Il Crocevia

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    Quattro figure erano in cammino.
    In viaggio verso un luogo in cui da molto tempo non abitava nessuno, ma ciò non significava fosse un luogo con poca importanza invero,era leggendario.
    Tre di essi arrivavano dalla direzione dei Pilastri di Nosgoth, e solo una di essi pareva arrivare da nord, sulla strada che da Vasserbunde li raggiungeva.
    A dire la verità, la fine del viaggio di quest'ultimo viandante sarebbe stata vicina al ponte della città, dove avrebbe poi costeggiato il vecchio accampamento dei gitani e inoltrato un poco verso le montagne centrali.
    In poco tempo la figura che arrivava solitaria da nord raggiunse la sua destinazione, e dovette realizzare che quel luogo non era meno infestato dalla corruzione di un impero morto da tempo, che non aveva rispetto per un luogo sacro.
    Occhi rosso scarlatto brillavano nel buio, a decine e minacciose verso quelle figure che stavano raggiungendo le rovine in cui erano rintanati.
    Mani dai marci artigli stravano stringendo i pugni e rantolii ringhianti rumoreggiavano in una penosea litania corrotta.
    Proprio nel momento in cui la verde figura dal nord sguainò la sua spada azzurra, che emetteva il potere del gelo più glaciale, le altre tre figure che aspettava emersero dal regno degli spettri.
    “Ben ritrovati, cari compagni dell'Alleanza” disse “Qual momento più opportuno in cui ci ritroviamo”
    E fu così che un Vampiro Guardiano, dalla verde armatura, e i tre Mietitori della Cattedrale dell'Anima unirono le proprie forze per scacciare le forze corrotte da un terreno che doveva essere riportato alla sua gloria e sacralità di un tempo.
    Il sangue dei corrotti lavò quei luoghi, carni furono lacerate e anime mietute

    Il tempo del male era finito in quel luogo, finalmente.

    Kainh, Xado, Bleed e Rekius sedevano in cerchio, e tutt'attorno a loro giacevano le carcasse di decine fra dumahim e turelim.
    “Sei sicuro che il luogo sia adatto, senzacuore?” chiese il mietitore ragno “in fondo potrebbero arrivarne altri”
    “Non dopo questo massacro, Xado. Spero abbiano capito che l'Alleanza si è stabilita in un luogo che loro non meritavano.”
    Dopo ciò, si alzò e andò a guardare meglio le rovine di quel luogo un tempo glorioso e ora dimenticato ; finì di fronte a rovine di statue sfregiate, cui mancavano parti del corpo come busto e testa.
    Si inginocchiò, in segno di rispetto, ugualmente.
    “Sire di noi tutti e apostata tormentata...Non merito di stare al cospetto di questo luogo, ma spero di onorare la tua memoria assieme alla tua progenie”
    Kainh stava di fronte alla statua rovinata del luogotenente Raziel.
    Il luogo sacro che aveva liberato assieme ai tre mietitori più gloriosi dell'Alleanza erano quindi le rovine del suo vecchio Clan.
    Si sentiva legato e devoto verso quella figura che non aveva mai visto ma di cui ne aveva sempre sentito parlare, sia in vita, che nella non-morte dai racconti di Respen e Soul, e pensava che lui era la perfetta sintonia che potesse esserci fra un Vampiro e un Mietitore d'Anime.
    Il primo Mietitore che fu anche il primo luogotenente Vampiro di Kain, la perfezione fatta uomo e poi spirito.
    Avrebbe voluto avere l'onore di conoscere quella leggenda, ma anche in quel frangente in cui era Guardiano del Conflitto, si sarebbe sentito insignificante rispetto al Vampiro che era Raziel , leale e giusto nelle decisioni dei consigli dei Clan.
    Troppo leale per l'Impero di Kain e troppo onesto per non suscitare la gelosia dei suoi fratelli.
    Ad ogni modo si ripromise che quel luogo non avrebbe subito lo stesso destino del suo capostipite e dei confratelli razielim, ma sarebbe diventato un luogo di fratellanza fra le due razze e un altro avamposto contro le forze che artigliavano le terre con le loro grinfie taglienti.
    “C'è molto lavoro da fare” disse Rekius
    “Non ti preccupare amico mio, i ghoul sono già in marcia e presto arriveranno. Spero che nel giro di qualche settimana riportino il territorio del clan razielim all'antico splendore”
    “Sei ancora sicuro che sia una buona idea stabilire qui una base ?” chiese Bleed
    “Dobbiamo esserlo tutti e quattro, amici”
    “Decidi tu, senzacuore” disse Xado
    “Sarò anche a capo della Cattedrale del Sangue, ma non metto mai il mio posto sopra all'Alleanza. Dobbiamo decidere tutti e quattro, insieme. In fondo è anche questo lo spirito di questo luogo..”
    “Io ci sto” disse Rekius, mettendo davanti a sé la sua mano artigliata
    “E sia, d'accordo” disse Bleed facendo lo stesso
    Xado e Kainh seguirono a ruota i due compagni, unendo le loro mani al centro delle altre
    “L'Alleanza avrà una nuova base”

    Nel giro delle quattro settimane successive, sotto la sua supervisione e quella dei Mietitori , i ghoul lavorarono senza sosta per ricostruire ciò che era perduto.
    In primis, il palazzo del luogotenente fu completamente restaurato e dotato di difese più solide, così come il cortile adiacente.
    Vennero erette delle torri di guardia ai quattro lati e una sul crinale della montagna, in modo da vedere meglio tutto ciò che accadeva dal lato occidentale della base, e ultimo, ma non meno importante, le statue di Raziel furono ricostruite, raggruppate però in una sola al centro del cortile, raffigurando il patriarca in tutta la sua gloria e maestosità.
    Quando la videro, assieme a tutto il gran lavoro svolto dai ghoul, i quattro dell'alleanza sorrisero.
    Un nuovo giorno arrivò a Nosgoth, e con esso , una nuova base contro la corruzione della terra.




    BENVENUTI IN QUESTA NUOVA SEZIONE



    Breve Guida all'Uso della sezione
    Qui, a partire dal livello adepto, sarà possibile svolgere delle missioni doppie fra le due razze, quindi Vampiri e Mietitori possono agire assieme.
    Questo tipo di missione viene considerata secondaria e quindi è da contarla come tale nella cumulabilità delle missioni massime che si possono avere in contemporanea.
    Non si potrà così avere una missione secondaria singola agendo per la Cattedrale dell'Anima o del Sangue più una nell'Alleanza, dato che è la stessa cosa.
    Si potranno comunque svolgere missioni doppie anche per aiutare un compagno dell'Alleanza nella sua progressione personale, che sia lo sviluppo per i Mietitori o per potenziare armi o armature per i Vampiri, ad esclusione delle Missioni del Fato o di quelle Background in Action, visto che sono più personali.

    Ci sono diversi thread , ovvero uno per le richieste delle missioni, uno per commentarle. Per quanto riguarda i Briefing, Missioni e premi si scriveranno qui di seguito, per non fare troppi thread ma anche per essere ordinati :)
    Buon divertimento!
     
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    Il palazzo nuovo dell'Alleanza, intitolato alla gloria del luogotenente Raziel, splendeva di una luce che poteva eguagliare i momenti più luminosi del clan estinto.
    Ghoul erano ancora al lavoro per curare i dettagli degli edifici di tutto il complesso che formava la nuova base in cui Mietitori e Vampiri univano le forze.
    Nella sala delle missioni, era stato costruito un enorme tavolo che fungeva da mappa di Nosgoth, con tanto di modelli in pietra dei punti più importanti della terra scolpiti e integranti la stessa cartina in più dimensioni.
    Un lavoro certosino e magnifico.
    Non vi era, in quel palazzo, una sala in cui risiedeva un trono : qui l'unico che regnava, tra gli echi delle memorie, era il patriarca , Raziel.
    Nè Kainh,Rekius, Xado o Bleed potevano mettere in dubbio ciò e nemmeno passava lontanamente nelle loro idee.

    I primi a giungere nelle sale delle missioni al Palazzo dell'Alleanza, furono il dumahim mezzo-vampiro Samah'el Khan e il cavaliere famelico Shifter.
    Ammaliati dalla magnificenza dell'edificio, che si sviluppava per parecchio in verticale e quindi pieno di statue, gargoyle e bassorilievi, non si accorsero che il senzacuore e il cavaliere del gelo erano già lì, in quelle stesse sale.
    “Benvenuti” dissero
    Con un poco di sorpresa allora presero ad ascoltare cosa i due avevano da dire.

    :misto:
    :cda:
    Shifter
    Cavaliere
    :cds:
    Samah'el Khan
    Adepto


    “Ben lontano da qui” esordì Kainh “giace un manufatto che dovrete recuperare”
    “Si tratta di un pezzo di armatura rara, risalente all'epoca in cui i clan combattevano gli umani, riuniti con i pochi razielim rimasti” continuò Rekius
    “Un pettorale di armatura Turelim , per essere precisi. Lo troverete in un territorio molto ostile per qualsiasi razza, ovvero il Dark Eden”
    I due guerrieri che stavano ascoltando si guardarono l'un l'altro come per scambiarsi un senso di timore e scetticismo.
    “Lo sappiamo che il territorio è impervio, ma abbiamo appunto optato per mandare due membri dell'Alleanza diversi per compensarsi. Le vie d'accesso che al Vampiro potranno essere precluse, al mietitore non lo saranno, e Shifter potrà sempre passare nel regno spettrale per oltrepassare i punti in cui la lava sembra essere dominante e cercare un'alternativa materiale dall'altra parte del passaggio.
    La costituzione mezzo-demoniaca del dumahim invece può concedere più tempo prima di nutrirsi in quel territorio ostile, e procurare anche anime al mietitore, che si troverà più in difficoltà nel regno materiale.”
    “Dove si trova l'armatura?” chiese uno dei due
    “Qui” disse Kainh indicando la fortezza nel mezzo del Dark Eden “nei sotterranei della fortezza. Qui giacciono le rovine delle fucine che un tempo producevano decine di armature per proteggere le fila dell'esercito di Kain. Portate questo pettorale così lo potremo studiare per bene”

    LDR 3,5

    Edited by + Kainh + - 11/9/2014, 12:15
     
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    Briefing
    [QUOTE=+ Kainh +,11/9/2014, 11:57 ?t=68914383#entry562674196]
    Il palazzo nuovo dell'Alleanza, intitolato alla gloria del luogotenente Raziel, splendeva di una luce che poteva eguagliare i momenti più luminosi del clan estinto.
    Ghoul erano ancora al lavoro per curare i dettagli degli edifici di tutto il complesso che formava la nuova base in cui Mietitori e Vampiri univano le forze.
    Nella sala delle missioni, era stato costruito un enorme tavolo che fungeva da mappa di Nosgoth, con tanto di modelli in pietra dei punti più importanti della terra scolpiti e integranti la stessa cartina in più dimensioni.
    Un lavoro certosino e magnifico.
    Non vi era, in quel palazzo, una sala in cui risiedeva un trono : qui l'unico che regnava, tra gli echi delle memorie, era il patriarca , Raziel.
    Nè Kainh,Rekius, Xado o Bleed potevano mettere in dubbio ciò e nemmeno passava lontanamente nelle loro idee.

    I primi a giungere nelle sale delle missioni al Palazzo dell'Alleanza, furono il dumahim mezzo-vampiro Samah'el Khan e il cavaliere famelico Shifter.
    Ammaliati dalla magnificenza dell'edificio, che si sviluppava per parecchio in verticale e quindi pieno di statue, gargoyle e bassorilievi, non si accorsero che il senzacuore e il cavaliere del gelo erano già lì, in quelle stesse sale.
    “Benvenuti” dissero
    Con un poco di sorpresa allora presero ad ascoltare cosa i due avevano da dire.

    :misto:
    :cda:
    Shifter
    Cavaliere
    :cds:
    Samah'el Khan
    Adepto


    “Ben lontano da qui” esordì Kainh “giace un manufatto che dovrete recuperare”
    “Si tratta di un pezzo di armatura rara, risalente all'epoca in cui i clan combattevano gli umani, riuniti con i pochi razielim rimasti” continuò Rekius
    “Un pettorale di armatura Turelim , per essere precisi. Lo troverete in un territorio molto ostile per qualsiasi razza, ovvero il Dark Eden”
    I due guerrieri che stavano ascoltando si guardarono l'un l'altro come per scambiarsi un senso di timore e scetticismo.
    “Lo sappiamo che il territorio è impervio, ma abbiamo appunto optato per mandare due membri dell'Alleanza diversi per compensarsi. Le vie d'accesso che al Vampiro potranno essere precluse, al mietitore non lo saranno, e Shifter potrà sempre passare nel regno spettrale per oltrepassare i punti in cui la lava sembra essere dominante e cercare un'alternativa materiale dall'altra parte del passaggio.
    La costituzione mezzo-demoniaca del dumahim invece può concedere più tempo prima di nutrirsi in quel territorio ostile, e procurare anche anime al mietitore, che si troverà più in difficoltà nel regno materiale.”
    “Dove si trova l'armatura?” chiese uno dei due
    “Qui” disse Kainh indicando la fortezza nel mezzo del Dark Eden “nei sotterranei della fortezza. Qui giacciono le rovine delle fucine che un tempo producevano decine di armature per proteggere le fila dell'esercito di Kain. Portate questo pettorale così lo potremo studiare per bene”

    LDR 3,5
    [/QUOTE]



    __________________ :cds: PARTE DI SKULKER87 :cds: __________________



    I due si congedarono con un inchino di riverenza prima di abbandonare la sala di riunione dell’Alleanza.
    Samah’el proseguiva dritto per la sua via, sguardo fisso e mente martellata da mille pensieri. Shifter rimuginava su ciò che gli era stato ordinato di fare, gli occhi luminescenti squadrarono per qualche secondo il suo compagno di missioni. Non aveva spiccicato parola da quando si erano presentati insieme dai rispettivi capi fazione, ma la natura di Proxy insita nel mietitore lo costringeva a facoltizzare l’attenzione su quel colossale ammasso di carne verde e muscoli.
    Qualcosa di emotivamente possente stava consumando il Dumahim, e Shifter lo percepiva chiaramente.
    Con tono di voce sarcastico condita con una punta di ironia, Shifter esordì stiracchiando verso l’esterno le sottili braccia coperte di cicatrici:

    “Dark Eden, una passeggiata direi. Uno splendida località di villeggiatura dove passare amabili momenti. Cieli incandescenti, creature orripilanti… Ne usciremo con diversi chili di carne in meno e abbronzati al punto giusto…Sai che schifezza…
    Conosco femmine che darebbero un braccio e una gamba per un simile trattamento”


    Samah’el lo fissò con espressione immota, gli occhi caprini fissi su quella curiosa chimera. Non disse nulla, non mosse un muscolo, era talmente inquietante che Shifter lo fissò di rimando per poi toccarsi il volto ;

    “…Che c’è? Mi è rimasto qualcosa tra i denti?”

    Disse passandosi la violacea lingua sulle zanne ingiallite dalla morte.
    Samah’el tornò a guardare la strada davanti a se, una voce potente e gutturale si infilò nella mente del mietitore, inoculandovi lo sterile messaggio condito di striduli echi soffocati di puro odio e rabbia omicida.

    “Domani notte…Partenza…Città delle Ceneri…” Si voltò e guardò ancora una volta il mietitore prima di finire il suo discorso con una frase che aveva un che di minaccioso

    “…Non farmi aspettare…”.

    Detto ciò, il corpo del vampiro si scompose in minuti uccellini dal becco puntuto che si librarono come un nugolo di vespe demoniache, sparendo nei cieli notturni senza luna di Nosgoth. Si ricompose alla cattedrale del Sangue, non sapeva nulla del Dark Eden, non contando le storie di terrore che suo padre gli raccontava su quel posto d’inferno. Si rifugiò nella biblioteca e per tutta la notte studiò il luogo, le caratteristiche e ogni informazione utile su quel luogo corrotto.

    Shifter rimase basito da tanta freddezza. Dalle sue spalle fecero capolino un paio di minute ali munite di artigli appartenenti ad un piccolo pipistrello muso di volpe dallo scuro pelo e dalla forma tondeggiante. I piccoli occhietti a spillo e il muso volpino davano un aspetto assai curioso alla creatura, la quale si affacciò da dietro la spalla sinistra del mietitore;

    L’opulento costrutto squittì nell’orecchio di shifter, come a voler scimmiottare le parole del mezzo Dumahim.

    “Simpatico come un ghiacciolo nel sedere? Indubbio, amico mio. Simpatico come un morso di cavallo ma non meno arrabbiato…Tuttavia, non siamo qui per fare uno spettacolo di cabaret, giusto? ....”

    Disse Shifter posando una mano sull’ossuto fianco coperto di tenebra. Poi si girò per guardare con aria decisamente stupefatto quel piccolo chirottero a base d’elio;

    “…Come diavolo hai fatto a sentire ciò che mi diceva…”

    Shade lo fissò e fece spallucce con una tale noncuranza che dissipò ogni dubbio del mietitore.
    I due sparirono insieme, Shifter nel regno spettrale e Shade in una nuvola di nauseabondi gas, avvolti dal silenzio della notte.

    Al crepuscolo della notte dopo, avvolta dal silenzio della città delle ceneri, una figura corpulenta e dal sangue ormai freddo era in attesa. Samah’el era giunto nel luogo dell’incontro alle prime pallidi luci della luna e da allora aveva atteso il suo compagno, immobile nel centro esatto del grande chiostro. Sottili ceneri avevano per secoli coperto quelle pietre antiche e, con l’attesa del dumahim, finirono per coprirgli le possenti spalle e il capo tatuato.
    Gli occhi caprini, che fino a quel momento erano rimasti fissi a guardare il nulla davanti a se, notarono un leggero fremito nei contorni dell’ombra di Samah’el, una vibrazione innaturale che la scompose in più di un ombra. Queste fremevano e palpitavano come se avessero improvvisamente preso vita e, dalla fusione di quel mucchio di ombre tormentate, ne emerse il cavaliere famelico Shifter.
    Le ombre si quietarono solo quando anche l’ultimo frammento del mietitore ne venne fuori.

    “Ritardo…” Sussurrò il Dumahim con tono di voce gelido ed echi di soffocato turbamento per la scena agghiacciante a cui aveva assistito.

    “Scusami tesoro, volevo essere bella per te e ho perso la cognizione del tempo”
    Disse Shifter con fare femmineo, carezzandosi gli arruffati capelli neri.
    “Avevo una piccola questione logistica da risolvere.”

    Brutale come un pugno, la voce del Dumahim si infilò nuovamente nella testa del viaggiatore dimensionale;

    “Non è una buona scusa…” Disse con echi soffusi e confusi mentre mosse i primi passi verso nord. La fuliggine cadde delicata come seta in terra mentre Samah’el se la scrollava dal folto del vello di capro che gli adornava le spalle.
    Shifter sorrise con fare saccente e, schioccate le dita munite di giallognoli artigli, diede a Shade il permesso di recarsi in quel piano di realtà, materializzandosi in una nauseabonda nuvola di gas venefici. Il piccolo chirottero portò con se un rotolo di carta pecora stretto tra le fauci munite di piccoli denti sottili.

    “Io la mappa l’ho portata. La tua dov’è?” disse il cavaliere con tono di scherno.

    L’espressione immota nascondeva alla perfezione i malumori di un animo colmo di rabbia e odio che ardevano in lui da quando gli avevano portato via la sua amata. Samah’el incrociò le forzute braccia, sbuffando gelido vapore dalle naso leonino con fare di toro adirato.
    Shifter diede un leggero buffetto al braccio dell’alleato per poi apostrofarlo con parole di rimprovero proferite con tono di maestro paziente;

    “Questa volta passi ma la prossima volta che ti viene lo sghiribizzo di farmi un cazziatone ricorda con chi stai parlando, Adepto… quindi zitto e muto…Metaforicamente parlando…anche perché tu sei muto per davvero…Si, insomma…hai capito no?”

    Rapido e sicuro, il mietitore si voltò verso sud, puntando lo sguardo fiero e deciso sull’orizzonte;

    “Bene! Tutto e pronto e i tempi sono ormai maturi! In marcia, compagni d’arme, abbiamo una missione da compiere!”

