro sono tutti deboli, non hanno reali motivazioni per essere qui...” - strinse i pugni e i denti mentre il labbro, stendendosi, riprendeva a sanguinare - “Sono solo buoni per aiutare me a diventare forte!”
    L’istruttore continuò a fissarlo: “E quale sarebbe questo così nobile intento che rende te degno rispetto agli altri di diventare forte?”
    Senza scomporsi minimamente il ragazzo ribatte senza esitazione: “Vendetta!”
    L’uomo lo guardò limitandosi a scuotere la testa, ravvivando la rabbia del giovane: “Se l’inutile ramanzina è finita, vorrei ritirarmi nei miei alloggi.”
    L’istruttore intuendo che insistere avrebbe solo peggiorato la situazione, preferì lasciar correre per il momento, così lo congedò con un gesto della mano dimostrando falsa indifferenza.
    Il giovane si voltò indispettito incamminandosi verso la porta. La ragazzina cercò di andargli dietro, tendendogli anche un fazzoletto, finendo però fulminata da uno sguardo e rimanendo impietrita sul posto.
    Rimasto da solo l’uomo gettò la testa all’indietro strofinandosi le tempie tenendo gli occhi chiusi: “Come devo fare con lui?” - mormorò tra sé e sé.

    Il ricordo si dilatò fino divenire lontano e confuso.
    Dopo qualche istante i contorni ripresero a diventare stabili e chiari: quello a cui stava assistendo, era avvenuto poco più di un anno dall’evento rivissuto poco prima.
    Il ragazzo era ancora in compagnia degli altri due e del loro istruttore, solo che stavolta i demoni che gravavano sul suo spirito sembravano non tormentarlo. Gli ultimi mesi erano stati difficili, ma col tempo era riuscito a superare l’iniziale insofferenza: Arren per andargli incontro aveva deciso di farlo interagire al minimo con gli altri, così aveva stabilito degli studi ed allenamenti per quel sparuto gruppetto.
    Ovviamente le proteste fioccarono copiose, ma piano piano la rassegnazione subentrò, ed il lavoro e lo studio quotidiano a stretto contatto aiutò un po’ tutti: il passato comune, uno dei fattori principali che aveva influenzato quella scelta, fu decisamente propizio per la buon riuscita.
    Phobos ricordava bene quel periodo: fu il momento in cui considerò quella la sua nuova famiglia.
    Allo schioccare di dita di Gryxis, le immagini sfumarono nuovamente e se lo ritrovò dinnanzi. Questi parlò ma anziché rimarcare mancanze o comportamenti che con la sua nuova natura aveva tradito, si limitò soltanto a far notare quanto già il vampiro conosceva.
    Concluse il suo pensiero rivolgendogli una frase tagliente ma nulla più: “Era anche quella una finzione? Quanto tempo sarebbe durata?”

    III Quadro: Morte e Rinascita
    Abbraccio vampirico

    Dun Iki-na Qu Srit Arfev On-Heman Qaf /permetti a lui di vedere mentre diventava un nemico/

    Come le precedenti due volte, un quadro assunse delle spennellate di colore raffiguranti una scena ben definita nel passato di Phobos.

    Ert!

    Si ritrovarono in un accampamento militare. Il vociare allegro dei soldati mascherava il loro nervosismo per la missione che li attendeva il giorno dopo. I fuochi da campo riverberavano nell’oscurità.
    Gryxis condusse il vampiro all’interno di una tenda; qui gli alti in grado decidevano le linee d’azione per ogni plotone. La cosa migliore in importante che si evinceva da quell’animata discussione era che, poiché le informazioni dietro quell’attacco non erano certe, si raccomandava la massima prudenza: se non vi fosse stata la sicurezza che ci fossero degli adoratori di vampiri, erano tutti obbligati ad astenersi da qualsiasi atto di violenza.
    Phobos si trovava lì in qualità di ufficiale di un particolare corpo dell’ordine dedito totalmente alla caccia e distruzione dei vampiri. I gradi gli erano stati consegnati subito dopo la scomparsa in battaglia del maestro Arren e quella successiva di Morén. Finita la breve riunione, non senza l’irritazione del futuro vampiro, questi raggiunse Mikael, riferendo quanto era stato concordato ed ordinandogli di passare le direttive ai loro sottoposti.
    Phobos lasciò la propria tenda per fare una passeggiata in modo da smaltire la rabbia causata da quegli ordini per lui insensati. Sedendosi su una collina poco più lontana dall’accampamento, si perse nei pensieri fin quando Mikael non andò a chiamarlo, suggerendogli di riposare per il giorno dopo.

    Le immagini si fusero assieme come in un caleidoscopio, trasportando Gryxis e il cavaliere vampiro nel momento della fatidica battaglia.
    Le nubi erano talmente compatte da formare una coltre impenetrabile che presagiva tempesta. I soldati erano dispiegati che oro fuori dal villaggio, pronti a scattare agli ordini dei superiori. Phobos lasciò l’incarico di comandare i propri uomini a Mikael, lanciandosi per primo all’assalto del paese. Spada sguainata in pugno, corse urlando, gli occhi che lanciavano lampi di rabbia e disprezzo per quella gente senza spina dorsale che serviva quegli abomini chiamati vampiri. Nonostante la rabbia, riuscì a controllarsi a sufficienza da intimare che smettessero di proteggere quelle corruzioni, ma all’ignoranza mostrata dagli abitanti non riuscì più a trattenersi. Col ricordo della madre dilaniata davanti ai propri occhi, lanciò il suo cavallo al galoppo, menando fendenti su chiunque gli venisse a tiro. Sentì delle urla imperiose dietro di sé, ma non le distinse da quelle terrorizzate delle proprie “vittime”. Il suo cavallo si impennò e Phobos sfruttò la dinamica per compiere un affondo più deciso all’uomo armato di forcone sopraggiunto alle urla dei suoi compaesani. All’improvviso però una figura a lui nota gli balzò davanti: era troppo tardi per arrestare il colpo, così Phobos tentò in ogni modo di deviarlo. Il suo braccio scartò a sinistra ma non fu sufficiente: l’affilata lama della sua spada penetrò nel petto del suo amico Mikael, perforandogli il polmone destro. Egli lo fissò rantolante, un’espressione scioccata e profondamente dispiaciuta per lo sconsiderato comportamento tenuto da Phobos. Questi balzò immediatamente giù da cavallo e si precipitò al fianco dell’amico morente. Scioccato al punto che gli tremavano le mani, il cavaliere sorresse il corpo, conscio che se gli avesse estratto la spada dal petto sarebbe morto in pochi secondi. Mikael cercò di sussurrargli qualcosa, ma il suo respiro era troppo flebile e spezzato; Phobos poté solo accompagnare l’amico alla sua morte.
    Disperato per il suo stesso comportamento, rimase immobile finché non venne staccato dal corpo e portato via dagli altri commilitoni.

    Ancora una volta le immagini si fecero confuse, mentre Gryxis conduceva un distrutto Cavaliere dell’Alleanza all’evento successivo.