    Shade e Samah’el si guardarono per qualche secondo con un malcelato senso d’imbarazzo.
    Il fluttuante compagno di scorrerie di Shifter si avvicinò con un leggero fremito di ali e depose con delicatezza la mappa tra le mani del mietitore il quale, dopo averci dato una rapida occhiata, si voltò nuovamente verso nord.

    “…BENE! Tutto e pronto e i tempi sono ormai maturi! In marcia, compagni d’arme, abbiamo una missione da compiere!”

    I tre si misero in marcia.

    Il percorso prescelto non era di certo il meno periglioso ma li avrebbe portati diritti all’obbiettivo nel minor tempo possibile. Ogni minuto era prezioso e ritardare di un solo secondo avrebbe messo a rischio la riuscita della missione; per quanto potente, il corpo del mietitore era fragile in quel mondo mortale, una prolungata presenza senza nutrimento lo avrebbe indebolito tanto a farlo dissolvere e sprofondare nel mondo spettrale…e un Adepto della cattedrale del sangue, per quanto potente e corpulento come poteva esserlo Samah’el, sarebbe durato poco in quel tugurio mutagenico.
    Avrebbero attraversato gli alti picchi che circondavano ka caverna dell’Oracolo, da li avrebbero seguito il fiume di fuoco per giungere nella desolazione del Dark Eden; conformazioni rocciose brulle e aspre, come se la natura stessa si fosse ribellata alla corruzione di quel luogo, tentando a modo suo di arginare l’infezione in una cisti granitica di monti desolati.

    La scalata non fu facile per entrambi, rocce puntute e scoscesi dirupi si alternavano ad un brullo paesaggio costituito di pietra friabile. Eppure, nonostante le difficili condizioni ivi presenti, le abilità che con tanta fatica i due si erano conquistati per i rispettivi compiti passati li aiutarono nella riuscita.
    L’instancabile Dumahim fece affidamento unicamente sulla sua forza fisica e la sua abilità di scalatore per passare gli ostacoli che si frapponevano tra se e l’obbiettivo ma, per quanto possente potesse essere, ma erano inezie se paragonate all’incredibile capacità che Shifter dimostrava nel manipolare le ombre che lo rivestivano come una seconda pelle. Con maestria di abile soffiatore del vetro, il cavaliere insaziabile modellò le proprie ali d’ombra facendone assumere le forme di 4 sottili zampe di ragno. Così munito, il mietitore si arrampicava tanto rapido da doversi fermare più volte nell’attendere il vampiro, cosa che il mietitore sfruttava a suo vantaggio per poterlo schernire ogni tanto con tono benevolo;

    “Muoviti, dumahim. Non farmi aspettare... Eh hehe”

    Giunsero in breve tempo a poche lance dal territorio da esplorare, l’obbiettivo era vicino e non fu difficile capirlo. La terra si era fatta più dura e calda sotto i loro piedi e sembrava quasi voler vomitare diavoli e demoni ad ogni passo. Il cielo turbinava irrequieto, segnato da squarci dorati e vene rossastre sempre più spesse man mano che si avvicinavano, ribolliva e sbuffava verso il basso enormi colonne di vapore rossastro come una marmitta imbevuta di rosso veleno. Durante la scalata, lo sguardo di Samah’el si soffermò per un istante su quel cielo turbato mentre i freddi artigli si conficcavano in un terreno liscio e tagliente. Il mietitore si fermò per un istante, era arrivato al culmine della salita e davanti a lui si espandeva un brullo territorio contorno in cui spiccavano enormi crateri rivestiti di vetro.
    Incuriosito, Shade iniziò ad emettere versi striduli vicino agli oggetti, guardando il suo padrone;

    “Vuoi sapere cosa sono? Non ne ho idea, amico mio…ma di certo non nascono dalla terra…”

    Shade cominciò ad emettere versi più striduli e furibondi, cercando di far capire al mietitore che sapeva già che quel vetro non era naturale e che non doveva trattarlo da stupido, il mietitore con il legame con esso parve capire subito.

    “…Shade... Sei uno stramaledetto pipistrello dimensionale composto per il novanta percento di Elio, non osare venirmi a dire che conosci la fisica, palla di pelo! Tu non hai senso secondo quelle maledette leggi! ”

    Samah’el lo raggiunse con qualche secondo di ritardo, le forzute mani erano coperte di fini tagli fastidiosi cui non dava il minimo perso. Giacché il mietitore era così impegnato nell’analizzare quelle astruse opere d’arte minerarie, il mezzo sangue ne approfittò per prendersela comoda. Alzò istintivamente lo sguardo verso il cielo, indugiando su quel tripudio tanto in sintonia con la propria anima. Gli occhi caprini si sgranarono come quelli di un gatto selvatico quando vide che dalle nuvole flagellate di fiamme venne espulso un’enorme palla di materiale plasmico incandescente in caduta libera.
    Correndo quasi a quattro zampe, Samah’el si lanciò in direzione del cavaliere per poi placcarlo con tanta forza che entrambi furono lanciati oltre un costone di roccia scosceso. L’impatto del corpo plasmatico fu violento e pirotecnico, fortunatamente i due stavano ancora ruzzolando giù lungo una parete ripida quando l’esplosione proiettò in aria sottili frammenti di vetro incandescente e tagliente. Caddero rovinosamente in terra dopo qualche ruzzolante momento di panico, Shifter aveva riportato solo qualche lieve graffio, per quanto debole, quella carcassa blu apparteneva ad un cavaliere della cattedrale dell’anima, Shade si era letteralmente arpionato con i sottili e fusiformi arti provvisti di artigli contro la mascella coperta di argenteo pelo del Dumahim ferito su schiena e braccia per aver fatto da scudo per il mietitore.

    “… Ecco spiegato il problema del vetro.” Disse il mietitore tirandosi su. Diede una rapida occhiata a Samah’el prima di porgergli una mano bifida per aiutarlo a tirarsi su;

    “Non sei uno di spirito e come compagno di viaggio fai pena…ma, per le corna adultere di Bane, quanto servi sei davvero utile. “

    Shade bisbigliò nelle orecchie puntute del suo nuovo barbuto trespolo mentre gli si arrampicava sulla testa.

    Emise dei versetti cercando di far capire al Dumahim che quella frase era un segno di ringraziamento e che era consigliabile stringergli la mano.

    Il Dumahim con un po' di difficoltà comprese e accettò il consiglio del piccolo pipistrello e l’aiuto del Cavaliere insaziabile, il volto era sempre coperto di gelida serietà. Rimessosi in piedi, diede una poderosa pacca amichevole dietro la schiena di Shifter che si sentì rimescolare le ossa nel corpo per poi sussurrargli in risposta alle parole di Shifter con un inatteso tono ilare;

    “Questa volta passi… ma la prossima volta …..che ti viene lo sghiribizzo…. di farmi un cazziatone… ricorda …con chi stai parlando, Cavaliere…”

    I due si rimisero in cammino, oltre il costone di roccia si ritrovarono a poca distanza dal lungo fiume di metallo fuso che si gettava in un largo bacino dall’apice del costone come un’immensa cascata di lenta lava inesorabile. Seguendo la lenta discesa che quella lingua di fuoco d’inferno scavava nella nera pietra lavica coperta di cenere, si ritrovarono su di un alto costone di roccia puntuta. Continuarono la loro marcia, assillati dai versetti di Shade che squittiva contro tutto ciò che si muoveva, si mossero rapidi e lesti come sinuose ombre in un territorio ostile finché non lo videro, enorme e terribile; il Dark Eden in tutta la sua corrotta gloria.
    Un territorio tanto ostile e ributtante da poter essere associato al peggiore scenario apocalittico che mai profeta o vescovo abbiano mai potuto profetizzare ai propri discepoli. Laghi di magma incandescente espettoravano ad intermittenza enormi blocchi di pietra fusa, scagliandoli con violenza in cielo e sulla superficie corrotta di quella terra che urlava alla dannazione.
    Tutt’intorno all’enorme torre laboratorio, vecchio rifugio dei guardiani corrotti e ormai in decadenza, giacevano rovine di una civiltà un tempo gloriosa ma che ora ospitava solo creature orrende ed esseri umani assolutamente corrotti. Creature dall’aspetto grottesco e fattezze più demoniache che conformi alla fauna di Nosgoth, composte di parti appartenenti a diverse specie ammucchiate su di un’unica struttura a casaccio; torsi umani e arti aracnoidi, pelle squamosa, artigli e ossa in esposizione. I pochi esseri umani che avevano conservato la propria umanità fisica, ne avevano corrotta la parte spirituale per sopravvivere in quel buco d’inferno.

    I due messi dell’alleanza si guardarono leggermente scoraggiati da quella visione ma decisero di proseguire mantenendo un basso profilo ed evitando incontri spiacevoli.
    Nel loro proseguire, i due ebbero l’occasione di vedere come quelle orrende creature interagissero tra loro.
    La prima era vermiforme e opulenta scivolava sull’arido terreno sul ventre con andamento da lumaca. La scia che lasciava dietro di se era vischiosa e maleodorante, le fauci si schiudevano con un’ampiezza innaturale, rendendo visibile l’antro buccale del mostro foderato di sottili tentacoli schioccanti, la mandibola era fusa con le ossa della clavicola e le braccia erano troppo piccole e tozze per poter essere utili al loro scopo originario. L’altra era più esile ma non meno disgustosa;
    Videro due di quegli orrori avanzare infermi sulle loro abominevoli estremità, lottare per cibarsi di un povero mendicante dalla faccia deturpata che tentava invano di sfuggire ai suoi assalitori. Urlava nonostante avesse il volto fuso nella propria carne, il corpo flagellato da orridi squarci e violente mutazioni grondava un viscido sangue verdastro.
    Samah’el osservò attentamente lo svolgersi degli eventi mentre il mietitore approfittò di quella ghiotta occasione per assimilare l’anima della creatura che i due stavano così amabilmente sventrando. Le fauci del mietitore si schiusero, come a voler accogliere qualcosa che il Dumahim non riusciva a percepire ma che, a quanto pareva, deliziò il palato e soddisfò l’appetito di Shifter. Quando gli abbomini, ebbero concluso il loro banchetto, senza una qualsiasi ragione logica, cominciarono a ringhiare e a fischiare prima di aggredirsi tra loro come bestie prive di senno finché uno dei rivali arrancò sconfitto verso un rudere per potersi leccare le ferite.
    L’altra creatura si scrollò di dosso il sangue rappreso e olezzante dello sfidante e il proprio, poi si diresse barcollando per la sua strada.
    L’odore di quel luogo di lotta era fetido, un tanfo angosciante aveva permeato l’area ma il vampiro volle costatare ciò che sapeva bene essere una cruda realtà. Con fare da ladro professionista si avvicinò al cadavere di quel povero mostro demolito da artigli appartenenti alle indefinibili creature e, raccolto un po’ di sangue con i polpastrelli, se lo portò alla lingua.
    Il sapore era talmente acido e forte da fargli sputare immediatamente quell’abominio; puro veleno.
    Shade saltellò sulla schiena di Samah’el come fosse stato una palla di gomma, emettendo dei versetti per incitarlo a continuare il cammino.
    Il vampiro sospirò nell’atto di rialzarsi in piedi, odiava avere ragione in quelle situazioni tanto spiacevoli. Shifter osservò il mezzo sangue testare le proprie teorie e capì dalla sua reazione che avrebbero dovuto accelerare il passo o la fame di sangue l’avrebbe consumato.
    Come rapidi spiriti indomabili, Samah’el e Shade si diressero più vicino possibile al grande lago di fuoco che circondava la torre dei tre guardiani corrotti. In passato quell’orrido luogo era stato palcoscenico di miserabili esperimenti, abomini chirurgici e orride mutazioni indotte dalla magia oscura.
    La cima della torre generava una barriera non era a scopo protettivo, aveva ben altri scopi.
    Qualsiasi forma di vita che non fosse stata di per sé distorta e corrotta che avesse avuto la malsana idea di attraversarla, sarebbe rimasta orrendamente mutato in quelle oscene creature.
    Quando i due si avvicinarono all’empio centro del Dark Eden non videro alcuna barriera, questa era stata ormai dissipata da dopo l’avvento di Kain tuttavia la corruzione e il male impregnato nella terra stessa del giardino oscuro avevano conservato le squisite capacità mutageniche caratterizzanti quella porzione di Nosgoth.

    Le orecchie puntute di Shifter udirono concitati rumori di battaglia e grida selvagge, i ruggiti tuttavia non erano solo appartenenti alle creature del luogo, avevano un che di familiare. Strinse il pugno per segnalare al compagno di missione di fermarsi. Pose un dito sulle violacee labbra per poi proseguire nel silenzio, proseguirono accovacciati, nascosti dall’ombra di un vecchio rudere, tutti e tre si sporsero da oltre un buco nel muro che una volta doveva essere una finestra per spiare cosa stesse succedendo.
    Un piccolo contingente di vampiri corrotti si era imbattuto in quelli che dovevano essere gli originali abitanti del posto. Solo alcuni erano rimasti umani ma la loro mutazione li aveva resi estremamente rapidi e forzuti, tutti gli altri erano ormai irriconoscibili. Avevano tentacoli e artigli alloggiati, dove una volta dovevano aver avuto il bacino mentre la parte di sopra era stata sostituita da un’enorme bocca senza occhi. I diavoli del giardino oscuro erano molto vicini al massacrare quel piccolo contingente di corrotti ma non senza perdite. I nerboruti vampiri, alti e molto robusti, stavano vendendo cara la loro pelle bozzoluta e coriacea. I corrotti possedevano grandi orecchie appuntite con forma dentellate, grandi mascelle con punzoni ai lati e sul mento, tre dita artigliate nere e la pelle delle dita strappata rivelava parti delle falangi e nei piedi ha due grossi artigli biancastri. Sulla schiena avevano delle profonde cicatrici recanti il marchio del proprio clan; Turelim.
    Il cosa ci stessero facendo dei Turelim così lontano dal loro territorio li interessava marginalmente, nonostante fosse decisamente sospetto. Shifter e Samah’el si guardarono per qualche secondo per poi scambiarsi un’occhiata di complicità; quello era un banchetto sicuramente inatteso che avrebbe giovato a entrambi.
    Avrebbero approfittato di quella apparentemente insensata colluttazione per nutrirsi a sazietà di anime e sangue di umani ancora rimasti tali e ricavare informazioni preziose dai Turelim riguardo la loro venuta.
    Gli esemplari giovani perirono sotto i colpi degli immondi esseri ma riuscirono a portarsene un paio nella morte. Gli umani potenziati aggredirono senza farsi alcuno scrupolo l’ultimo Turelim rimasto in piedi, il loro comandante. La pelle del corrotto più anziano era marrone dovuto anche al sangue che i loro nemici perdevano su di lui a ogni colpo, anche se molto di quel sangue era il proprio il suo. Questo si batté con dirompente violenza, la lotta era concitata e furente, troppo scatenata per permettere agli sfidanti rimasti che da oltre un muro, i due messi delle cattedrali si erano gettati in carica.

    Void crepitava e strideva tra le mani del vampiro, non ancora incandescente ma ugualmente animata dalla furia del Dumahim che si gettò a capofitto nella battaglia. Si lanciò dritto contro il primo degli umani corrotti, scaraventandolo a terra con una pesante spallata per poi caricare u potente colpo elettrico che andò a schiantarsi su quel che sembrava essere il volto della creatura che gli stava accanto.
    Shifter richiamò la sua fedele mietitrice che sibilò famelica mentre si arrotolava come un serpente intorno al braccio bluastro del mietitore, le ali d’ombra mutarono in orridi tentacoli che penetrarono nelle ombre di tutti coloro che erano rimasti coinvolti nella battaglia per poi avvolgerli completamente, Dumahim escluso. Come osceni oggetti di desideri contorti, dalla superficie dei tentacoli si generarono, rapidi e istantanei, enormi e aguzzi aculei che penetrarono le carni delle vittime lasciando chi troppo aveva combattuto in fin di vita mentre Samah’el finiva di spaccare il cranio ai due nemici ingaggiati.
    Il Turelim era stato gravemente ferito ma aveva ancora abbastanza forza da reagire, si liberò da quella stretta mortale opponendo alla violenza di Shifter la propria forza. Cadde in terra mentre perdeva copiosamente sangue dalle ferite appena procurate ma ciò non lo aveva affatto scoraggiato nello spirito. Ruggì di rabbia e andò a schiantarsi contro quell’oscura figura che lo aveva imprigionato. Spiccò un salto approfittando di un appoggiò procurato da una carcassa da poco squartate, gli artigli pronti a penetrare le deboli carni del Mietitore come fosse burro, ma qualcosa di altrettanto violento lo afferrò a metà strada e lo schiantò in terra.
    Entrambi ruzzolarono in terra ma continuarono a darsele ruzzolando in terra. I due si separarono solo quando il Dumahim piazzò una potente pedata sul plesso solare del nemico, spingendolo via. Si rialzarono entrambi allo stesso momento, il Turelim ringhiò tanto da far vibrare gola e orecchie come fosse stato una lucertola velenosa pronta a sputare veleno in faccia all’avversario, il mezzo Dumahim rispose sbattendo un pugno a terra con tanta violenza da spaccare la roccia, i capelli e i peli della barba irti come aghi d’istrice, con un violento soffiare e vorticare mostrò all’avversario la gloria del proprio clan, in un vorticare di deforme lingua oblunga coperta di denti.
    Il corrotto osservò quello strano duo, si rialzò dolorante ma non domo:

    “ Chi diavolo siete voi, bastardi? Dumahim, Fratello, sei certamente oltre i tuoi territori, si può sapere che diavolo ti passa per la testa? E che diavolo hai fatto agli occhi, sembri una dannata capra… E tu, oscena creatura, sei più oscurità che vampiro!....Ma si, ovvio….Sei uno sporco mietitore, un buffone bluastro appartenente a quella schifosa cosca di codardi spettrali che si sono calcificati ai Pilastri. Rivoltanti creature mezzane, come osate invadere i nostri reami!“

    Disse con fare sprezzante e beffeggiatore mentre il mietitore mutò parte della sua ala per imitare la testa del Turelim, ma con orecchie più grandi e ridicole e simularla a parlare per beffeggiarlo.

    “Poco importa…presto altri verranno, e voi pagherete caro questo vostro sconfinare nei nostri dominii.”

    Disse con voce profonda e con tono di scherno ma il suo orrendo sghignazzare fu zittito prima ancora che potesse finire il suo odioso sproloquio.
    Una patina di luce opaca color porpora circondò ogni centimetro di pelle del possente braccio del Dumahim, procedendo a spirale lungo tutto l'arto, condensandosi nel pugno ben stretto.
    Con un gancio a vuoto, sprigionò il potere accumulato sotto forma di un pesante raggio scarlatto di energia dal nucleo oleoso e nero che colpì a parabola il Turelim, lasciandolo stordito e inerme.
    Uno dei tentacoli d’ombra di Shifter si allungò tirando un pesante colpo dritto al volto del Turelim, lanciandolo all’indietro a gambe all’aria, ormai priva di sensi.

    Al suo risveglio, la sua baldanza era sparita; completamente avvolto dalle ombre, braccia e gambe immobilizzate, il collo stretto in una morsa d’acciaio e intorno a se vi erano solo i resti di ciò che il divoratore d’anime e il mezzo sangue avevano lasciato. I corpi con ancora sangue umano erano stati dissanguati e le loro pelli erano stranamente pallide, troppo pallide, come se gli avessero tolto l’anima dalle carni. Di fronte a se poteva vedere solo i gialli e inquietanti occhi di Shifter che lo fissava con un sorriso sadico mentre il Dumahim era seduto sulla creatura munita di tentacoli, in silenzio e con il volto serio e dalle labbra ancora lorde di sangue vermiglio.

    “Spero che quelle grandi orecchie ti aiutino a capire ed ascoltare bene ciò che stò per chiederti, carogna, e che la tua lingua sia altrettanto lesta a dirci cosa vogliamo sapere…ma sappi che in mezzo a queste due cose ci sarà una vagonata di dolore tale che te la ricorderai…”




    __________________ :cda: PARTE DI SHIFTER :cda: ___________________



    Il mietitore guardò il Turelim con uno sguardo folle, come di un torturatore psicopatico pronto a sfoderare i suoi mezzi più cruenti contro la vittima per puro divertimento, il pipistrello demoniaco era a pochi centimetri dietro Shifter che fremeva dalla voglia di usare le proprie capacità contro il prigioniero, il Dumahim al contrario, non aveva alcun desiderio di far del male al Turelim. Se ne stava in disparte ad osservare con un silenzio di ghiaccio lo spettacolo, non per pietà ma per raziocinio. Per condurre un interrogatorio del genere, bastava un solo carnefice.

    “Sono sempre stato curioso di sapere come è fatto il vostro cervello posto tra quelle abnormi orecchie, avendo capacità telecinetiche avanzate, sono sicuro che sarà interessanti e non provare ad usare uno dei tuoi trucchi mentali, una sola mossa falsa e con la tua testa ci faccio uno spiedino! SONO STATO CHIARO?”

    Il Turelim grugnì di rabbia sapendo che era intrappolato.

    “Ora dimmi, perché tu e i tuoi amichetti siete venuti qui? Nonostante il vostro territorio non sia molto lontano, avventurarsi per il Dark Eden deve essere comunque per un motivo importante, parla!”.

    Passarono alcuni istanti di silenzio tra i due, Shifter sorrise con fare da pazzo malato mentre il Turelim era furioso, ma allo stesso tempo preoccupato e questo, Shifter, lo sentiva. Sentiva quei sentimenti così appetitosi e ammalianti...

    “FOTTITI, MALEDETTO SPETTRO!”

    Il sorriso si allargò e fece un verso per imitare un suono meccanico di “errore” seguito da una frase “Risposta sbagliata!” I tentacoli si tramutarono in rovi con enormi spine che trafissero arti e torso del vampiro con particolare attenzione a non colpire organi vitali, l'essere sembrava conoscere alla perfezione l'anatomia del suo nemico, quanto bastava per poterlo torturare il più possibile.

    Un'altra risata e poi

    “dai non ti abbattere hai perso solo una vita, te ne restano due, sfruttale a dovere! Altrimenti la perdita delle altre due sarebbe molto più sgradevole, credimi!”

    Shade si avvicinò, mentre il Turelim grugnì e disse;

    “Credi! Che io mi fidi delle tue menzogne! Mi ucciderai comunque!” .

    Il mietitore rispose;

    “Mua! Ucciderti? Facciamo un accordo, se tu mi dici perché sei venuto qui, non ti ucciderò!”

    Per tutta risposta, il Turelim lo guardò e gli sputò in faccia;

    “Credi che questa saliva sia pericolosa?”

    Shifter si pulì il voltò e schioccò le dita, Shade a quel punto sputò un getto di saliva contro il braccio sanguinante del Turelim, la saliva corrose la carne già ferita in maniera preoccupante, mentre Shifter rideva come un folle per quello spettacolo, il Turelim urlava. Tendini, tessuti muscolari e addirittura l'osso erano visibili per breve tempo, ma poi piano piano la ferita iniziò a rimarginarsi lentamente.

    “Ti senti più collaborativo ora? Potrai non credermi, ma è sempre meglio avere una possibilità di vivere piuttosto che non averne nessuna, non credi?”

    il Turelim si riprese dal dolore.

    “Hai già perso due vite, te ne rimane solo una, forza bastardo rispondi, sto PERDENDO LA PAZIENZA!”

    il Turelim era allo stremo, non tanto per le ferite ma per il dolore che Shifter gli stava facendo provare, una tattica sadica e malata per incrementare la disperazione e la paura del nemico. In quel momento, per porre fine al tutto,il prigioniero si arrese

    “Siamo stati mandati a recuperare il pettorale di una nostra antica armatura, risalente ai tempi della guerra di Nosgoth, dopo l'esecuzione di Raziel”.

    Shifter allora si calmò, i tentacoli si allentarono

    “I miei complimenti, hai vinto il premio.”

    il Turelim lo guardò incredulo

    “Cosa?”

    Dal terreno sbucarono fuori due Neoshadow, nel vederli il Turelim rimase immobile e terrorizzato, cercò di capire cosa fossero

    “Fortunatamente, la battaglia non ha ucciso TUTTI quelli presenti alla lotta precedente, avevano ancora abbastanza vita e razionalità per essere trasformati in miei servitori come puoi vedere!”

    Il Turelim continuava a guardarli;

    “AVEVI DETTO CHE NON MI AVRESTI UCCISO!”

    Shifter rise con una risata ancora più folle e demoniaca, tale da far accapponare la pelle anche ai suoi nemici più temerari

    “Infatti non ho alcuna intenzione di ucciderti mio servitore! Ora GUARDAMI NEGLI OCCHI!”

    dei tentacoli più piccoli si fecero strada nel volto del Turelim per tenergli ferma la testa e costringerlo a tenere gli occhi aperti, il corrotto urlò di terrore, un urlo così forte da provocare danni alla gola.
    Quella che emerse in seguito dal suo corpo fu una creatura sferica e tentacolare, un Dakrball.

    “Sembra che i nostri cari amichetti dell'Alleanza abbiano delle spie fra i Turelim”

    Samah'el lo guardò e disse con tono gelido ed echeggiante

    “Sicurezza…come?”

    Shifter si voltò

    “I Turelim vengono ad attaccare il Dark Eden per prendere quello che noi stiamo cercando, nell'esatto momento in cui noi siamo venuti a cercarlo, è molto più probabile che Xado dia uno spintone a Rekius giù per uno di questi laghi di lava che questo evento sia una coincidenza. Sicuramente Kainh o qualcun altro dei piani alti avrà delle spie Turelim infiltrate del clan che hanno informato l'Alleanza di quest'armatura, la domanda ora è, perché è così importante?”

    Dopo qualche secondo di silenzio, la voce del mezzo sangue si infilò nuovamente nel cervello del Mietitore, echi di martelli da fabbro e ingranaggi di fabbrica scandirono il messaggio da inoculare;

    “Il Clan…I Dumahim …. Famosi per le loro fornaci…. Potrebbero essere gli artefici...”

    Shifter lo guardò e disse;

    “Parli poco, ma devo dire che quando lo fai ti rendi utile mio caro gigante dal sapere di pistacchio.”

    Dopo quella frase il bizzarro gruppo avanzò fino ad arrivare ad un enorme fiume di magma oltre a quello vi era il palazzo della triade.

    “Eccolo lì, sembra che l'energia fu disattivata poco tempo dopo il crollo dei Pilastri, ma ogni dato o testimonianza di quell'evento è andato perduto o distrutto, l'Alleanza sospetta che sia stata opera di Kain o di Raziel, ma visto che i due sono scomparsi, non possiamo saperlo con certezza”

    Shifter osservò la torre e trasformò parte di una delle sue ali in un cannocchiale, lo usò per guardarci e disse;

    “Me l'aspettavo più grande, sinceramente, mio grosso amico corazzato. Ho seri dubbi che quella struttura riesca a contenerti, è stretta e minuscola, mi domando come Kain sia riuscito a combattere in quel posto, il culo di una rana è ben più spazioso, anzi, come possa esserci al suo interno, laboratori, forge e tre guardiani è un mistero, avrà il diametro di 3 metri quella torre.”

    All'improvviso da una crepa dallo sterile terreno del posto sbucò fuori una creatura quadrupede, zampe pelose e torso squamoso con parti che sembravano carapace di insetto o crostaceo di un marcio colorito marrone e grigio misto, dove doveva esserci la testa vi era un coso appuntito e lungo con zanne ai lati, ma senza una vera bocca se non un foro sulla punta di quell'orrido muso appuntito, sembrava voler affettare il gruppo con quelle orride zanne deformi.

    “C'è miss universo dietro di me, vero?” disse Shifter con fare ironico e disinteressato.

    L'essere balzò a dosso a Samah'el che diede un pugno alla creatura, nonostante ciò una zanna aveva lacerato profondamente la carne del vampiro, ma il Dumahim parve non interessarsene. Un potente colpo cinetico di tenebre colpì la creatura, ma non sortì alcun effetto di cecità in quanto l'essere non presentava occhi.

    “Amico mio hai trovato un cane? Guardalo quant'è carino e pimpante! Lo chiamerò Fuffy! Fuffy vieni qui che ti accarezzo il pelo!” disse mentre le ali si tramutarono in grosse mani artigliate e demoniache.

    L'essere si fece avanti, il mietitore cercò di evitarlo ma invano e si ritrovò con un grosso taglio profondo nel torace a causa di una di quelle zanne, il Dumahim si fece avanti pronto ad attaccare si preparava a stordirlo con una delle sua magie quando un pozzo oscuro d'ombra apparve sotto la creatura che sprofondò mentre mani nere artigliate lo trattenevano.

    Shifter si fece avanti,una mano impiantata nella ferita profonda estrasse il dente del mutante, mentre il torace sanguinava macabro sangue nero... ammesso che quello fosse realmente sangue.

    “Pezzo di merda! Per poco non mi trafiggeva il cuore!”

    Shifter aprì la bocca e sembrò divorare qualcosa, un'anima, ma Sameh'el non poteva vederla, la profonda ferita si rimarginò leggermente

    “Di questo passo non potrò mantenermi in questo mondo a lungo...”

    I due Neoshadow riemersero mentre il Darkball sotto forma gassosa fluttuava dietro il padrone assieme al misterioso pipistrello.

    “Ve lo siete mangiato immagino...va bene...” il mietitore rimase immobile e a bassa voce iniziò a contare fino a 3, al 3 apparve vicino a lui una nube nera che fu trafitta dalla mietitrice prima che potesse prendere forma.

    “Bene! Andiamo!” disse risoluto Shifter al suo verde compagno d’arme che, assistito alla scena, non aveva potuto fare altro che stupirsi di tanta tecnica e forza. La ferita gli sanguinava copiosa, estrudente una strana gelatina viscida e appiccicosa al tatto.

    Il gruppo si rimise in marcia fino a giungere vicino al fiume di lava bollente, perfino la terra era molto calda, Shifter nonostante l'odio che aveva per il calore sembrava non soffrirne molto a differenza del vampiro.

    “Vicolo cieco...Le cose sono due, o hai un paio di occhiali con te oppure attraverso nel Regno Spettrale sperando che il magma non sia qualcosa di peggiore in quel mondo, purtroppo il mio caro Shade non sopporterebbe di levitare a lungo sopra il magma. Se siamo fortunati potremmo incontrare dei lumaconi, da quello che ho visto il sangue loro lo mantengono umano almeno, dovrebbe esserti utile.”

    Il mietitore scomparve, ma si ritrovò davanti un Arconte Dreadnought e un Arconte Mietitore,

    “Grazie Dark Eden per le tue bellezze!”

    Le creature si avventarono contro Shifter, tuttavia i Proxy che lo avevano seguito contrattaccarono i mostri, e dopo bava risucchio di energia spirituale e quant'altro gli Arconti poco prima di morire furono aggrediti e divennero cibo per i cuccioli dell'oscuro mietitore, mentre banchettavano lui attendeva, contò a bassa voce fino a tre e con un fendente netto distrusse due nubi oscure prima che prendessero forma.

    Dopo aver divorato alcune anime Shifter osservò il magma, era divenuto blu scuro nel regno spettrale e sembrava molto più solido, lo tocco con un piede e vide che il magma era curiosamente solido. Nessun pericolo... probabilmente essendo molto denso nel regno spettrale esso divenne solido, similmente a come accadeva col fango.

    Attraverso il fiume e vide non molto lontano una leve, convenientemente. Riprese materia e azionò la leva. Dal fiume emerse un ponte di un materiale simile a roccia, sia Samah'el che Shade lo attraversarono senza troppe storie. E poco distante da loro c'era la torre del Dark Eden, così i tre si incamminarono.

    “Sai Samah'el, c'è un mio amico, Frigobar, che mi ha detto come mai l'acqua è dannosa per i vampiri. Mi ha detto che siccome è formata da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, e a causa della forma della molecola essa si incastra nel bolo dell'epiglottide che nei vampiri, eccetto nei Rahabim, risulta essere più appuntito e quando le molecole si sono incastrate il soggetto muore soffocato! E' davvero così?”


    Il vampiro lo fissò con uno sguardo che rasentava lo scetticismo. Non disse nulla e si limitò a grugnire ma Shifter continuò lo stesso;

    “Si! Hai ragione, è ovvio che ha ragione! Secondo me il magma uccide perché gli atomi si incastrano nei pori...”

    Il demoniaco Dumahim alzò gli occhi al cielo, era totalmente disinteressato a quella conversazione senza alcun senso logico.
    Alla fine arrivarono davanti alla torre, apparentemente troppo strette per poter muoversi agilmente, prima che potessero entrarvi sentirono dei versacci dietro di loro, vi erano due orrende figure deformi, corpo da uomo, ma da bacino in giù esso era ovviamente il piede di una lumaca, il torace invece era coperto da squame rettiliana e la pelle viscida e verde, coperta di bava. Gli orrendi esseri si avvicinarono con un fare minaccioso, uno di loro sputò dalla bocca della bava verde velenosa che colpì Shade, il piccoli pipistrello subì dei danni, ma grazie alla sua natura velenosa, l'effetto venefico di quell'orribile liquido non ebbe effetto, perfino i danni dovuti a quella bava sembravano superflui ad una creatura come Shade, ma per gli altri due non sarebbe stata una cosa così semplice.

    “Sembra che i nostri scattanti amici bavosi ci stavano seguendo da un po, è un vero peccato che siano riusciti a raggiungerci sono ora ahahahahah! Fammi solo un favore, cerca di non ucciderli e al resto ci penso io!”

    La battaglia fu...noiosa, anche se i nemici colpirono Shifter con la bava avvelenandolo, Samah'el riuscì a difendersi abilmente dai loro colpi, anche Shade cercava di colpirli con la bava tossica, anche i Proxy, che si rivelarono solo in quell'istante combatterono. Shifter fu ridotto allo stremo a causa del veleno, ma i nemici ormai fin di vita avevano perso, Shifter schioccò le dita e i suoi servi piombarono addosso alle creature straziate, ne divorò l'anima, ma prima che il vampiro potesse berne il sangue Shifter disse;

    “Al mio via sferra un potente cazzotto a terra in quel punto esatto!” disse Shifter indicando un punto specifico distante pochi centimetri dalle due creature.

    “VIA!”

    Appena detto ciò il Dumahim diede un cazzotto e due figure tenebrose non formate che erano appena apparse sfumarono, non appena quelle misteriose sagome tenebrose scomparvero il Dumahim ne approfittò per bere il sangue dei due mutanti, quel tipo era l'unico che manteneva il sangue umano.

    “Ben fatto mastodontica macchina da guerra, tuttavia è meglio che entro solo io nella torre, non credo riesca a contenerci entrambi... fai la guardia” disse Shifter mentre entrò nella stretta torre.
    Il dumahim si fece schioccare la spina dorsale, portando le braccia all'indietro. Il silenzio, finalmente, soddisfacente vuoto che, ahilui, durò molto poco. La voce di Shifter gli trapanò le orecchie tanto da farlo sussultare;

    “Lascia perdere! entra pure!” disse una voce che veniva da dentro, Samah'el sembrava riluttante, ma vi entrò... quello che scoprirono fu inaspettato.
    La torre era immensa all'esterna, pavimenti e colonne rosse decorate con serpenti avvinghiati del medesimo colore, bordi bianchi sia nelle colonne che nelle pareti, un arredamento monotono e uguale, ma allo stesso tempo fastidioso da vedere per tutto quel rosso... non sembrava nemmeno il colore naturale, ma del sangue usato per dipingere ed arrendere l'orribile luogo...

    “Ok! Non me ne frega più un cazzo dell'armatura, dei mutanti o di quel che vi pare, ora pretendo e RIPETO PRETENDO DI SAPERE! COME CAZZO QUESTA TORRE SIA GRANDE COME UNA CITTA' SE ALL'ESTERNO ERA STRETTA COME IL CULO DI UNA RANA!!! Non mi frega niente chi viene qui a dirmelo, voglio che qualcuno venga e me lo dice ora!”
    Rimasero fermi per alcuni secondi

    “Nessuno? Davvero?” si guardò attorno

    “Mi domando che droghe giravano tra i guardiani per creare un posto come questo...”

    il Dumahim fece un sospirò pesante, le spalle rilassate e la testa leggermente chinata in avanti;

    “La missione…”

    Shifter lo guardò con un sorriso ben poco rassicurante

    “Ben detto ,amico mio, la missione! Te l'ho detto che parli poco ma quando parli dici cose molto intelligenti!”


    L'oscuro gruppo salì delle scalinate, ma ad un certo punto Shifter lo fermò

    “Fermo!”

    Shifter si guardò attorno, come se avesse percepito qualcosa.Samah’el ne aveva decisamente abbastanza di quel comportamento poco consono ad una missione.

    “Senti…Non pos-”

    Shifter lo zittì nuovamente, aveva un’espressione seria questa volta;

    “No! Questa volta è serio! Sento delle presenze oscure qui...quattro per l'esattezza...ma non riesco a ca- PROXY! Qualcuno è stato qui prima di noi! Molto prima di noi, quei così stanno facendo la guardia a qualcosa...”

    il Dumahim lo guardò, ma sempre con volto gelido, forse era sorpreso, ma non lo dava a vedere...

    “Controllali..”

    Shifter lo guardò

    “Non funziona così, tutti i Proxy di Nosgoth hanno un leader, io faccio parte di essi, ma mi sono ribellato a loro in un certo senso, diciamo che ho dei fratelli... io non posso comandare i loro Proxy e loro non possono comandare i miei, almeno finché non muoiono... quando uccisi i miei fratelli Doppia Lama e Behemoth Rex tutti i Proxy che erano sotto il loro controllo sono ora in mio potere... ma loro... loro sono collegati ad un'altra creatura... era qui... lo posso sentire... dobbiamo agire con cautela, non sappiamo cosa possano fare...”

    Le oscure creature avanzarono e si ritrovarono davanti ad un pavimento spinato, sopra di esso vi erano mutanti impalati

    “Qualcuno deve aver fatto un bello spiedino di mutanti a quanto pare... non ho mai visto dei Proxy poter fare cose del genere... chissà che poteri potrebbero avere...”

    Sameh'el si avvicinò e finse di tossire portandosi una mano sulla bocca.
    “Ah! Giusto le trappole! Shade è il tuo momento!”

    lo spettrale pipistrello levitò oltre la trappola senza troppi problemi e nella stanza davanti, piena di tavoli con pozioni di vario colore, colonne, cadaveri mutilati e organi sotto vetro... vi era una leva su una colonna, Shade la attivò con la bocca facendo abbassare le spine

    “Ottimo lavoro cucc- DIETRO DI TE!”

    Shade si voltò in tempo schivando quello che sembrava essere una colonna vivente che attaccava cercando di impalare il volatile.

    “CHE CAZZO E' QUEL COSO!!! Mastodonte, DISTRUGGILA!”

    Disse Shifter tramutando le ali in due enormi martelli, il Dakrball tentò invano di tenere ferma la colonna che sembrava fatta di gomma, ma era molto solida, essa si muoveva e dimenava come se fosse un tentacolo, colpendo gli avversari attorno. Lacerati e feriti. Nonostante tutto il gruppo a suon di martellate e forti colpi riuscirono a distruggere la colonna, ma quello che ne uscì fu sorprendente.

    Gli esseri videro una piccola creatura nera gassosa con una bocca con zanne nere, piccoli occhi tondi e gialli e quattro spine viola poste a formare un quadrato attorno al volto, l'essere sembrò ridere e scappò passando attraverso un muro.

    “LO SAPEVO! E' una specie di Proxy che non ho mai visto fino ad ora! Può impossessarsi e controllare gli oggetti, direi che il nome più adatto sia Possessor!”

    il Dumahim guardò Shifter , il suo sussurro volò rapido e veloce, quasi a voler sfondare il cervello di shifter, echi di rimproveri e chiamate alle armi adornarono il monito del dumahim;

    “NOMI?! Non è Tempo!”