    Era notte fonda, e lo stare confinato nella propria tenda lo rendeva irrequieto. Ma non era preoccupato per la decisione che i comandanti con ogni probabilità avrebbero preso, sapeva bene di aver attirato le loro antipatie non essendo di nobili natali e senza la protezione di Arren.
    Il pensare al maestro, portò con se il pensiero su Morén e su quanto aveva compiuto quel giorno. Il senso di colpa divenne insopportabile. Accarezzò l’idea di compiere un’azione suicida costringendo i soldati di guardia ad ucciderlo in un tentativo vano di fuga...ma la cosa era da vigliacchi e non avrebbe reso giustizia ai sacrifici dei suoi genitori né al suo pover amico, la cui unica colpa era stata tenere a lui.
    Chiamò la guardia, domandando se potesse essere chiesto ai comandanti di permettergli di salire sulla collina poco più distante, ovviamente guardato a vista.
    Il soldato si mostrò titubante, ma forse anche per un minimo di ammirazione, acconsentì di perpetrare la ‘causa’ dell’ufficiale. Tornò poco dopo portando con sé il consenso: era comunque un ufficiale che aveva servito per anni l’Ordine, non potevano rifiutare quella richiesta prima di una decisione ufficiale senza suscitare malumori.
    Raggiunta la collinetta, si distese a terra staccando un filo d’erba e stringendolo tra le labbra. Presto, con la mente che vagava tra ricordi e pensieri, si ritrovò a perdersi nell’osservare il calmo cielo notturno.
    Aveva sempre provato un certo interesse per lo studio e l’osservazione della volta celeste: dapprima proprio spinto dalla sensazione di pace che essa infondeva al suo animo afflitto. Phobos riuscì a sorridere pensando come dopo tutti quegli anni riuscisse ancora a trovare ristoro nello scrutare quell’infinita meraviglia.
    Ad un tratto qualcosa di innaturale scosse quello scenario richiamando alla realtà il giovane ufficiale. La leggera brezza che scompiglio a dolcemente le fronde di un albero poco distante improvvisamente calò fino a lasciare tutto il panorama come in una immobile tela. Nessun verso di animali notturni o di insetti riecheggiava sulla piccola collina.
    Rimessosi a sedere l’uomo si guardò attorno cercando di comprendere cosa stesse accadendo.
    Notò la luna prima impallidire in un alone spettrale, per poi assumere una leggera aura purpurea. Il soldato assegnato per fargli da guardia, giaceva dove si era fermato, ma in una posizione innaturale: era evidente fosse morto.
    Tentò di alzarsi mentre l’istinto del guerriero, che suggeriva pericolo, combatteva con la ragione che affermava l’improbabilità di un attacco così vicino al campo dell’Ordine.
    La risposta a quale delle due idee fosse quella corretta non tardò ad arrivare: il riflesso di due ferali occhi scarlatti ne minacciavano l’incolumità. Mentre questi si facevano più distinti e vicini, l’idea di raggiungere il soldato caduto e prenderne l’arma lo accarezzò, ma dopo quella giornata riteneva quella come una fine giusta e quasi poetica.
    Proruppe in una risata folle ed isterica mentre due canini aguzzi gli squarciavano la gola. Le forze, insieme al sangue, ne abbandonavano le membra. Le luci ed i colori sul suo mondo assunsero toni via via più grevi ed annebbiati, fino a cedere il posto ad un’oscurità assoluta. Ed infine la non esistenza.
    Si ridestò con la luna ancora alta nel cielo. Si chiese se si fosse addormentato e avesse sognato.
    Guardandosi intorno, ebbe la risposta a quel suo dubbio. Tastò istintivamente il collo nel punto in cui era stato morso, trovando solo due solchi a malapena percettibili e la zona sensibile ed indolenzita.
    Con te tempie martellanti e le orecchie compresse, tentò di mettersi in piedi, senza riuscire però a mantenersi in equilibrio.
    Risistematosi nuovamente a sedere, iniziò a percepire dei cambiamenti, soprattutto nei sensi che ora apparivano migliorati...ma al tempo stesso, non avendone controllo, particolarmente dolorosi.
    I suoni ed i colori lo investivano come un violento fiume in piena. Chiuse gli occhi, isolando almeno la vista, e sperando che con la meditazione riuscisse a superare anche “l’inondazione” di rumori.
    Raggiunto uno stato, instabile, di tranquillità, fu richiamato con violenza alla realtà da una voce squillante e da qualcosa che cadeva vicino a lui: “Bevi, ti aiuterà.”
    Una figura snella ed incappucciata lo guardava indicando l’otre che aveva appena lanciato. Il soldato ne tolse il tappo venendo letteralmente travolto dal particolare odore ferroso: sangue.
    L’uomo guardò qualche istante quegli occhi che riconosceva come quelli del suo assalitore, cercando di raccogliere i pensieri mentre combatteva la Sete.
    Sì, decisamente quella era una giusta punizione...
    Le parole che Mikael ripeteva spesso dalla scomparsa di Arren gli attraversarono la mente come una lama: “L’Ordine non racconta tutta la verità.”
    Appoggiò le labbra e bevve avidamente: il primo sorso gli provocò un moto di nausea, ma non appena la sua nuova natura ricevette il suo nutrimento, tutto cambiò.