    Shifter sorrise

    “E' sempre il momento dei nomi, ogni Proxy ne ha bisogno di uno, come dovrei chiamarlo altrimenti? Palla fumeggiante spinata?”

    il Dumahim si limitò a mostrargli i denti con un grugnito frustrato

    “Sai almeno dove stanno le forge del tuo clan? “

    il Dumahim indicò una scalinata con ai lati stendardi viola con il simbolo di Dumah

    “Ah! Non ci avevo fatto caso!”

    Si diressero verso la scalinata rossa e durante il cammino un altro Possessor apparve venendo fuori da un muro, piombò addosso all'unica cosa che si poteva impossessare: Samah'el!
    Ed entrò dentro il vampiro. Esso fu pervaso da del fumo nero per tutto il corpo. Si accasciò e stava ovviamente soffrendo... combattendo contro l'essere al suo interno per mantenere il controllo

    “SAMAH'EL! COMBATTI! PUOI VINCERLO!” Gli gridò il mietitore, mentre Samah'el strinse i denti senza emettere il minimo suono, si porto una mano al torace e se lo bucò di netto con gli artigli possenti, molto sangue iniziò a traboccare, poi estrasse la creatura parassitaria dal suo interno e la scagliò via! Esse fuggì attraverso un muro.

    “Non pensavo che ora si facessero vedere anche da altri... "

    "AFFASCINANTE...ne convieni?!?" il mezzo sangue ruggì nella mente del mietitore con tono sarcastico e decisamente arrabbiato, tenendosi il torace con una mano.

    "Resisti, ti vado a cercare del sangue!”

    Shifter corse attraverso le scale ed arrivò in una sorta di sala chirurgica con bestie ed animali di ogni genere usate per crearne di nuovi e orripilanti! Creature talmente orrende che nessuno avrebbe mai nemmeno immaginare, vi erano cadaveri di umani, bestie di ogni sorta e altro, incatenati, ingabbiati o bloccati nei tavoli, Shifter si mise a cercare e a cercare, quando vide sotto un tavolo un lumacone, morto apparentemente di recente, apparentemente impiccato da una catena che si era spezzata, ma aveva ancora al collo, forse uno di quei Possessor aveva preso possesso della catena per uccidere l'indesiderato ospite...

    Shifter prese la bestia e la trascinò dietro sfruttando le ali tramutate in tentacoli per portarlo al demoniaco vampiro.

    “Bevi! Non ti farai mica sconfiggere da un ammasso di fumo e aculei spero!”

    Samah'el provò a rialzarsi e prosciugò completamente l'essere, non sprecò nemmeno una goccia di sangue, la ferita al torace presto si rimarginò.

    “Stanco…di Proxy…Oscene Creature…” sussurrò decisamente frustrato.
    “Grazie al cielo! Dobbiamo sbrigarci! Non riuscirò a trattenere il mio corpo qui per molto tempo e dobbiamo trovare quel pezzo di armatura...”

    il mastodontico essere lo guardò e si alzò , camminando con passo leggermente tremolante verso la sala chirurgica, li vi era un cancello con le insegne di Dumah.
    Il gigante puntò verso il cancello, si avvicinarono e il Dumahim buttò giù la porta con un colpo di spalla . Nella stanza vi erano moltissimi stendardi Dumahim e simboli incavati nelle pareti rosso sangue, con vari macchinari di forgiatura, scrivanie, macchinari e altro... Samah'el iniziò a esaminare il posto impazientemente, mentre Shifter trovò una cosa davvero curiosa... il cadavere di un Rahabim... aveva una sorta di tubo conficcato nella testa e il petto squarciato, senza cuore, il tubo era collegato d un macchinario vuoto, apparentemente prima vi era qualcosa... appena Shade vide il cadavere iniziò ad urlare e a stridere, sputò contro la faccia un getto di saliva tossica, era certamente infuriato e sembrava conoscere quel Rahabim, Shifter si avvicinò a lui .

    “CALMA! CALMA! Shade, è morto, se ti ha fatto del male... beh... ora non te ne farà più!”.

    lì vicino c'era un quaderno, Shifter o prese e lo lesse, mentre Shade stava dietro di lui a scrutare il misterioso oggetto.

    “-non leggibile- hanno distrutto ogni possibile minaccia presente qui, ormai il luogo è abbandonato da quei bifolchi cerebrolesi dei Dumahim... creature disgustose...-non leggibile-rà più potente con l'aiuto di queste creature, il padrone mi ha consentito di usare varie cavie per i miei esperimenti, se tutto va bene loro risulteranno -non leggibile-nche se risulteranno controllabili solo dal secondo, i due campioni sottometteranno la cattedrale... l'infusione dell'elemento Morte sembra essere il miglior modo per renderli affini al mio più grande esperimento... presto sarà pronto...il pipistrello sarà la mia prima cavia, se tutto andrà a buon fine, continuerò il progetto... forse usando anche creature leggendarie, considerate mitolgiche dagli umani...ma questo corpo non può più essermi utile...un mediocre vampiro non può nulla con questo potere... ho bisogno di diventare come loro, ma devo mantenere il mio intelletto superiore... queste macchine faranno al caso mio! E lui mi riterrà degno di fiducia! Non sarò più un semplice scienziato del suo grande piano!”


    Il mietitore ripose il quaderno, osservò Shade e pensando agli esseri nella torre e ciò che gli disse il fratello Behemoth Rex prima di morire comprese che Shade era un pipistrello mutato artificialmente da qualcuno... dalla stessa creatura che gli aveva dato vita...Shade era destinato ad essere compagno di Shifter, ma proprio come lui, anziché diventare un'arma contro l'Alleanza ne divenne alleato.

    “TROVATO!” disse una voce echeggiante ed oscura, Shifter e Shade furono attratti verso la fonte, li vi era Samah'el con davanti a lui pezzi di armature scartate o inutilizzate, materiali da fabbro e un pezzo di armatura dal colorito verde, con il simbolo dei Turelim.

    “I miei complimenti, ora prendiamocelo e andiamocene”

    Prima che potessero prenderla tuttavia un Possessor apparve, dietro di loro altri 3, le oscure creature si aggregarono insieme creando un essere ancora più grosso.

    “…io..li odio i Proxy…” sibilò Samah’el
    “Ok! Quello lo chiamo Possessore Massiccio!”
    “FALLA FINITA!”

    La creatura prese possesso delle varie armature e attrezzi, inclusa quella dei Turelim diventando un enorme golem di metallo.

    “Ok! Siamo fottuti!”
    Il dumahim annuì tristemente, fissando quella mostruosità implacabile.

    il golem attaccò con un potente pugno che scaraventò lontano tutti e distrusse buona parte dei macchinari, avanzando tuttavia un suo piede finisce per sbaglio in una fornace e sembrò soffrirne.

    “Ma certo! Shade! Distrailo! Sam-”

    Prima che potesse finire la frase il vampiro si era già buttato nella lotta capendo già cosa doveva fare, Shifter creo due grossi pugni con le ali e sfruttando loro, la mietitrice e i Proxy.

    I danni furono devastanti, tra pestate e colpi con gli attrezzi fusi al colpo, Shifter era allo stremo, i Proxy pure non sarebbero sopravvissuti a lungo, solo Samah'el sembrava sopportare i colpi del gigante di metallo, ma forse anche lui era allo stremo, ma cercava di non farlo notare con espressione sempre gelida e inespressiva. Sembrava finita, ma Shifter all'ultimo ebbe un'idea, trasformò le ali in una corda che mise ai lati della sala, mentre Samah'el cercò di mandare all'indietro l'essere, esso inciampò grazie alla corda cadendo in parte dentro la fornace dove parti delle gambe si stavano fondendo per il calore.

    Il Possessore Massiccio uscì fuori da quella specie di Golem, fu in quel momento che i Proxy di Shifter uscirono e aggredirono il loro simile divorandone l'essenza senza alcuna pietà, mentre Shifter con un sorriso malefico si accasciò a terra e disse

    “Fottiti!”

    e svanì nello Spettrale, pochi secondi dopo anche i Proxy seguirono il padrone.

    Il Dumahim alla fine della lotta si ritrovò solo con Shade, si avvicinò ai resti del golem e lì vide quello che erano venuti a prendere... l'armatura Turelim, un po’ ammaccata, ma non riportava altri danni. Con mani gentili, il mezzo sangue la tirò su, la ripulì dalla polvere e poi se ne andò. Uscito dalla torre si sedette vicino all'entrata, aspettando qualcosa... Shade si avvicinò a lui, quasi a volersi far accarezzare, il Dumahim gli diede una lieve grattata dietro una delle grandi orecchie pallide simili ad occhi, anche se il volto era sempre apatico, ma quel gesto forse era la cosa che più si avvicina ad un segno emotivo. Lo sguardo caprino venne catturato da qualcosa all’orizzonte, le orride e aspre montagne intorno al Dark eden non erano tutte uguali. Alcune sembravano più aguzze e contorte di altre, alcune sembravano brillare di un rosso familiare.
    Samah’el aguzzò la vista in direzione sud est e intravide qualcosa che la sua anima sapeva bene essere uno di quei mostri di pietra rossa, un Menhir. Ne sentiva la presenza, non era lontano, da lì poteva quasi vederlo, era nascosto tra i picchi neri di quel mondo ostile, il Dark eden nascondeva molti più segreti di quanto Nosgoth tutta poteva immaginare. Avrebbe voluto andare dal suo vecchio amico di granito ma aveva promesso fedeltà a Kainh, fedeltà totale e lealtà pura e disobbedire ai suoi ordini non sarebbe stata cosa da tollerare. Glie ne avrebbe parlato quanto prima ma in ben altra sede, dopo tutto non gli era stato vietato di trovarli, ma di assimilarli.

    All'improvviso si udì qualcosa “BANZAI!!!!” Shifter si gettò dalla cima della torre accompagnato dai 2 Neoshadow e dal Darkball, atterrò bruscamente a terra, ma sembrò non risentirne.
    Samah'el lo guardò senza dire nulla

    “Lo sai, sei proprio un chiacchierone, non posso parlare che tu mi parli sempre sopra, ma ora dimmi, perché sei interessato a quell'armatura”

    Il Dumahim lo guardava, ma non esprimeva nessuna emozione

    “L'ho capito che ti eri affezionato, ho notato una lieve diminuzione della tua ira diciamo, come se fossi soddisfatto di averla trovata, ma non per l'Alleanza, ma per te...”

    Samah’el si alzò lentamente, tenendo il piccolo Shade tra le mani con una delicatezza inaspettata. Lo lasciò tornare verso il suo spettrale padrone mentre una voce si infilava tra le pieghe del cervello di shifter;

    "Quell'armatura...forgiata dal mio Clan...Forse è passata...tra le mani ...di Veive, forse...Lei era li quando...è stata forgiata...é un pezzo...della mia storia...Del mio Clan...capisci?"

    Shifter lo guardò soddisfatto

    “Vola dai tuoi superiori e digli che la missione è compiuta”

    il Dumahim lo guardò, ma con il suo solito fare apatico

    “E tu?”

    Shifter sorrise

    “Non preoccuparti, anch'io ho un trofeo”

    Disse mostrando il quaderno degli appunti che aveva trovato nella forgia.
    “Shade andiamo!”

    Il pipistrello andò da lui

    “Ci vediamo amico!”

    disse Shifter incamminandosi per tornare a casa, mentre il Dumahim, indossato il pettorale per poterlo trasportare meglio, si tramutò in piccoli colibrì dal rosso piumaggio e volò verso il Crocevia...


    :misto:




    -NON MOLTO TEMPO DOPO-
    Un uomo correva, correva verso la torre del Dark Eden, incurante dei mutanti che lui schivava, sapendo alla perfezione come fare, entrò nella torre e urlò “LA TORRE E' PIU' GRANDE ALL'INTERNO CHE ALL'INTERNO PERCHE' UN GIORNO DEJOULE SI AMMALO' E AZIMUTH LA SOSTITUI' E SICCOME LA TORRE ERA STRETTISSIMA L'HA INGRANDITA CON I SUOI POTERI DA GUARDIANA DELLA DIMENSIONE!” poi si guardò attorno “Chissà perché stamattina mi sono svegliato con la tremenda voglia di arrivare fin qui e urlarlo, ma va beh, ora mi sento meglio. FRIGOBAR ORA TORNA A CASA!!!” e l'uomo se ne andò.

    hr_line



    Edited by skulker87 - 19/9/2014, 13:41
     
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    Epilogo della prima missione


    Samah'el Khan tornò solo al Palazzo dell'Alleanza.
    Portava con sé quel pezzo di armatura che Kainh aveva richiesto.
    “Bentornato Samah'el” disse lui il senzacuore, accogliendolo tra le mura del nuovo Palazzo , dove i ghoul erano ancora al lavoro per rifinire qualche costruzione.
    Egli notò l'assenza di Shifter
    “Dov'è, il tuo compagno?”
    “Tornato alla sua casa” sussurrò il mezzo-demone
    “Capisco”
    Allora Samah'el porse l'armatura al Guardiano, che l'osservò soddisfatto
    “Questa la esamineremo meglio, raccontami il resto”
    Alla fine del racconto, che il dumahim fece anche in vece di Shifter, Kainh parve un poco stupito
    “Allora le forze del Dark Eden sono meno forti del previsto, dal momento che tu e Shifter non avete avuto grandi problemi nell'affrontarli. Questa volta non riceverai nessun dono oscuro, ma avrai la possibilità di riscattarti, non preoccuparti, mio fedele emissario”

    Samah'el Khan e Shifter non guadagnano nulla
     
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    Ai piedi dell'austera raffigurazione dell'essere attorno cui avevano ruotato i destini di tutte le anime di Nosgoth, due figure attendevano.
    Nella penombra, le loro sagome così diverse l'una dall'altra stagliavano riflessi sinistri sulle mura interne del territorio che un tempo fu dei discendenti più prossimi degli Antichi, i Razielhim.
    L'ombra dalla corporatura massiccia si osservava attorno con impazienza, apparentemente scalpitante; l'altra figura, più esile, si limitava a compiere lenti e leggiadri passi tra le statue, forse ammirando i loro lineamenti, forse rimuginando sulla loro simbologia.
    Attesero, insieme, fino a che tra le sale ed i corridoi del Crocevia non irruppe un nuovo suono di passi, questa volta veloci e cadenzati.
    Giunse una terza figura al cospetto della commemorazione di Raziel, palesandosi agli occhi dei presenti dopo aver percorso quei luoghi nel Reame degli Spettri.

    "Naeryan, bentrovata anche qui, al fine"
    Si rese più visibile poi, avvicinandosi con fare distaccato all'essere imponente.
    "Tu devi essere Samah'El Khan invece...Sei già stato qui, vero? Kainh mi ha parlato di te. Come del tuo...temperamento."
    Continuò ad osservare il Vampiro, che per tutta risposta accennò con una smorfia a scoprire le sue zanne, smorfia seguita da un veloce ma greve ringhio gutturale, misto ad echi strozzati provenienti da luoghi remoti della sua anima.
    "Ho familiarità con le anime tormentate, Samah'El, non fraintendermi..." aggiunse il Mietitore, come a voler rassicurare l'essere davanti a lui di non essere di fronte ad un nemico, od un insensibile.
    " ...cosa vuoi da noi...? " fu la sua risposta. La sua voce apparve distorta, come irretita tra mille lamenti di cui non vi era corpo. Il Mietitore rimase lievemente scosso da quei suoni, osservando ancora una volta il Dumahim prima di rispondergli.
    "Vi ho chiamato qui perché io e Kainh pensiamo possiate svolgere un compito per conto dell'Alleanza, insieme. In effetti, Naeryan è la più indicata per ciò che sarete tenuti a fare, ma immagino che il buon custode della Cattedrale del Sangue veda del potenziale in te, Samah'El. "
    La Mietitrice si riscosse dal suo iniziale torpore osservandolo con nuovo interesse
    "Cos'hai in mente, Rekius?" sembrava sospettosa nei confronti del suo compagno di Cattedrale, il quale per tutta risposta fece un passo indietro prima di spiegarsi a loro...
    "Si tratta di un rapimento."
    "COSA?!"
    "Oh, ma aspetta di sentire il resto, ed il motivo per cui vi chiedo di farlo."

    :misto:

    :cds: :cda:
    Samah'El - Naeryan
    Adepto - Adepta


    "A Meridian da tempo è stato istituito un convento di clausura. I monaci al loro interno sono dediti alla produzione di erbe mediche, trascrizione di testi e accoglienza del prossimo. Ciò che i nostri informatori ci hanno riferito però, è che il padre superiore ha creato questo tempio dopo aver deposto i suoi abiti da cenobita. Tempo addietro infatti, pare fosse un evocatore di demoni nel periodo dei disordini di Avernus, ritiratosi a vita monastica dopo un suo presunto pentimento ed abdicazione da quegli eventi infernali.
    Sebbene egli non voglia più sapere nulla di ciò che riguarda il mondo dei demoni, è l'unico di cui io sia a conoscenza che possa aiutarmi nel decifrare l'utilizzo di uno strumento da me recentemente reperito.
    Il vostro compito è "prelevare" quest'individuo dal monastero senza che gli altri eremiti possano accorgersene, così da non disturbare le loro opere di bene. E' un incarico scomodo, che non affibbierei a chiunque, ma qualcuno deve pur sporcarsi le mani...
    Non sono a conoscenza dei reali motivi per i quali padre Abbath si sia rinchiuso in quel convento, per cui mi piacerebbe saperne di più. In ogni caso, portatelo qui una volta preso, così che io e Kainh potremo approfondire le sue conoscenze... "

    LDR 3.5



    "Vi chiederei di convincerlo a venire da noi, ma sembra impossibile. Ho bisogno di lui, anche a costo di rapirlo, per comprendere come utilizzare quell'oggetto per i nostri scopi..."

    Post-it : Missione momentaneamente "rinviata"

    Edited by Rekius - 17/4/2015, 17:32
     
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    LA SOTTILE LINEA TRA IL BENE E IL MALE



    Capitolo I
    La Capitale



    Naeryan_Drappo_c_zpsc9048d46



    L’antica roccaforte del nostro Patriarca, Raziel, si ergeva maestosa in una gola tra le montagne a Ovest dei Pilastri. Ingoiata dall’oblio del tempo, a lungo era giaciuta in rovina, muta e decadente testimone del passare degli eoni. Di recente, però, l’Alleanza l’aveva restaurata. Molte cose erano cambiate, ma la struttura era rimasta immutata. Lo stendardo col simbolo del nostro Sovrano svettava in cima alle torri e alle imponenti arcate, sospinto dolcemente dal vento. Al centro della struttura, in quella che un tempo era la corte, si ergeva la statua di marmo di Raziel da vampiro.
    Essa ci fece da testimone, mentre il Cavaliere del Ghiaccio attribuiva a me e a Samah’el Khan un’insolita missione. Richiedeva sottigliezza, acume e furtività…. Tutte qualità in cui il Dumahim non eccelleva. Ma poteva essermi utile come un valido aiutante, pensai, riflettendo su come avevamo combattuto bene nel nostro primo incontro.
    Una volta che il nostro mandante si fu allontanato, mi voltai verso il gigante.

    “E’ lunga la strada fino a Meridian… Ci sono stata una volta. E’ ad almeno un giorno di viaggio da qui. Direi di velocizzare il tutto, che dici? Io posso correre senza stancarmi nello Spectral e quindi fare una tirata unica. Tu?”

    Il Dumahim contrasse il muso in una smorfia.

    “...pipistrelli…. viaggio in volo… conoscere solo Freeport… mai andato… più in là”
    Così s’insinuò la sua gutturale voce, rimbombante di echi, nella mia mente.

    “Allora diamoci una mossa, compagno. Ti raggiungerò a Freeport e da lì andremo a piedi fino alla Capitale.”
    Vidi giusto Samah’el disgregarsi in centinaia di piccoli uccellini rossi dal lungo becco sottile, prima di svanire nello Spectral.

    Corsi a perdifiato, lungo le vie e i sentieri che tagliavano la valle e le foreste. Dalla roccaforte alla città portuale c’erano parecchie miglia. In parte quel tragitto mi era familiare, avendolo percorso tempo fa, quando ero alla ricerca di risposte e volli conoscere meglio il nuovo mondo in cui ora vivevo. Ripensai agli avvenimenti passati della mia non-vita, alle persone perdute per sempre, ai nuovi legami acquisiti. Pensai al mio benefattore Tsahr, ormai ben lontano in esotiche terre ancora inesplorate, assieme al suo clan. Il suo unico lascito era il suo ciondolo di labradorite, ancora appeso al mio collo, iridescente. Era curioso come quella pietra trasmettesse un senso di pace e di tranquillità, una specie di energia positiva, che più di una volta mi aveva dato la forza per andare avanti nelle mie missioni.
    Pensai alle mie nuove “amicizie” con i membri dell’Alleanza. Stava diventando radicata in me, piano piano, la visione dell’Alleanza come la mia nuova famiglia e i suoi componenti come fratelli; mi sentivo sempre più partecipe delle loro cause, sempre più in sintonia con i loro ideali. Certo, molti di loro erano estranei, che ancora non avevo conosciuto personalmente. Molti di loro avevano caratteri un po’ difficili, considerai, ripensando al Dumahim, o inusuali, come il Cavaliere del Terrore. Ognuno di loro però, aveva la propria storia, segnata da traumi e da sofferenze passate. Ognuno di noi era accumunato da ciò.
    Forse era proprio il segno del destino, riflettei. L’Alleanza come mezzo di redenzione di Nosgoth… e di redenzione di noi stessi. Una chance di riscatto per il mondo intero, per i salvati e per i salvatori. Ironico, ma decisamente appropriato.

    Mentre ero immersa in tali pensieri, il tempo scorreva rapido, così come il suolo sotto i miei passi. Non c’erano troppi spazzini di anime in giro e gli sparuti gruppetti che inframmezzavano il mio cammino venivano accuratamente evitati deviando su strade secondarie.
    Dalle valli si passò ad un panorama più montano. Davanti a me si stagliavano le vette che proteggevano Freeport dagli attacchi via terra. L’unico accesso era il valico tra le montagne, percorso ambito in estate da mercanti e viandanti frettolosi, il cui tempo era denaro e non poteva essere sprecato nell’aggirare i giganti di roccia, ma che diventava pericoloso d’inverno, quando era occluso dalla neve.
    Il sentiero era stato abilmente scavato in modo da rendere agevole la salita. Largo a sufficienza da far passare i carri dei mercanti, la via serpeggiava lungo i fianchi delle montagne per poi gettarsi oltre il valico verso la pianura dove si stagliava la città portuale.
    Emersi a debita distanza dal sentiero, per non attirare su di me attenzioni non volute. Mi guardai attorno. La luce del sole filtrava fiocamente dalle nubi che ricoprivano il cielo. Era una fortuna, poiché Samah’el non avrebbe resistito a lungo sotto la luce diretta.
    All’improvviso sentii un ululato gutturale in lontananza. Capii che era il vampiro. Un segnale per localizzarmi o farsi localizzare. Seguii il suono e ben presto mi ritrovai in una radura tra la boscaglia vicino alla città. Il vampiro mi attendeva seduto su un masso nella sua forma lupesca.

    “…Dama in ritardo…troppa gente… per strada…luce forte…”

    Echi di animaleschi ringhi accompagnarono le sue parole.

    “Questo potrebbe essere un problema. Dissi, ignorando il suo rimarco. “Seguiremo il sentiero tra i boschi, così sarai un po’ più difeso dalla luce. Basterà andare sempre verso Est e ben presto ci ritroveremo a Meridian.”

    Il lupo dal volto metallico non disse nulla, non confermò né smentì le mie parole ma alla fine mi seguì.

    Senza troppe difficoltà riuscimmo a percorrere i sentieri tra i boschi, arrivando a Meridian nel pomeriggio. Ci dirigemmo su un’altura nei pressi e studiammo il luogo. L’enorme città era difesa da alte mura e da torri di vedetta guarnite di soldati Saraphan. La strada maestra, che avevamo accuratamente evitato, conduceva ad un imponente cancello aperto, una delle principali entrate della città. Delle guardie scrutavano i passanti, dissuadendo eventuali ladruncoli e malintenzionati dal creare guai.

    “Non possiamo passare dentro così… almeno, di sicuro non tu. La tua mole non passa di certo inosservata.” Riflettei. Per tutta risposta, il dumahim, mi apostrofò con una salva di schiocchi di gola dal tono molto irritato.

    “Ecco! Laggiù! Riconosco quegli edifici! Quando sono stata a Meridian ho visto solo una parte della città, i quartieri dei proletari e dei poveri. Quella zona non era particolarmente difesa, escludendo le solite pattuglie di soldati Saraphan. Ma non so nulla della città alta. Non ho idea di che difese ci possano essere, ma è la capitale dopotutto… E’ ovvio che ci sia più sorveglianza. “

    “Senti…” Mi voltai verso il vampiro, guardandolo pensosa. “Che ne dici se vado un po’ in avanscoperta? Voglio rendermi davvero conto con cosa abbiamo a che fare, prima di lanciarci allo sbaraglio.”

    “Dovrò…. Aspettare… ancora… non sono… un cane…”

    Echi di disappunto si fecero strada nella mia mente, ma al tempo stesso percepii la rassegnazione del gigante, in quanto sapeva che la mia prudenza era ragionevole e per il bene di entrambi.
    Così ci demmo appuntamento lì, su quello sperone roccioso, al calar della sera.


    Ricorrendo allo stesso espediente utilizzato in passato, riuscii a introdurmi in città amalgamandomi tra la folla. I rumori e gli odori mi colpirono subito. C’era parecchia gente quella mattina. Seguii il flusso principale di carri e mercanti diretti verso il centro cittadino. Riconobbi la piazza dove tempo fa avevo assistito ad una sgradevole scena: potevo ancora rivedere, attraverso gli occhi della memoria, dei soldati prendersela con dei bambini che giocavano a palla. La mia espressione si incupì al ricordo di tale arroganza e spietatezza… Ben presto però, il panorama composto da basse case dai colori smorti, accalcate l’una sulle altre, dove poca luce filtrava, bancarelle sbilenche che esponevano le più variegate merci e file di persone smunte, dalle facce stanche e vesti logore, lasciò il passo a più ampie strade, palazzi più luminosi e alla piccola borghesia. Ora il passaggio di soldati era più frequente; armature più elaborate indicavano il loro rango e quindi il loro grado di pericolosità. Persino i cittadini tendevano a tenersi il più possibile alla larga da loro.
    Ancora mimetizzata fra la folla, seguivo le carovane dei mercanti, mentre sempre più soldati sfilavano in drappelli. Sapevo eravamo vicini alla città alta, il cuore di Meridian e della sua nobiltà scriteriata ed egoista. All’improvviso la fila rallentò fino a quasi fermarsi. Iniziai ad innervosirmi temendo un controllo dei Saraphan. E così fu infatti. Ci trovavamo d’innanzi ad uno dei cancelli che delimitavano la città alta dalle case dei proletari. Un’imponente muraglia li separava, quasi a ghettizzarli, dal resto della popolazione. Una città dentro una città…
    Quando fui più vicina, nel mio tentativo di carpire più informazioni possibili, vidi una barriera glifica sbarrare l’accesso. Gli umani, gli animali e gli oggetti potevano passare tranquillamente, ma vampiri e creature innaturali no. Per essi era un muro di acido, il cui solo contatto avrebbe bruciato le carni, inamovibile ed inevitabile. I soldati stavano controllando la merce, un carro alla volta; potevo vedere l’ennesima disparità di trattamento: questi controlli accurati non erano stati effettuati all’ingresso della città; d’altro canto, chi si sarebbe preoccupato se degli straccioni fossero morti a causa dell’introduzione di merci o creature pericolose? Inutile sprecare soldati per eseguire controlli a loro tutela, l’importante invece era proteggere la nobiltà, così che potesse proseguire imperturbata a oziare sulle spalle della borghesia e degli operai.
    Irritata, mi guardai in giro, alla ricerca di un vicolo dove potermi allontanare silenziosamente. Non vista, scivolai in una stradina tutta scalcinata che si snodava lungo il retro di numerosi palazzi. Proseguii, seguendo il profilo della muraglia, per un paio di chilometri e di nuovo vidi l’ennesimo cancello glifico. Capii non c’era modo di entrare nella città alta attraverso le porte principali.
    Decisi quindi di arrampicarmi sui tetti delle case e provare a scalare la muraglia. Mi infilai nuovamente in un vicoletto sul retro delle palazzine e mi arrampicai sulla grondaia. Questa, cigolando e protestando, mi sopportò quasi fino al tetto, quando all’ultimo momento delle viti arrugginite, corrose dalla pioggia e dal tempo, cedettero e l’intera sezione del tubo crollò rovinosamente a terra. Appena mi sentii cadere, feci un balzo con tutte le mie forze verso l’alto; le mie dita si strinsero sul bordo della grondaia sotto le tegole. Sentendo anche quelle minacciare di cedere, mi arrampicai frettolosamente sul tetto. Una volta sulle tegole mi guardai bene in giro. Trovai un percorso tra i tetti e iniziai a saltare di casa in casa, avvicinandomi sempre più all’imponente muraglia. Arrivata alla mia meta, scrutai le dure vecchie pietre; anche qui le intemperie non erano state clementi e avevano sbriciolato la pietra in più punti. Utilizzando tali asperità come appigli, iniziai la faticosa risalita. Non era affatto facile, nonostante pesassi poco: gli anfratti erano piccoli, le sporgenze sbreccate dei mattoni difficili da far presa e molte si sgretolavano sotto il mio peso. Stringendo i denti mi sforzai di arrivare in cima. Sbuffando, raggiunsi i merli del camminamento, non feci a tempo a tirare su il busto che sentii delle voci maschili alla mia destra.

    “Che casino che c’è in strada….”
    “Già… Da quando quel pazzo svitato di Faquarl ha annunciato il suo show di storpi e accattoni, tutta la città è in fermento. Bah!”

    “Eheheh, sarebbero da sbattere tutti in cella, quegli ignobili bastardi! Zingari ladri e pulciosi… Ma la gente sembra dimenticarsi dei problemi quando ci sono quei lunatici in giro; si rilassa, si diverte e improvvisamente le proteste degli straccioni si calmano. L’euforia li tiene buoni per qualche giorno e diventa più facile controllarli. Forse sarà la volta buona che quel verme di Tiros la smetta di sbraitare giù al porto, aizzando le masse… Poveri bifolchi! Non sanno cosa gli aspetta se provano anche solo ad avvicinare il loro naso nella piazza antistante la casa del Governatore! Ah!”

    Mi tirai giù immediatamente.
    Dannazione! Anche i camminamenti della muraglia erano pattugliati dai Saraphan! Premuta contro la dura pietra, lo sguardo allarmato, perso nel vuoto, cercavo febbrilmente di farmi venire un’idea…
    Da dove saremmo potuti passare altrimenti…?
    L’occhio mi cadde su uno sparuto gruppetto di ragazzini in strada. Questi stavano fissando la muraglia e indicavano qualcosa, parlottando tra sé. Rendendomi improvvisamente conto di quanto vistosa dovessi essere, iniziai a discendere.

    “Eeehiiii!!! Soldati!”
    I mocciosetti urlavano con quanta voce avevano, sperando di richiamare i soldati di guardia in cima al camminamento.
    Imprecando sottovoce, mi lasciai andare, frenando la discesa quanto bastava per non spiaccicarmi a terra. Le mie povere mani insanguinate dall’attrito mi bruciavano e pulsavano, mentre il suolo si avvicinava sempre di più. Balzai, staccandomi dal muro, e caddi pesantemente sul duro selciato. Rotolai malamente, ma mi rimisi subito in piedi. I ragazzini mi fissarono ammutoliti per un attimo per poi scappare a gambe levate. Uno però rimase. Mi fissava con aria di sfida, un sorrisetto maligno stampato in volto.

    “Io lo so cosa sei. Non mi fai paura.”

    “Cosa vuoi, ragazzino?”
    “Io so cosa vuoi tu. Tu vuoi entrare nella città alta, vero? Beh, non puoi, come hai notato da sola. Ma c’è un modo e solo io so come.”
    Detto ciò mi fece una linguaccia e scappò in un vicolo.
    “Ehi! Torna qui!”

    Mi lanciai all’inseguimento, rendendomi conto di quanto stupido fosse tutto ciò… Ma io non avevo altre idee e forse quel bambino sapeva in effetti qualcosa che potesse tornare utile.
    Correvo per la strada dissestata, schivando corde da bucato, panni, bidoni dell’immondizia, in una gimcana dettata solo dai capricci di un ragazzino. Mi sentivo sempre più frustrata e stupida.
    All’improvviso emersi da quel dedalo di stradine e vicoli per sbucare in una specie di piazzetta. La mole della muraglia incombeva alla mia destra, possente. Il bambino sostava davanti ad una specie di canale di scolo delle acque, un’espressione beffarda stampata in quel viso smunto. Il canale sembrava fuoriuscire da una breccia nella muraglia. Il terreno era come smottato e le pietre divelte.

    “Qualche mese fa, l’ultima forte pioggia ha aperto questa breccia. Tutta l’acqua marcia dello scarico ha inzuppato la pietra e questa: splash! Ihihih! Io e i miei amici siamo i soli a saper di questo varco. La puzza ha tenuto lontano i musi lunghi dei soldati che si sono ben guardati di ispezionare.”

    Osservai meglio la breccia: l’apertura era davvero ristretta, a malapena potevo passarci io…o un bambino.

    “E meno male che nessuno se n’è accorto! Saremo gli unici di tutto il nostro quartiere a poterci intrufolare nella città alta per vedere lo spettacolo senza pagare il dazio alla porta! Ed è tutto merito mio!” aggiunse, un sorrisetto orgoglioso dipinto in volto. “Sono stato io a scoprire la breccia ed è per questo che i miei amici mi trattano con rispetto, ora.”
    “Spettacolo?” chiesi distrattamente, riflettendo sul problema che ancora rimaneva: infatti io potevo passare da quel varco, ma Samah’el non ci sarebbe mai riuscito.

    “Come? Non lo sai? La città è piena dei volantini. Faquarl e il suo circo saranno qui a Meridian dopodomani; farebbe troppo trambusto passando per la città, così hanno deciso di farlo passare da un ingresso riservato. Niente barriere glifiche per lui: troppo ciarpame magico nei carri che fa interferenza. Lui dice è tutto materiale per lo show, ma ogni volta succede un casino; le guardie fanno ispezione ma non trovano nulla di anomalo, solo oggetti per lo show. Così gli hanno dovuto abbuonare l'ingresso. È per questo che i soldati ce l'hanno tanto con lui. Toh, c’è giusto un manifesto sul muro davanti a te, oltre il varco.”

    Indotta dal ragazzino, mi chinai e sbirciai da oltre la breccia. Uno spintone, accompagnato da ridacchiamenti, mi prese alla sprovvista e finii per cadere bocconi nell’acqua sporca. Feci per rialzarmi di scatto, arrabbiata per lo scherzo, ma battei la testa contro i mattoni della cinta muraria, mentre quello scappava a gambe levate, ridendo ancora. Decisi di lasciar perdere il bamboccio e proseguii lungo il varco. Riemersi finalmente nella città alta. Constatai come le strade fossero molto più ordinate e pulite, adorne di fregi e di lampioni, rari nelle restanti parti della Capitale. In effetti il ragazzino aveva ragione: sul muro di un palazzo dall’altro lato della strada era appeso un variopinto manifesto che ritraeva un rubicondo omaccione con una folta barba castana vestito in frac con un cappello a cilindro in mano, e diverse ballerine in abiti sgargianti, ginnasti in tutù e feroci animali. Una scritta diceva:

    “Il magnifico mirabolante spettacolo del Re del Circo Faquarl vi attende!
    Non perdetevi questa occasione per assistere alle prodezze dei nostri impavidi domatori di belve feroci!



    Il manifesto riportava la data, l’ora e il luogo dell’evento.
    “E così era di questo che parlavano anche le due guardie sul muraglione?” pensai. Misi assieme le notizie apprese dal ragazzino e capii: l’unico modo per far entrare anche il Dumahim nella città alta era intrufolandoci tra gli artisti del circo. Il problema era che questo tipo di lavoratori itineranti finivano per essere pochi e a numero chiuso: tutti si conoscevano tra loro, sarebbe stato impossibile entrare di soppiatto, travestirci e fingerci membri del gruppo. Dovevamo necessariamente parlare de visus con questo Faquarl e convincerlo a farci passare. Di sicuro non avremmo potuto andare col cappello in mano a chiedergli un favore per mero spirito di liberalità: su questo le guardie avevano ragione, i circensi sanno essere approfittatori. Forse in cambio di qualcosa, ci avrebbe potuto aiutare…
    Mi accorsi che la luce stava diminuendo drasticamente: il tramonto si stava avvicinando. Dovevo tornare da Samah’el prima che chiudessero le porte della città per la notte e riferirgli quanto appreso.


    Capitolo II
    Il Circo di Faquarl


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    Fu ormai sera quando raggiunsi Samah’el. Nell’attesa, il vampiro si era nutrito di un ignaro cacciatore di lepri trovato nel bosco ai margini delle mura. Appena arrivai gli feci cenno di seguirmi; preferivo infatti raggiungere l’accampamento dei circensi prima che si facesse notte inoltrata. Durante il tragitto gli raccontai tutte le mie vicende nella capitale, interrotta più volte dai suoi schiocchi di lingua, che manifestavano il suo impaziente desiderio di andare al sodo del racconto. Non gli diedi questa soddisfazione, dato ritenevo rilevante tutto il racconto, esattamente nel modo in cui lo esponevo; e poi al Dumahim avrebbe fatto pro imparare un po’ di sana pazienza. Appena arrivai a nominare i circensi, un miscuglio di emozioni e pensieri diversi si insinuò nella mia mente. Il vampiro non aveva mai visto i discutibili personaggi del mondo circense, ma la loro fama li precedeva ovunque e sapeva chi fossero dai ricordi di quando era stato un bambino umano. Cercò di immaginarsi questi stravaganti individui, avvolti da stoffe di colori sgargianti, accessori e strumenti bizzarri, compiendo prodezze atletiche e balli scatenati. Lo stupore, la diffidenza, la perplessità, si mescolavano nei suoi pensieri, lasciando intendere una naturale ritrosia all’idea.

    “E’ un’occasione d’oro per entrare nella città alta indisturbati. Il problema è che non ci faranno entrare nei loro carri così, per gentilezza. La gente, e soprattutto questo tipo di gente, non fa mai niente per niente. Bisognerà convincerli con le…buone. Sai come si dice, oliare i cardini...”

    Camminammo aggirando la città; il favore della notte ci consentiva di vedere i bagliori delle torce dell’accampamento e di procedere con relativa sicurezza verso il nostro obiettivo.
    Risa, canti e suoni di strumenti musicali accordati ci giungevano alle orecchie. Potevamo vedere i numerosi acrobati e ballerini esercitarsi per lo spettacolo che ci sarebbe stato l’indomani sera. Alla limpida luce del giorno, il variopinto popolo nomade preferiva la discreta riservatezza della notte. L’accampamento, infatti, ribolliva di attività: sembrava che tutti fossero svegli, persino i figli dei circensi, bambinetti che osservavano i genitori praticare l’arte di famiglia, cercando di imitarli nel modo più preciso possibile. Ogni famiglia, infatti, esercitava da generazioni una certa attività: c’erano gli acrobati, i ballerini, i musici, i domatori di belve, i contorsionisti; e ciascuno di loro vantava origini che si perdevano nel tempo. Le loro capacità le avevano letteralmente nel sangue ed erano gelosi oltre misura dei loro segreti. Vivevano sempre insieme, sposandosi tra loro, in modo tale che i segreti delle loro arti non si disperdessero. Da qui la loro naturale e innata diffidenza verso tutti coloro che non appartenevano al loro mondo e al loro clan.
    Ecco perché al nostro arrivo tutti si voltarono a fissarci con palese sospetto e antipatia.
    Un robusto ceffo si piazzò davanti al nostro cammino, incrociando le braccia e lanciando un occhiata esaminatrice al Dumahim. Forse stava valutando le sue possibilità contro il gigante nel caso la situazione fosse degenerata ad uno scontro, perché vidi una fugace smorfia di disagio attraversargli il volto, subito sostituita da una marmorea faccia imperturbabile. Probabilmente, contava sull’appoggio dei suoi compari…

    “Non temete, non abbiamo intenzioni pericolose. Dobbiamo parlare col vostro capo, Faquarl, portateci da lui.” - esordii.
    Il massiccio uomo non diede segno di aver sentito. Dalla folla emerse un altro bruto che si schierò accanto al suo compare.