    Quando ormai sazio si staccò dal recipiente, la figura incappucciata indicò alle sue spalle, mentre un raggio di luna, fendendo le nubi, illuminava un teschio scavato nella roccia.
    Diverse storie e leggende si narravano nell’Ordine sulla Nupraptor, sede dei vampiri e di altri abomini. Mai avrebbe immaginato di avere l’occasione di vederla di persona...e di scoprire le verità che Mikael riteneva celate.
    Spinto da rinnovate forze, poggiò i palmi sul portone di ingresso e spinse. Una lama di luce illuminò il volto del nuovo vampiro...

    La visione del ricordo svanì e Phobos si ritrovò al fianco di Gryxis nella Stanza dei Ricordi.
    La sua controparte lo osservava braccia conserte, attendendo qualche istante prima di parlare. Nel momento in cui iniziò a farlo il Cavaliere strinse i pugni anticipandone le provocazioni.
    “Abbiamo osservato il nostro passato fino alla tua rinascita ed alla mia nascita. Hai detto provi odio solo verso i corrotti, o comunque verso coloro che minacciano l’Equilibrio. E la nostra promessa di vendetta? I nostri genitori potranno avere un riposo sereno, ora che tu perpetri la causa dei vampiri?”
    Phobos inizialmente titubante rispose a quelle domande: “La risposta te la sei data da solo...credo, anzi sono convinto, di onorarli in modo più degno combattendo per un qualcosa di superiore e non come un assassino dell’Ordine nascosto dietro falsi ideali. Ed allo stesso tempo porto avanti la mia ‘vendetta’ contro i corrotti.”
    Si aspettò una risposta polemica, ma Gryxis si mostrò stranamente accomodante: “E così erano falsi ideali...mmm capisco. Ma hai seguito con scrupolo e dedizione quegli ideali per anni. Su quegli stessi ideali, ti sei creato l’illusione di una nuova famiglia, per poi perderla e, infine, distruggerla tu stesso, uccidendo l’ultimo membro rimasto oltre te. Questo sempre mentre impartivi la giustizia dell’Ordine. Come riesci ad etichettarli ora come ‘falsi ideali’ con tanta facilità? Come sei riuscito in una sera ad accettare di divenire quello che ancora oggi sei, voltando le spalle a chi eri? A me!”
    Il vampiro della Cattedrale capì il vero senso dietro quelle domande, ed un po’ tutto ciò che era avvenuto in passato assunse una nuova prospettiva. Rispose così con rinnovata serenità.
    “Non ho messo in dubbio gli ideali dell’Ordine in una sera. Anche io come Mikael capivo chiaramente che qualcosa non quadrava, ma fino a quella sera mi davano la possibilità di uccidere corrotti, e se nel compiere tale vendetta degli innocenti perdevano la vita, mi nascondevo dietro la scusa che le vite di quei pochi avrebbero permesso di salvare quella di molti.
    Quella sera se non fosse perché faceva comodo a qualcuno, non sarebbe importato quanto da me compiuto né che a rimetterci era stato un altro soldato.
    Quando il vampiro attaccò, pensavo sarei morto, e la cosa stranamente mi rasserenò: sia per espiazione verso Mikael sia come chiusura di un cerchio apertosi la sera della morte dei nostri genitori. Risvegliandomi come vampiro fu del tutto inaspettato e per nulla facile, te lo posso assicurare, ma spronato dalla frase che Mikael ripeteva spesso, ho voluto provare a vedere le cose con gli ‘occhi del nemico’. Scoprendo poi la distinzione coi corrotti e il motivo delle loro battaglie, ho potuto comunque mantenere fede al mio giuramento.”
    Gryxis lo scrutava calmò ed impassibile, quasi come se davvero ascoltarlo fosse quanto desiderasse. Poi dopo diversi istanti di silenzio, quando ormai Phobos pensava che il suo alter ego non avrebbe ribattuto, questi gli parlò: “Com’è possibile crederti e fidarsi? Hai cambiato ‘fazione’, hai cambiato nome. Qual è il tuo nome? Qual è il tuo scopo?”