    “Dobbiamo contrattare, abbiamo un affare per lui.” - insistetti.

    Un altro individuo, vestito più elegantemente degli altri, si avvicinò. Era un omino alto non più di un metro, uno dei rari casi affetti da nanismo. Ciononostante, sembrava tremendamente sicuro di sé, l'aria di chi ricopriva un certo posto nella gerarchia di quella gente.

    “Quale tipo di affare? Nessuno vi ha mai visti qua e di sicuro il nostro capo non vi conosce... Demoni!” - sghignazzò, la sua folta barba ondeggiante, gli occhi brillanti di astuzia.

    “No, infatti. Siamo noi a volergli proporre un affare.”
    Potevo sentire il disagio Samah'el a due metri di distanza, i muscoli tesi, gli occhi caprini scrutare gli astanti, come reazione alla tensione che si era rapidamente formata.

    “E cosa potrebbero mai offrire al nostro capo uno spettro e un vampiro?”
    Mentre diceva ciò, fece finta di rivolgersi alla platea che mano a mano si era formata attorno a noi.
    Iniziai ad essere tesa pure io: non avevo delle doti diplomatiche superbe, ma mi ritenevo capace di cavarmela a parole. Ciononostante, questa gente era diversa, ragionava in modo diverso e non sapevo come indurla ad ascoltarmi. Potevo percepire l'ostilità e la decisione delle decine di paia di occhi che ci fissavano. Dovevo agire con cautela...

    “Le nostre inumane capacità. Sicuramente il vostro capo potrebbe essere interessato a qualcuno che possa compiere per lui un’impresa per la quale nessuno dei suoi più agili e furtivi acrobati è all’altezza… Servirsi, per esempio, della forza di un vampiro che nessuno dei suoi ceffi possiede nei muscoli… o della capacità di smaterializzarsi e rimaterializzarsi da un posto ad un altro di noi spettri…”

    Il piccoletto ci fissò per un lungo istante, giocherellando con la tesa del suo cappello a cilindro.
    Con un cenno del mento, ordinò alle due guardie del corpo di farci strada, mentre si avviava all’interno dell’accampamento. La folla si aprì in due ali, il silenzio rotto solo dai mormorii della gente.
    Io e Samah’el seguimmo il nano, fiancheggiati dai ceffi.
    La nostra insolita processione si srotolò per gran parte dell’accampamento fino ad una struttura che sembrava un incrocio tra un grosso carro e un tendone. All’ingresso del tendone c’erano altri due ceffi, le guardie personali di tale Faquarl, supposi.

    Il nano si fermò e ci guardò con aria di sufficienza: “Aspettate qui.”
    Il lembo della tenda lo inghiottì e le guardie si accostarono a chiudere l’ingresso con la loro mole.

    “Questi…. Individui…. Aberrazioni e pagliacci… loro regole e criteri… pericolosi… ci guardano male dall’inizio… cautela, dama dei venti…”
    La voce del Dumahim penetrò nella mia mente, bassa e carica di tensione, un monito e invito alla prudenza. Io lo guardai e gli feci un cenno di assenso col capo. Con la mano gli feci capire di stare calmo e di assecondarmi. Il gigante incrociò le braccia al petto e sbuffò lievemente col naso, ritraendosi leggermente dietro di me.

    All’improvviso la tenda si scostò di nuovo.

    “Potete entrare.”

    Il nano mantenne il lembo di stoffa e noi attraversammo l’ingresso. Il corridoietto di tessuto era caldo e buio. Zaffate d’incenso e strane spezie ci pungevano il naso mentre salivamo i gradini di legno che segnavano l’ingresso al carro, il quale era in realtà una specie di casa mobile, grande abbastanza da essere diviso in stanze e completo di tutto, proprio come una vera dimora. Il nano ci condusse verso una porta in legno, bussò e aprì.
    Il salottino in cui entrammo era adornato delle cose più disparate: piume, ventagli intarsiati, tiare d’argento, pendenti d’oro, divanetti e poltrone a pouf di seta rosa vinaccia, tappeti riccamente decorati a motivi geometrici, cassapanche di ebano con cardini d’oro.
    In fondo alla stanza, seduto dietro un’imponente scrivania c’era un panciuto omone dal viso rubicondo e lo sguardo vispo.

    “Grazie, Fergus. Prego, assisti pure a questa interessante conversazione. Ci sarà da divertirsi.” - esordì il titolare della compagnia circense. Questi si sistemò meglio sulla poltrona e si accese un sigaro. Inspirò a fondo e ci fece cenno di avvicinarci. Le guardie chiusero la porta dietro di noi e si sistemarono in corridoio, pronti ad intervenire al minimo segnale d’allarme, ma discreti e rispettosi della privacy del loro capo.
    Il panzone espirò con lentezza provocatoria una nube di fumo in nostra direzione.

    “Allora… Facciamo un po’ di presentazioni, dato sembra che conosciate il mio nome. Chi siete e cosa vi ha portato qui a bussare alla mia porta?”

    “Siamo un vampiro e una mietitrice. Abbiamo esigenza di penetrare in incognito nella città alta di Meridian eludendo le barriere glifiche e le guardie Saraphan, come da incarico ricevuto. Siamo venuti a conoscenza del suo permesso speciale che gli consente di arrivare in città per una via segreta, priva di barriere glifiche. Vorremmo poter passare all’interno dei vostri carri. Ovviamente, un favore per un favore. Per tanto saremmo disposti a venire incontro alle sue esigenze, offrendo le nostre capacità, in cambio di un passaggio sicuro fino in centro città.”

    “Mmm… Così volete infiltrarvi per chissà quale losco motivo, non visti e non sentiti, sfruttando la fiducia che la Guardia Saraphan concede in via eccezionale alla mia gente.”

    “Diciamo di sì.”

    “Non vi chiederò i vostri motivi, siamo persone discrete. Però indubbiamente ciò ci metterebbe contro i Saraphan... Non che il nostro popolo abbia di che spartire con quei cani rognosi, ma cerchiamo sempre di avere meno problemi possibile con loro. Noi non vogliamo guai. La nostra gente è abile a distogliere l’attenzione delle persone dai problemi reali, dal fornire una patina di meraviglia e di mistero, celando la nostra natura e i nostri usi, scivolando non visti ai margini dell’attenzione dei potenti. Quindi tutto ciò avrà un prezzo, come adeguata ricompensa del rischio che ci assumeremmo. Ed è un caro prezzo... Oh, sì, ciò che mi chiedete vi costerà caro.”

    “Noi non possediamo ricchezze materiali, se è questo che intende.” - risposi.

    “Oh, no, state tranquilli. Come vedi non versiamo in stato di povertà, come invece vogliamo far credere. E so bene che la vostra natura vi ha resi dimentichi dei bisogni umani di oro e di gioielli. No, pagherete con le vostre capacità, così come vi siete gentilmente offerti di fare. Ma vi avviso, non sarà facile portare a compimento ciò che vi chiedo.”

    L’impresario si sistemò meglio la giacca di velluto viola e spense il sigaro nella ceneriera. Dopodiché congiunse le mani e ci scrutò attraverso la coltre di fumo. Lo scintillio dei suoi occhi preannunciavano guai per me e il vampiro. Quest’uomo era uno spietato calcolatore, pronto ad approfittarsi di qualsiasi occasione e persona pur di ricavarci qualcosa. Non potevamo aspettarci nulla… poteva mantenere il patto oppure no… L’etica dei circensi nei confronti del resto dell’umanità mi era sconosciuta, ma sicuramente tra di loro vigeva la classica regola de “l’onore tra ladri”.
    Faquarl piegò un angolo della bocca in un sorriso che non prometteva nulla di buono. Sembrava un grosso gatto grasso che avesse appena avvistato dei topi.

    “Sapete, ottenere quel permesso speciale di attraversare la città attraverso l’unica via sprovvista di barriere glifiche, ovvero l’unico punto debole dell’intera capitale contro la vostra specie, è costato alla mia famiglia un tesoro inestimabile. Quel bastardo di Reinach, il Tenente della Sezione Doganale, ha chiesto come pagamento un importantissimo cimelio appartenuto ai miei avi. Lo rivoglio indietro. Quello stolto lo rivenderà all’asta a qualche nobile idiota!”

    L’impresario contrasse il volto in una smorfia di rabbia. Poi estrasse da un cassetto un rotolo di pergamena chiuso da un nastro rosso. Lo aprì e lo srotolò sulla scrivania, guardando con orgoglio e amore ciò che vi era dipinto. Ce lo indicò e noi ci sporgemmo per osservare meglio. Era una maschera laminata a foglia d’oro che ritraeva un muso di volpe; incastonati sugli occhi vi erano dei rubini e al centro della fronte un lapislazzuli. Ogni dettaglio era stato rappresentato con maestria e precisione, rendendo il pezzo una vera opera d’arte.

    Il panzone puntò minacciosamente il dito contro di noi.

    “Dovete fare in modo che sembri un furto, intesi? Che quell’imbecille arrogante non possa ricondurlo a noi, ma a qualche banda cittadina. Rubate tutto quello che potete, seminate monete d’oro per le strade, fate quello che vi pare, ma depistateli. I magazzini della dogana si trovano poco distante la Porta Est di Meridian, nella città bassa. Non troverete molti soldati, solo sbarbatelli di ronda. Mi raccomando: riportatemelo integro, intesi?”

    Con un cenno della mano, ci fece cenno di uscire. Mentre si abbandonava allo schienale della sua poltrona. Fergus si alzò e con aria soddisfatta ci riaccompagnò fuori dalla tenda e all’uscita dell’accampamento.



    Capitolo III
    Onore tra Ladri



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    Era una notte nuvolosa; la luce della luna filtrava a stento. Il freddo pungente faceva tremare e sbuffare le guardie sul perimetro della struttura. Erano quattro giovani soldati, capaci, ma privi di una solida esperienza di combattimento. Era chiaro infatti che non si fossero mai cimentati in niente di più arduo di qualche banda di ladri. Ciononostante, sembravano spadaccini promettenti; la sfida più difficile per i novizi irruenti era proprio quella di saper pazientare e fare gavetta, in attesa del momento in cui le loro capacità fossero finalmente riconosciute e assecondato dai loro superiori. Questi disciplinati soldati avrebbero avuto presto una promozione...se le nostre strade non si fossero incrociate.
    Purtroppo il nostro piano era di mandare all'aria una tranquilla notte di ronda, facendo irruzione nel magazzino e trafugando la reliquia di Faquarl assieme al bottino, facendo sembrare tutto come opera di una banda locale.
    Tutto ciò richiedeva una certa sottigliezza: bisognava intrufolarsi non visti né sentiti e trovare l'oggetto il prima possibile tra tutta la roba che vi era custodita.

    Vidi la guardia che sorvegliava il perimetro voltare l'angolo.
    “Ecco il nostro momento.” - sussurrai al Dumahim.
    Con lanci ben precisi, feci volare dei ciottoli precedentemente raccolti in un vicolo adiacente il magazzino. I primi sassi non furono rumorosi, in quanto colpirono i muri e la strada senza allertare le guardie. Finalmente colpii un bidone metallico della spazzatura, risultando in un soddisfacente gong.

    “Uh!” - esclamò una guardia. Si sporse per sbirciare la stradina laterale, ma non vedendo niente, si rimise al suo posto. “Bah, stupidi gatti… invece di cercare nella spazzatura, perché non vanno a caccia di topi, come dovrebbero, e non ci liberano da quei parassiti?”

    Attesi un minuto prima di lanciare la seconda salva di sassi. Questa volta però ne lanciai alcuni anche in un’altra stradina, giusto appena prima che tornasse la guardia di ronda. Questa sentì fin troppo bene i rumori e abbandonò il suo percorso per indagare.

    “Ehi!” - sibilò ai suoi compagni. “Avete sentito? Andate a vedere l’altro vicolo, io mi occupo di questo.”
    Così dicendo, portò la mano sull’elsa della sua spada e avanzò verso la strada, mentre gli altri due lasciavano la loro postazione davanti alla porta.

    Io lanciai un’occhiata a Samah’el e gli feci cenno di intervenire come convenuto.
    Mi lanciai giù dal tetto di una casa vicina, dove stavamo osservando le nostre prede, ma non prima di aver afferrato un mattone sbreccato che giaceva vicino al comignolo, e piombai silenziosamente a terra. Corsi velocemente verso la guardia solitaria e la colpii violentemente sull’elmo col mattone. Il soldato cadde svenuto a terra e io corsi dall’altra parte a dare manforte al vampiro.
    Questi però aveva già liquidato le altre due guardie, che giacevano stordite a terra. Sfoderando Void, il gigante si fece strada verso l’imponente porta del magazzino, chiusa da un pesante catenaccio che avvolgeva i passanti. Sollevando l’ascia sopra la sua testa, menò un fendente verso il basso. La catena si spezzò con un fragoroso rumore e fummo liberi di entrare nel magazzino.

    File e file di scaffali ci si pararono davanti, alla fioca luce di un paio di torce che avevamo trovato ai lati della porta e acceso. Solo allora mi resi conto della vastità della ricerca che ci sarebbe toccato fare. Mentre lo sconforto e lo stupore mi assalivano, mi resi conto era un lavoro troppo vasto per solo due persone…
    All’improvviso mi venne un’idea folle.

    “Samah’el, tu devi restare qui e iniziare la ricerca” - dissi, aprendo il sacco di tela che mi era stato dato da Fergus appositamente e iniziando ad arraffare alcuni oggetti d’oro dal primo scaffale che mi si parava davanti. “Io cercherò di convincere qualcuno a darci una mano a cercare la maschera… dopotutto dovevamo simulare un furto no? Perché accontentarci di simularlo e basta!”

    Il colosso mi fissò dubbioso.
    “Come fare… a trovare… ladri…? poco tempo… città vasta” - la sua voce echeggiò nella mia mente.

    “Lo so… lo so… ma tu vedi altre alternative? Quelle guardie non resteranno svenute a lungo e se ci vedessero, allora salterebbe la copertura che Faquarl ci ha imposto di mantenere, ovvero un furto organizzato da una banda umana.”

    Mi avvicinai alla porta e mi guardai indietro un’ultima volta.
    “Augurami buona fortuna” - dissi e sparii nella notte.


    Correvo per le strade della città bassa di Meridian, mentre un pensiero continuava a ripetersi in loop nella mia mente: “Ma che assurdità sto facendo?”. Trovare un ladruncolo solitario forse sarebbe stato facile in questa zona; trovare un esponente di una banda di ladri che non scappasse di fronte ad una Mietitrice e che decidesse di portarmi dal suo capo per contrattare sarebbe stato invece tutt’altra cosa.
    Giravo a caso per i vicoli, scansando ubriachi e mentecatti che balbettavano insensatamente. Il tempo passava e non sapevo come accidenti avrei fatto. Mi fermai e posai le mani sui gomiti, affannata. Le mie energie si stavano esaurendo in fretta… Nascosi il sacco con il bottino e mi proiettai nello Spectral, alla ricerca di qualche anima di cui nutrirmi. Con mio disappunto, trovai parecchia concorrenza. Mi feci strada tra gli Sluagh, saltando in cima ad un palazzo per poter risucchiare meglio qualche anima. Quelle orride bestiacce cercarono di fermarmi, artigliandomi la schiena e le braccia. Mi divincolai con forza, gridando loro contro: “Non ho tempo per voi, stupide bestiacce!”. Finalmente, raggiunto il punto di vantaggio, riuscii a nutrirmi come si deve. Sentendomi nettamente meglio, scrutai la zona in cerca di un portale. Mi ci recai e riemersi nel mondo materiale, pronta a ricominciare la mia ricerca, dopo aver recuperato nuovamente il sacco.

    Il tempo passava, mentre la mia disperazione montava. Digrignando i denti con frustrazione, cambiai zona. Entrando in un altro sestiere, sentii in lontananza un vociare. Mi lanciai in direzione del suono e, dopo aver percorso delle tortuose stradine interne, sbucai in una specie di piazza allestita a mercato. Le bancarelle esponevano merce illegale e generi di prima necessità, la cui quantità venduta era calmierata durante il giorno dalla legge e a determinati prezzi, fuori portata per la maggior parte della gente. I poveri avevano quindi come unica opzione quella di ricorrere al mercato nero. Uomini, donne e bambini giravano per i banchetti, contrattando. La piazza era gremita di gente, ma tutto sommato silenziosa per gli standard di un mercato. Era palese la necessità di non farsi sentire dai soldati limitrofi di pattuglia: i Saraphan non circolavano che solo in alcuni raccordi principali del quartiere, per cui la malavita e l’illegalità svolgevano vita tranquilla, a patto che fosse discreta.

    “Di nuovo tu?? Ehi, ma dico, com’è che salti sempre fuori?”- una voce familiare esclamò da qualche parte vicino al mio gomito destro.
    Stupita, mi guardai attorno. Poco distante da me stava lo stesso ragazzino che mi aveva aiutato questo pomeriggio, dandomi l’imbeccata del circo.

    “Ehi! Che ci fai in un quartiere come questo di notte?”- esclamai, perplessa.

    “Ci basta mia mamma a farmi le raccomandazioni, non ti ci mettere pure tu! Comunque, qui io ci abito” - mi rispose, tutto compunto. “E mia mamma è là, nel mercato, a comprare da mangiare per domani. Tu piuttosto, che ci fai qui?”

    “Ehm, diciamo che è una lunga storia… Sai il capo del circo? Beh, ho seguito il tuo suggerimento e mi sono rivolta a lui. In cambio del favore, però, ho ricevuto l’incarico di restituirgli un prezioso cimelio di famiglia che una guardia Saraphan gli ha requisito. Il problema è che il magazzino della dogana è troppo vasto da cercare per me e il mio compagno… e come se non bastasse, Faquarl ci ha ordinato di svolgere il furto in modo tale da farlo sembrare opera di una banda di ladri di città e in nessun modo riconducibile a lui. Astuto il tipo, eh?” - conclusi, amareggiata.

    “Uh! Figo!” Il ragazzino sfoggiò un enorme sorriso sdentato. “Ganzissimo! Ehi, senti, se ti do una mano secondo te mi faranno entrare nei loro tendoni? Eh?”
    Il ragazzino iniziò a balzellare sul posto tutto eccitato.

    “Una mano? E come credi di potermela dare? A meno che non ci fosse una mandria di ragazzini scalpitanti come te…” - dissi, ironica.
    Non prestavo molta attenzione al bambino, ero troppo impegnata a trovare una via d’uscita a questo dilemma a tempo.

    “Mandria? Certo che c’è! Puoi contare su di me e sui miei amici!”
    Il fanciullo mi fissava tutto speranzoso.

    “Non sono affari per dei ragazzini come voi, sono cose serie, pericolose! Ci manca solo che tua mamma scopra che ti sei messo nei guai con la giustizia per farle venire un coccolone… Piuttosto, una banda di ladri seria invece potrebbe essere l’ideale. Ho qui un anticipo di quello che troveranno al magazzino, giusto per allettarli a concludere l’affare, ma sembra che siano più sfuggenti di una faina…”

    “Ihihih! Cosa faresti senza di me, spettro!”
    Il bimbetto aveva di nuovo assunto quell’irritante atteggiamento di superiorità e di “so-tutto-io”.

    “Si da il caso che io sappia dove si trova la banda che cerchi. Lo zio di un mio amico conduce un’attività di recet…rigetag….uff!”

    “Ricettaggio”
    “Ecco, sì. Rigetaggio. Insomma, questo zio ruba ai ricchi e rivende la merce al mercato nero, ad altri contrabbandieri, e raggranella un bel po’ di soldoni che poi distribuisce in parti eque alle famiglie più disagiate. Forse potrebbe esserti utile. Vado a chiamare Jack.”
    Il ragazzino non fece a tempo a finire di parlare che era già schizzato come una scheggia, lasciandomi perplessa e confusa. Non sapendo come comportarmi, aspettai lì, quanto meno per assicurarmi che il bimbetto non si cacciasse in ulteriori guai al suo ritorno.
    Qualche minuto dopo, il ragazzino tornò assieme ad un altro, allampanato e dal volto serio. Questi mi fece segno di seguirlo e mi condusse attraverso un’ulteriore gimcana tra i vicoli fino ad un casolare anonimo. Mi fece entrare e lì vidi un uomo di mezz’età, seduto ad un tavolo di solido legno, che contava delle monete.
    L’uomo alzò lo sguardo e mi scrutò attentamente. Altri uomini fecero capolino da altre stanze e presto tutti gli occhi furono puntati su di me.

    “Papà, qui c’è una che vuole contrattare.” - disse l’allampanato, spingendomi in avanti.
    Io mi voltai a guardare il ragazzino, titubante, e poi di nuovo l’uomo.

    “Cosa vuoi?” - mi chiese costui, evidentemente di poche parole.

    Avanzai e posai il sacco pieno per un quarto di monete, gioielli e monili vari al centro del tavolo.
    “Ho ricevuto l’incarico di recuperare dal magazzino della dogana della Porta Est un manufatto, con l’obbligo di far sembrare il tutto un furto, in modo da non poter essere ricondotto al mio committente. Io e il mio compagno siamo riusciti a mettere fuori gioco le guardie e ad entrare nel magazzino, ma l’impresa è troppo vasta per solo due persone. Ci sono tantissimi scaffali ricolmi di ciò che c’è in questo sacco e sono tutti per voi, se ci aiuterete a trovare quello che cerchiamo.”

    Presi dal sacco la pergamena e la srotolai sul tavolo. Gli uomini si fecero avanti e osservarono la maschera raffigurata nel foglio dalle spalle del loro capo.
    Questi rialzò lo sguardo e guardò meglio dentro al sacco. Tirò fuori alcune monete che caddero rumorosamente sul legno.

    “Oro…”- bofonchiò. “Nidar, va’ a chiamare gli altri. Organizza una squadra e segui questa donna. Accettiamo la sua proposta.”
    L’uomo di nome Nidar fece un cenno di assenso e si mosse in fretta verso i recessi della casa per obbedire all’ordine ricevuto.
    “Aspetta pure fuori. Grazie della visita.”- concluse il capo, facendomi segno di uscire.

    Il figlio mi tirò per una manica e mi condusse fuori dall’edificio.
    “Hai visto? Eh? Ti sono stato utile? Ihihih!” Il ragazzino dai denti storti sfoderò un altro dei suoi sorrisi.
    “Sì, è vero, mi sei stato molto utile. E per ringraziarti e alleviare tua madre da un po’ delle sue preoccupazioni, voglio che tu prenda queste e le consegni a lei”
    Presi la sua mano e gli posai sul palmo delle monete d’oro, che avevo preso di nascosto dal sacco quando avevo ripescato la pergamena.
    “Whoaaa!!” - esclamò il ragazzino. “Grazie! Vado subito da mia mamma! Ci si vede!” e schizzò via per le stradine.

    Dopo una mezz’oretta, la squadra era allineata nel cortile del casolare. A tutti e nove avevo mostrato la pergamena con il disegno del cimelio da recuperare e ogni uomo aveva legato alla cintola un largo e capiente sacco di tela robusta. Pronti alla missione, gli uomini si dispersero: ciascuno di loro sapeva già dov’era il magazzino della dogana e, per non attirare troppa attenzione, si era deciso di separarsi.
    Io correvo sui tetti, tenendo d’occhio gli uomini della squadra. Ben presto raggiungemmo il grande deposito e ci radunammo tutti al suo ingresso. Vi entrammo e io vidi in lontananza il bagliore della fiaccola accesa del mio compagno.

    “Ehi, Samah’el! Ce l’ho fatta! Vieni qui e aiutaci ad accendere le altre torce, vedrai che faremo in fretta così.” - esclamai, il mio ottimismo finalmente rinnovato.
    Il Dumahim mi fissava con stupore: probabilmente non aveva creduto nemmeno per un istante che avrei trovato degli aiutanti e si era rassegnato a dover svolgere il lavoro da solo.
    Gli uomini lavoravano solerti, esaminando rapidamente ogni oggetto prima di metterlo nel sacco. Undici fiaccole ardevano operose tra gli scaffali. Ci eravamo divisi per settori e la ricerca fu rapida e semplice.
    Ben presto, infatti, si levò la voce dell’uomo che trovò la maschera. Io mi avvicinai, la confrontai con il disegno e la infilai nel sacco, ringraziando tutti. A quel punto, gli uomini bofonchiarono dei saluti e si allontanarono in tutta fretta dalla zona, come dei veri ladri.
    Seguimmo il loro esempio e scappammo. Usciti dalla città, ci fermammo ed estrassi dal sacco il cimelio: il disegno non gli rendeva giustizia… La maschera infatti aveva una bellezza ipnotica: lo scintillio quasi liquido della superfice d’oro, liscia come seta; il bagliore turbinante all’interno delle gemme, nelle cui profondità sembravano risucchiare chiunque le fissasse.

    “Capisco perché Faquarl era tanto determinato a riottenerla… ha un che di mistico…” - commentai, dopo averla nuovamente nascosta nel sacco.
    “Strano… effetto... maschera… ha qualche potere... della mente...”
    Il vampiro scosse la testa, come a liberarsi da una sorta di malia, fissando sospettoso l’involto.
    “Già… Beh, meglio riportarlo dall’impresario.”

    Ci avviammo verso l’accampamento dei circensi che era ormai quasi l’alba. Quando lo raggiungemmo, questo era deserto e silenzioso. Arrivati alla tenda-carro di Faquarl, il buttafuori ci disse che il capo era andato a dormire e che non potevamo disturbarlo finché non si fosse svegliato. Fu inamovibile, nonostante gli sventolassimo davanti la reliquia che ci aveva incaricato di recuperare. Fummo così costretti ad aspettare la sera, accampandoci a nostra volta fuori città...

    Capitolo IV
    R’ley e Tindalos



    20t08hv



    Il tempo passò stranamente in fretta. La Mietitrice si era ristorata a lungo nel piano Spettrale, in preparazione alla missione e ne era da poco riemersa. Stava calando il sole quando vidi l’accampamento da dove eravamo partititi in mobilitazione generale. Eravamo giunti giusto in tempo per la sfilata che ci avrebbe portato al tendone principale, nel cuore della città.
    La dama blu mi fissò prima di annuire leggermente e proseguimmo, come pensieri proibiti sgusciando nell’oscurità, evitando accuratamente di essere notati dal servizio d’ordine che insisteva nel pattugliare i dintorni di quella zona.
    I carri degli artisti e le gabbie delle fiere, saltimbanchi e trapezisti, mostri deformi e agili ragazze, tutti a lavoro, raccapezzandosi e camuffandosi per lo spettacolo. Ognuno aveva il proprio camerino mentre le belve, forzuti uomini e clown erano allocati al centro del bivacco, tra i carrozzoni e gli attrezzi di scena.
    Una creatura deforme vestita con un costume dalle forme caricaturali di un Rahabim ci stava attendendo con impazienza. Era Fergus, il nano che aveva assistito alle trattative con il titolare di quell’insensata baraonda. Sedeva mollemente come un gatto grasso su di uno sgabello di legno traballante, al suo fianco aveva una ragazza di giovane età dai lunghi capelli marroni e le gambe oscenamente piegate alla rovescia. La giovane si stava intrattenendo in amabili chiacchiere con lui quando al fine uscimmo dal buio e ci facemmo più vicini;

    “Era ora che arrivaste!” Fece lei con tono ricco di acredine “Fergus qui vi sta aspettando da tempo interminabile!”
    “Ci puoi scommettere, pupattola. Non è questo il modo di trattare chi vi dà la pagnotta, sapete? BHA! Ma che vi parlo a fare. Che ne sapete voi dell’etica professionale da applicare sul lavoro e parlando di lavoro, io vi chiedo…ce lo avete?”

    Le delicate mani della dama in blu presero un piccolo fagotto avvolto in stracci di fortuna, annuendo alla domanda di quello sgradevole figuro.

    “Come concordato. Ora sta a voi soddisfare la vostra parte del patto.”

    Fergus fece cenno a Naeryan di avvicinarsi e di consegnargli la refurtiva. Tirò fuori un monocolo dalle gioielliere e analizzò con perizia la maschera per riconoscerne l’autenticità. Fatto ciò si rimise in tasca il monocolo e infagottò il cimelio in un foulard che poi diede alla ragazza affianco a sé.

    “Questo dallo al capo appena avrai finito con la squinzia…Stai tranquilla, giovane, vi indicherò la via per l’abazia quando avrete finito il vostro show.
    Tu, smilzo! Vieni con me. Ti aspetta un cambio di assetto senza pari, non puoi andare di certo in scena così. Il titolare mi ha informato di come e cosa dovete fare e credo che una ritoccatina non ti farà male quando dovrai fronteggiare la Domatrice.”


    “…Domatrice?” Pensai tra me e me, non feci a tempo fare domande che il nano si lanciò giù dallo sgabello dopo aver oscillato come un batacchio di campana, cadendo saldo sulle gambe tozze. Con un passo inquietante mi si avvicinò e scortò ove avevano sede gli animali più feroci che Meridian avesse mai potuto rimirare. Ora vi erano davvero tutti gli orrori possibili in quel circo di stranezze, vampiri e mietitori compresi.
    Mentre ero sotto lo sguardo dei miei personali truccatori, La Ruota li maledica, Naeryan venne accompagnata dalla ragazza- cane in una specie di camerino ove la attendevano una cavallerizza di cammelli e una contorsionista dai tratti orientali. Potevo immaginare il tipo di ambiente che avrebbe trovato in quella baracca; vestiti di ogni fatta ammucchiati disordinatamente su mobili e poltrone, succinti abiti e gonne a sbuffo, tute di cuoio aderente, armature, protezioni da domatori, piume e maschere in ogni dove. Scarpe alte, con tacchi vertiginosi, stivaletti con lacci spessi e calzature lerce di fango erano state lasciate in un angolo, ammucchiate senza un ordine preciso. Tutta robaccia da avanspettacolo di infimo livello. Una specchiera copriva tutto un lato del carrozzone e svariati trucchi, gingilli e altra paccottiglia di scarso valore erano sparse su tutta la superficie del tavolino dinnanzi alla monolitica superficie riflettente;

    “Vieni cara, ne abbiamo di lavoro da fare con te…Ah, che meraviglia! Un vero momento tra sole donne!” disse la ragazza dai biondi capelli mentre saltava da uno scalino all’altro del carrozzone traballante.
    La porta si chiuse dietro la mietitrice e si riaprì solo una volta che tutto fu predisposto per farla sembrare il più “umana” possibile.

    Finito con i lavori di “ristrutturazione”, il colosso ostruzionista mi condusse verso un carrozzone dal fondo di paglia e dalle sbarre nere e spesse. Un vagone da fiera per la più ferocie delle bestie.
    Con tono borioso mi fece cenno di salire;

    “Che ti aspettavi, di essere portato al guinzaglio come un cane per le strade di Meridian?
    Salta dentro e poche storie, smilzo.”


    “Sei fortunato che mi servi, pezzo di carne…Prega di non incrociare mai più la mia strada.” Pensai tra me e me mentre la pesante porta blindata si chiuse dietro di me e il colosso agganciò il vagone a quello delle altre fiere.

    Quando tutto fu pronto, la carovana partì per il centro della città, gli orridi scherzi della natura e i saltimbanchi fecero sfoggio delle proprie arti procedendo a passo di danza per le strade della città. Non era cambiato molto; tanto orrore mi era stato dimostrato nella mia forma umana e tanto ne stavo ricevendo in quel momento mentre il vagone-gabbia in cui ero rinchiuso mi presentava al pubblico come un demone soggiogato e furente. Dalla mia posizione riuscivo a vedere solo i volti affascinati e orripilati dei cittadini di Meridian.
    Della dama blu non c’era traccia. Ipotizzai fosse rimasta celata nel carrozzone delle truccatrici per tutto il tempo necessario; qualcosa insisteva nel dirmi che saremmo stati il pezzo forte della serata.

    Ci volle meno di mezz’ora per raggiungere la tappa finale. La solerzia e la laboriosità degli operai affiliati al circo avevano preparato lo sfarzoso tendone, occupandosi di realizzarlo con minuzia di dettagli.
    Il tendone venne letteralmente assediato da una gremita calca di persone, alcuni giunti in processione con la sfilata, altri provenienti da ogni angolo della città.
    Carne, pezzi di carne viva che si accalcava per poter vedere uno squallido spettacolo da quattro soldi. Nobili e poveri, donne, uomini e bambini, giovani e anziani di tutte le età erano scesi in piazza quella sera per poter gioire di quel momento di svago dedicato alla meraviglia e allo stupore.
    Uno spreco di tempo e risorse imperdonabile…

    Nel largo piazzale ove il titolare aveva fatto montare la tenda vi erano guardie cittadine e cavalieri Saraphan intenti a vigilare su possibili furti. La notte per loro era memento di morte e malignità, per noi gioia e nutrimento. Mantenere l’ordine doveva essere il primo pensiero ma quella notte la curiosità li spinse a svolgere il proprio giro di ronda con maggior “impegno”, vigilando anche tra gli spettacoli meravigliosi e magici che i girovaghi avevano messo in piedi nella ricca città di Meridian.

    Dal padiglione del circo si dipanavano risate e schiamazzi di una folla in piena euforia, il pubblico sedeva su grezze panche di legno, scomode oltre ogni dire ma l'entusiasmo e la gioia, gli applausi e le risa scatenate dai saltimbanchi eclissavano egregiamente la mancanza di confort. Anche la musica dei menestrelli e dei cantastorie che erano stati incaricati di accompagnare ogni spettacolo veniva soffocata da quella bolgia acclamante.
    Senza alcun preavviso le luci si spensero senza lasciare altra scelta al pubblico che rimanere in trepidante e silenziosa attesa. Dal nulla, come un timido pensiero di un fanciullo, si udì risuonare una dolce melodia.
    La voce di violoncelli risuonò nella sfarzosa tenda rattoppata alla bene e meglio, calando gli spettatori in uno stato psicotropo simile ad una leggera ipnosi.

    Video

    Al centro dell'unica pista, quattro figure si palesarono con dei lumi di sebo tra le mani, producendo un po’ di luce in quelle tenebre opprimenti. Sul capo portavano enormi bucrani di cartapesta, gli stivaletti neri battevano in terra a ritmo di musica, nonostante i vestiti e le carambolanti azioni li avessero resi spassosi fino a pochi momenti prima, ora avevano perso molta della loro comicità. Una nube di fumo rosso sangue si levò da due bracieri che fino a qualche secondo prima erano rimasti sopiti. Le braci scoppiettarono e stridettero alimentati da nerboruti uomini cosparsi di rilucente olio, i muscoli in tensione nell’atto di attivare potenti mantici collegati ai caldani. Al collo e alle braccia portavano lunghe catene collegate alle enormi coppe laccate oro che contenevano i tizzoni crepitanti.
    Dalla coltre di colore vermiglio fece la sua apparizione il titolare del circo, indossava un abito lungo ed elegante ricamato di filigrana e un vistoso fiocco rosso al collo. Con le braccia aperte e la voce squillante, Faquarl apostrofò gli ammutoliti presenti;

    “Signore e Signori! Ragazze e Ragazzi! Ricchi e poveri, Signori e Schiavi.
    Sotto questa tenda il vostro rango non conta! Oggi siete tutti schiavi di nostro Signore Stupore, di Madama Magia e della loro figlia, Donna Meraviglia!
    Prendete posto, sedetevi ora! Ciò che sto per mostrarvi vi lascerà sbigottiti a tal punto che batterete il fondoschiena in terra se non lo farete!
    Oggi, per voi, per tutti voi, umili servitori dell’Euforia, io vi dono la nostra stella più oscura!
    La dama imperturbabile…. R'lyeh, La Madre degli Incubi!”


    Detto questo una salva di fuochi di color verde e fumi di purpureo colore sbalordirono i presenti accendendosi tutt’intorno al palcoscenico, presentandogli una donna dalla pelle mora vestita di una lunga e succinto abito nero. Da dietro il sipario ebbi difficoltà a capire di chi si trattava, le truccatrici avevano predisposto ogni cosa per Naeryan, le avevano dipinto il corpo con maestria sostituendo il ceruleo colore con qualcosa di più esotico. Sul capo portava una corona di vistose piume nere e dorate che le scendevano fin dietro la schiena come lunghi capelli, una maschera di tenebrosa stoffa adorna di perle celava il volto della mietitrice che fece schioccare due pesanti fruste sul terreno come monito per tuti coloro che avessero osato mettere in dubbio la sua volontà.
    Nei retroscena avevo assistito a quell’entrata in scena grottesca e lussuriosa. Mi scappò una mezza risata quando Fergus mi si fece vicino e mi diede una pacca sul fianco;

    “Ehehehe, gran bella squinzia la tua compagna. ”

    Lo fissai con occhi pieni di odio e allarme; non era la mia compagna e di certo non avevo alcun interesse nei suoi confronti ma il fatto che quella creatura rivoltante ne parlasse con così poco tatto mi fece immediatamente innervosire.
    Lui ridacchiò per poi pressare l’indice cicciotto sul mio muso metallico;

    “Fai poco il superbo che questa patata bollente indovina a chi spetta?”

    Uggiolai a quell’affermazione tenendo solo un orecchio alzato con espressione interrogativa; che diavolo voleva dire?
    Prima che il pubblico potesse soffermarsi troppo su quella figura e profanarne la sacralità con commenti fuori luogo sul suo vestiario e la sua sensualità, il titolare del circo tese le palme al cielo.

    “Avviso ognuno di voi, miei famelici pulcini, che ciò che state per vedere sarà la negazione di tutto ciò che credete sia possibile! A dimostrazione della veridicità del suo nome, offriremo alla di lei persona un boccone amaro …molto più piccante di quanto non ci sembri la soave succube qui presente… Direttamente dalla lava del Dark Eden, il Grande Lupo che valica gli Inferi! “


    Il dolce suono di viole da gamba che fino ad allora avevano suonato una dolce melodia stridettero come il gracchiare di un corvo, i mantici soffiarono aria con più violenza, sospinti senza sosta dai servi della cacciatrice, dal nulla si udirono rulli di pesanti e ampi tamburi suonati da due musici con la testa di capro che vennero improvvisamente illuminati ai lati della pista.

    “Chi sarà la Carne e chi il Divoratore…Io qui vi presento il segugio di Tindalos!”
    “Tocca a te, cagnetto. Vai e fai del tuo meglio” disse l’orrendo nano dandomi una sonora pacca sulla groppa a cui risposi con un ruggito.