    “N-no!” - rispose il Cavaliere titubante, ferito e spiazzato da quelle affermazioni, poi tentò di rispondere con finta sicurezza - “Phobos e combattere la corruzione in ogni sua forma in nome dell’Alleanza!”
    Gryxis gli si fece più vicino: “Hai le mani lorde del sangue di innocenti, Qual è il tuo nome? Qual è il tuo scopo?”
    “Phobos, servire l’Alleanza.” - la sicurezza nella voce stava venendo meno, e Gryxis avvicinandosi ancora, sguardo fisso ognuno in quello dell’altro lo incalzò.
    “Hai seppellito cari ed amici...e tu sei sempre qui, sempre incolume. Sembra quasi che gli altri siano sacrificabili per il tuo bene. “
    Quelle ultime parole fecero breccia nel vampiro, gettandolo in un vortice di nera disperazione e sensi di colpa. La sua mente era sul punto di cedere, quando qualcosa, allo stesso modo di come un blocco di pietra, spinto dall’acqua limpida ed impetuosa, lentamente, ma inesorabilmente inizia a spostarsi assecondando quella forza, così un singolo ricordo di una dama in bianco, non gli infuse nuova forza.
    Mentre si riprendeva, cercò di focalizzare meglio quel ricordo sfocato, ma era come se quel frammento non appartenesse alla sua memoria. Decise che per il momento avrebbe risolto la faccenda con il suo alter ego.
    “Quella che tu mi muovi è un’accusa che mi vede innocente. Non ho ucciso con intenzione Mikael, così come non sono responsabile di quanto avvenuto né a Morén né ad Arren. Sì, sono un vampiro, ma non ho tradito il ricordo di nessuno né alcuna promessa. Così come non tutti i Saraphan sono retti, così non tutti i vampiri sono demoni. Io, accettando il mio nuovo Fato, ho solo aperto gli occhi sul male e sull’ipocrisia generale...anche la mia. In questo modo ho così intravisto coloro che sono realmente degni della mia vendetta. Vuoi sapere chi sono? Io sono Phobos...ma sono anche Orobas Fearal. Quel nome appartiene ad un’innocenza strappata, sostituita dall’odio e da una sete di vendetta mal riposta. Esisterà sempre qui difeso da ciò che sono.” - portò la mano a pugno chiuso sul cuore, lasciandocela mentre continuava. - E per rispondere all’altra tua domanda: io servo l’Alleanza e nel farlo compio la nostra vendetta. Sul mio vecchio nome, Orobas Fearal, e sul mio nuove nome, Phobos, darò la caccia a quei vampiri che, spinti dai propri desideri ed istinti, compiono arbitrariamente e volontariamente del male. Sarò un Cacciatore di Vampiri ed un servo dell’Alleanza.“
    A quella riconferma della propria promessa, Gryxis, tacendo ed iniziando a svanire, fece qualcosa che Phobos non si sarebbe mai aspettato: gli rivolse un sincero sorriso compiaciuto.
    La Stanza, portato a termine il proprio compito, riportò il vampiro dinanzi alla porta, che questi aprì con una rinnovata serenità.

    Vedendo il suo compagno fare ritorno, KainH gli andò incontro, fermandosi quando fu abbastanza vicino per valutare chi ed in che stato fosse. Notando la ritrovata serenità e determinazione nello sguardo di chi aveva di fronte, l’Epico capì che si trattava di Phobos.
    Mentre abbandonavano quel luogo senza ulteriori intoppi, il vampiro raccontò al suo superiore dell’esperienza vissuta nella Stanza.
     
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    Guadagna: Armatura riforgiata con Cuore di Legion +1
    L'essenza di Gryxis viene trasferita nel cuore quando l'armatura è indossata rendendola senziente

    Edited by Rashelem - 24/7/2016, 12:07
     
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