    Quel verso osceno squarciò la quiete e la trepidante attesa dei presenti facendo sobbalzare anche i più coraggiosi, Il titolare tese la mano girandosi verso il centro della pista che esplose in una salva di scintille e crepitii di polvere pirica colorata che coprì perfettamente la mia avanzata. L’idea era quella di farmi emergere dalle tenebre e così fu; effetto assicurato.
    Quando feci la mia apparizione snudai le zanne coperte di sangue coagulato e densa bava, finendo con l’atterrire il resto della folla mentre mi facevo largo nel denso fumo.
    Da dietro la maschera potei vedere Naeryan stentare nel riconoscermi, io stesso avrei indietreggiato nel vedermi riflesso in quelle condizioni. Gli artisti di strada avevano posto attorno al mio canide collo un collare di ferro battuto coperto di borchie e spuntoni, simile a quello che usavano per evitare che le tigri si ferissero tra loro prima dello spettacolo. Il folto pelo era stato dipinto, vi erano state aggiunte piume di corvo e lo avevano striato in contro-verso per arruffarlo ancora di più. Lungo tutta la lunghezza della schiena mi era stato montato una specie di armadillo corazzato che portavano saldate al tutto una fila di palchi di corna ridipinte. Sembravano ossa aggiuntive, scaturenti direttamente dalla mia schiena.
    Gli spettatori rimasero in trepidante attesa, le luride bocche aperte, potevo sentirne il lezzo dal centro del palco.
    Ululai un po’ giusto per accendere in loro ancora di più la curiosità prima di scagliarmi dritto contro la donna dalla scura pelle che, senza indugio, finse di tenermi a bada schioccando le fruste. Le fauci mordevano famelica l’aria, le mie unghie possenti graffiavano il terreno con ferocia di molto convincente. Per un istante sembrò persino alla stessa Naeryan che stessi effettivamente tentando di sbranarla; una piccola ripicca personale per avermi costretto a quel ridicolo spettacolo.
    Rimasero tutti piacevolmente colpiti da come la dama blu riuscisse a tenermi testa, come se le bestie non avessero abbastanza intelletto da fingere…che umiliazione…mi scoprii profondamente schifato da me stesso.
    Schiocchi di frusta e ruggiti possenti animarono la serata per una quindicina di minuti, Naeryan ci mise del suo facendo vorticare le nubi di rosse polveri tutte intorno a loro. La terra stesa sembrava aborrire quello spettacolo sovrannaturale; un sentimento comune.
    Quando al fine la dama blu mi diede il segnale, finsi di essere stato soggiogato.
    Il pubblico era in delirio.
    La bella che doma la bestia…Che porcheria…

    Come un bravo cane ubbidii ai suoi comandi; sulle zampe, fai il morto, salta, corri, parla, saluta il pubblico.
    Quando tutto fu concluso, i bracieri si spensero e l’oscurità calò nuovamente nel tendone. Quando al fine le luminarie si ridestarono dal loro sonno, gli scroscianti applausi furono tuti per Faquarl che accolse di buona lena le acclamazioni prima di presentare il secondo spettacolo. Noi avevamo abbandonato lo stage nel momento di buio, senza troppo pensarci riprese le mie sembianze umanoidi e strappai senza pietà quegli orrendi appiccichi che mi avevano costretto ad indossare.
    Ero carico di rabbia e vergogna, guardando indietro posso affermare con certezza che se mi avessero rotto un uovo sul volto avrebbe finito per cuocersi.

    La calca e l’eccitazione della folla, l’euforia e gli schiamazzi coprirono ogni rumore, persino i rigorosi soldati dell’Ordine, passati di lì per completare il giro di ronda, si erano fermati ad osservare le mirabolanti acrobazie dei girovaghi circensi. La scenata era conclusa e il patto era stato rispettato, appena ci fu possibile ci allontanammo dal tendone del circo guidati da Fergus. Ci indicò la via più breve da seguire per raggiungere l’obiettivo e proseguimmo rapidi come ombre.
    Naeryan proseguiva di gran lena, quello spettacolo l’aveva debilitata ma l’esperienza di essere stata per una notte la stella di un così ben riuscito spettacolo le fece presto dimenticare la stanchezza. Potevo vedere sul volto ancora dipinto di bruna terra un insano e timido sentore di soddisfazione; rideva, paga dell’esperienza vissuta, probabilmente non era mai stata protagonista di uno spettacolo e il mettersi in mostra in quel modo l’aveva caricata di una piacevole euforia post spettacolo.

    Sciocca femmina, tutte uguali, civette e vanesie.
    Basta un po’ di attenzione e qualche applauso per renderle ebeti e orgasmiche.
    Al contrario della dama, io ero concentrato sul da farsi, forse troppo concentrato dato che il di lei sguardo si fissò su di me, comprendendo forse il mio disagio. Si sentì quasi in obbligo a dovermi parlare, cosa che mi ero ben guardato dal fare.
    Non avevo alcuna voglia di dirle nulla ma le donne sono così, se non ci scambi almeno mezzo vocabolo passi per idiota.

    “Un punto in meno sulla lista!” disse lei con tono gentile.

    Le risposi con una salva di schiocchi di gola ritmici e ben scanditi; poteva dirlo forte

    “Tutto bene? Sembri abbattuto...”

    La mia voce si insinuò nella mente di Naeryan, gelida ed echeggiante di timore mal celato conseguente a cosa quella mia frase mi riportasse alla mente;

    “Odio…essere …al centro…dell’attenzione… Non sono un…fenomeno da baraccone”

    Rapidi come felini, io e la mietitrice avanzammo nell’oscurità dei vicoli di Meridian. La notte era chiara e luminosa, la luna non era l’unica fonte di luce di cui la città disponeva. Sulle strade principali vi erano alte luminarie provviste di specchi per facilitare l’arduo compito agli spiriti di fiamma intrappolati nelle teche di vetro. Piantando gli artigli nella carne viva di un palazzo, mi tirai su lungo la parete.
    Naeryan si aiutò a salire sfruttando i propri poteri, rendendosi leggera come l’aria per potermi seguire. Quando si materializzò mi vide intento in un secondo balzo, mentre mutavo in qualcosa di più idoneo alla notte.
    Sostituendo le forti e possenti gambe con zampe e artigli e la massiccia figura in qualcosa di più agile e fusiforme avrei di certo migliorato il mio assetto e compensato la mia…mancanza di grazia.
    Lo spirito dell’oltretomba accanto a me era naturalmente più agile e leggiadra, non ebbe difficoltà a starmi dietro. Se avesse avuto qualsiasi tipo di problema di certo non mi sarei offerto di portarla sul groppone come feci in passato, avevo ancora un pizzico di dignità in corpo e di certo non mi sarei più piegato ai suoi “ordini da dominatrice”…

    Che rabbia, non riuscivo a farmela passare, il tutto era stato semplicemente troppo umiliante…
    Sperai che di quella storia non trapelasse niente o sarei diventato lo zimbello della Cattedrale di sangue.

    I di lei pensieri vennero dissolti quando lo sguardo gli si soffermò su di una struttura che si ergeva come un faro di saggezza in un mondo di gretta ignoranza; la facciata dell’abazia non era del tutto visibile dalla posizione sopraelevata ma era possibile intravederne le forme a capanna, la struttura possedeva delle bifore aperte sul cielo, con tessitura muraria in mattoni a vista, solcata da due semicolonne che la tripartivano, con decorazioni di pietra bianca, con il portale in candido marmo.
    Nella lunetta che ne sovrastava l'architrave si trovavano sculture marmoree di antichi guardiani rappresentati con le mani giunte e gli sguardi riflessivi. Ai lati, due nicchie gotiche racchiudevano le statue dei santi cavalieri protettori del cerchio, due Saraphan ; uno era indiscutibilmente un’effige di Malek ma l’altro era irriconoscibile. Il tempo e le intemperie ne avevano sfregiato il volto finemente scolpito. Il portone della chiesa era di legno scuro, decorato con grandi costoloni lignei e grossi chiodi, risalente all'epoca della costruzione della facciata. In esso era possibile intravedere un piccolo portoncino, usato per l'ingresso in chiesa.
    Il campanile svettava come un artiglio minaccioso che si innalzava sopra il tiburio della chiesa, richiamando l'impianto cromatico e decorativo della facciata, con cornici in cotto e archetti alla base delle bifore e delle trifore sormontate da oculi.

    Naeryan sorrise sodisfatta per aver al fine individuato la struttura, il suo intuito e le sue capacità non l’avevano tradita. Balzò elegantemente sul cornicione del palazzo di fronte a se, senza preavviso il tetto cedete sotto il di lei peso. Forse un crollo strutturale per l’usura o forse era solo un palazzo molto vecchio, il solo peso della mietitrice non avrebbe mai potuto far sbriciolare una tegola in quel modo; pura mala sorte.

    Io atterrai poco davanti a lei e non mi accorse dell’errore fatale, le mie sicure zampe da canide si posarono a poca distanza dalla canala che circondava il tetto. Naeryan si aggrappò all’unica cosa che pensava potesse fermare la sua rovinosa caduta; la mia coda.
    Il dolore si tradusse in un guaito smorzato, venni tirato all’indietro, tentai invano di mantenere il terreno sotto le zampe con le forti unghie ma fu tutto inutile; entrambi cademmo nel vuoto.
    Mi schiantai al suolo, una salva di schiocchi mi presentarono il conto di quel colpo tanto ingiusto quanto doloroso. La zampa sinistra e il torace riportarono più di una frattura ma ero ancora provvisto dei sensi. Ben poca cosa poté la mietitrice che si ritrovò il collo spezzato e gli organi interni spappolati dalla vertiginosa caduta. Il sottile corpo giaceva immobile, spezzato, gli occhi persero di vita e il corpo, lentamente, si disfece consegnandone l’anima al Regno spettrale.

    “…Dannazione…” esclamò la giovane mietitrice mentre si tirava su, massaggiandosi l’esile collo. Non si era neanche accorta del dolore, era passata dal vedere il cielo di Meridian al venir avvolta dalle nebbie e dagli echi di una distorta e immateriale città di spiriti in meno di un secondo;

    “Credo proprio che questa non me la perdonerà facilmente!”

    Capitolo V
    In Vino Veritas



    20t08hv



    “ Saccente…Boriosa…Cagna maledetta…” Ruggii tra me e me mentre riprendevo lentamente la mia forma, sofferente e ferito mi strinse il braccio rotto in tre punti al petto mentre tentavo di rialzarsi. Il dolore era acuto e penetrante, mi sembrava di impazzire. Il costato aveva perforato tutto quel che c’era da perforare nel mio corpo morto, se non fossi stato così nerboruto e possente nella stazza probabilmente sarei morto quella sera.

    Feci qualche passo nell’oscurità, giusto il tempo di voltare l’angolo e abbandonare il luogo dello schianto; farsi trovare li ancora vivo dopo quella caduta sarebbe stato come urlare in faccia ad un Saraphan di pattuglia “SONO UN VAMPIRO! blah blah blah!”

    Procedetti a passo lento, sanguinavo copiosamente da sotto le vesti e da ogni orifizio della mia povera testa, nonostante facessi finta di nulla il mio disgraziato corpo era stato mortificato non poco da quella caduta. Passo dopo passo, mi ritrovai nei pressi di una bettola di squallida fama. Persino l’insegna era meno sgangherata del locale in se nonostante fosse logorata dalle sferzate di vento ricco di salsedine e appesa al alle mura di pietra del locale solo per metà.
    Il nome era indice di guai; La Capra Bellicosa.
    Mi guardai bene dall’entrarvi, anche se il mio essere vampiro reclamava del sangue fresco, persino un neonato avrebbe potuto presentarmi al cospetto della Ruota del Destino se mi avesse battuto in quelle condizioni. Fuori dalla locanda vidi due prestanti uomini coperti di tatuaggi fino al collo scaraventare un uomo fuori dalla porta, questi carambolò come fosse stato un pupazzo gettato in terra da un bambino viziato, finendo carponi in terra;

    “Guai a te se ti rifai vivo da queste parti, scroccone! Impara a pagare i tuoi debiti prima di farne di nuovi!”

    Gli urlò un pingue uomo dalla folta barba prima di rientrare, seguito da quelli che Samah’el identificò come due buttafuori. Il povero ubriacone biascicò a denti stretti poche parole incomprensibili prima di dirigersi verso un vicolo oscuro. Lo seguii per quanto possibile, era un pasto facile, rapido e abbondante.

    Naeryan ci mise molto tempo nel poter riacquistare forma fisica, non tanto per la presenza delle ostiche creature del mondo spettrali, quanto per la mancanza di un punto preciso in cui convogliare la propria essenza e trasportarsi nel piano materiale. Girò praticamente tutti i vicoli della zona, alcuni erano stretti come aghi, altri erano diventati vere e proprie voragini. Sconsolata, decise di spostarsi sui tetti di quella che nell’altro mondo sembrava essere solo un parti di un labirinto senza fine. Fu lì che riuscì a ricanalizzare la sua energia e, mentre il corpo riacquistava forza, peso ed essenza fisica, gli occhi della dama blu poterono osservare il vorticare di muri impalpabili ricomporsi e ridare “vita” a Meridian. Era riuscita nel suo intento ma distava molto dal luogo del suo trapasso;

    “Dannazione!” sibilò a denti stretti mentre percorreva nuovamente la strada a ritroso.

    Quando finalmente riuscì a trovarmi, con agilità fuori dal comune, Naeryan si calò giù per una grondaia e atterrò elegantemente. Non le badai, ero troppo intento a nutrirmi, il dolce sangue di quell’uomo mi irrorava la bocca riarsa, le gambe della mia vittima scattavano come fossero appartenute ad una cavalletta impietosamente fissata con un ago su di una teca da entomologo.
    La lingua dentata aveva sfondato la carotide dell’ubriacone e ne stava consumando lentamente il prezioso sangue, il costato in frantumi si erano egregiamente rigenerate già da tempo, Naeryan arrivò esattamente nel momento in cui il braccio mi si stava lentamente riassestando, passando da una posizione innaturale e bitorzoluta, sfondata dai detriti di ossa e tendini rotti, alla posizione normale. Il tutto era accompagnato da un’inquietante gorgoglìo viscerale, rombi di carne viva e reattiva che esercitavano disgustose pressioni su tendini ed ossa in riposizionamento.

    Quando anche l’ultima scheggia di ossa cadde in terra mutandosi in cenere, decisi di tirarmi su e darle le attenzioni che richiedeva. Con fare minaccioso e mal celata rabbia mi voltai verso di lei, rimirandola con lo sguardo ardente di un demone infuriato. Naeryan voltò appena lo sguardo, il viso una maschera di rimorso e desolazione; la vedevo fissare il cadavere del mio pasto con un misto di orrore e rimorso.

    “La tegola… Il tetto è ceduto… Io…. Mi dispiace….”

    Il crepitare di Void e della sua lama incandescente rispose al posto mio.
    Mi dispiace…TSK! I “mi dispiace” non mi rimisero di certo la spalla a posto, ne attutirono la mia catastrofica quanto dolorosa caduta.
    Passarono cinque interminabili secondi, cinque secondi di rabbia e di offese senza parole lanciate alla dama dell’aria con il mio solo sguardo come mezzo di espressione. Non mi sprecai neanche a parlarle, i muscoli tesi e le vene pulsanti sul collo e sulle braccia fecero capire alla dama che trascinarmi nel barato con lei non era stato un gesto apprezzato.

    “…Andiamo…” le scagliai perentoriamente nella testa, proseguendo a grandi falcate, forte dell’ira e dell’energia ritrovata.

    Senza aggiungere altro continuammo a percorrere i vicoli e ci recammo oltre le mura interne della città di Meridian con non poca difficoltà. Ovunque sul nostro cammino vi erano Saraphan a protezione dei ricchi e dei potenti che abitavano quei luoghi, le verdi barriere glifiche erano dappertutto e più volte ci costrinsero a cambiare strada e tentare la fortuna per poterle disattivare usufruendo delle deformità che il regno spettrale offriva come ausilio alla mietitrice.
    Naeryan si guardò indietro, rimirando la città Bassa, avevamo da poco lasciato i vicoli putridi e selvaggi di quei luoghi conosciuti e messo piede nella parte alta e ricca di Meridian. Quello era tutto territorio nuovo e vergine, mai esplorato prima dalla dama blu ma non per questo se la sarebbe presa con comoda. I cavalieri Saraphan erano dietro un ogni angolo e il tempo d’azione era stato predisposto per essere il più stretto possibile.

    Con il proseguire e l’uso costante di forza ed energia, mi accorsi di un comportamento anomalo, muscoli e nervi si fecero più fiacchi, la mente confusa…Persi il passo, ora era la dama blu a condurre la corsa mentre io guardavo le retrovie. La dama del vento dalle candide vesti si accorse del mio rallentare, lanciandomi occhiate perplesse;

    “Ci siamo quasi…” disse, cercando di incoraggiarmi a riprendere il passo.

    Le gambe non mi reggevano, barcollavo pericolosamente sempre più ad ogni passo fino a vedermi costretto a dover procedere con la mano appoggiata contro il muro a sostegno della mia andatura.
    Non vedevo bene, la testa girava e lì per lì mi sentii particolarmente…euforico.
    Le voci nella mia mente che usualmente ero abituato a soffocare si stavano facendo più pesanti, più palpabili. Agitavo la mano davanti a me come a volerli spostare, come se fossero talmente reali da poterle toccare e spostare.
    Realizzai troppo tardi cosa mi fosse successo.

    Il sangue non è solo vettore di vita ma anche di malattie, accumula tutto ciò che il vivente consuma…alcol incluso. L’ eccessivo bere di quello sciagurato uomo era rimasto tutto nel suo sangue, tutto il vino e l’idromele avevano perso di sapore ma non di effetto. Avrebbe impiegato più di una notte a mandare in circolo tutto ciò che si era scolato quella sera e il fegato lo avrebbe smaltito completamente; si sarebbe risvegliato vivo ma con un mal di testa tale da desiderare una morte veloce il giorno dopo.

    Ora, quello stesso sangue viaggiava nelle mie vene e non avevo un fegato vivo e reattivo con cui smaltire la sbornia.
    Naeryan si appiattì con la schiena contro il muro come una lucertola, si sporse silenziosa e schiva osservando con occhi da abile cacciatore in avanscoperta. Due soldati di pattuglia stavano facendo il giro dell’isolato. Non sembravano difficili da affrontare e la Ruota del Destino ebbe pietà di loro, consigliandogli di cambiare strada e lasciar libero il passaggio ai due cacciatori.
    Con un sussurro, l’adepta della Cattedrale dell’Anima sibilò poche parole nella mia direzione, accompagnandole con un gesto della mano che lo incitava a farsi più vicino;

    “La via è sicura…Seguimi!” disse scattando in avanti, ma nessuno la seguì.

    Presa dal panico, la mietitrice fece un saltello all’indietro e si nascose prima che fosse vista da una delle guardie. Se avesse avuto ancora un cuore funzionale nel torace, gli sarebbe esploso fuori dal petto dalla paura. Con voce sottile ma ancora piena di panico, Naeryan si girò allarmata verso il compagno e lo vide appoggiato su una spalla contro il muro.

    “Samah’el? Perché non mi hai seguito?”

    Giacevo appoggiato al muro come fossi stato vittima di chissà quale maleficio paralizzante, con una mano mi reggeva la testa, l’altra appoggiata contro il muro come se le gambe non bastassero più per potermi sostenere eretto, tutto il corpo oscillava avanti e indietro lentamente. La dama dagli occhi luminosi si lasciò scappare un’espressione di stupore, tirò leggermente la testa all’indietro con fare interrogativo prima di procedere verso di me:

    “Ehi, tutto bene?...Forse sei ancora scosso dalla caduta …Vuoi riposare?”

    Mi pose una mano gentile sul braccio, tentando di cogliere il mio sguardo da sotto il pesante cappuccio di nero vello. Non mi accorsi di ciò che feci, tutto era come se fosse stato solo un sogno, o un incubo.
    La scansai con un movimento scoordinato e goffo, nel compiere quel gesto finii con lo sbattere la schiena contro il muro.
    Tentai di comunicare con lei ma al mio posto si intromisero ricordi e risposte date in passato, la mia volontà venne soffocata e la voce che uscì dal mio pensiero penetrò nella mente della dama blu, gli echi non erano dissociati come ero ad uso fare nella comunicazione.
    Erano molto più contorti e sofferti, si limitavano a ripetere a velocità aumentata o diminuita quello che le voci dicevano nella mia mente.

    “Stai BuOna…Per la miSeria…Siate daNnAte, voi…VOI e… la vostra ...curRosiTà irriVerEnte….Perché?…Dovete seMpre tocCare…Giù queste mani!…No…Non ce l’Ho la cOda…”

    Naeryan mi fissò con il volto sconvolto da un’espressione sbigottita, l’unica cosa che gli venne da dire fu un balbettato “La che?...C-Come, scusa?”

    Il turbinio di confusione mentale continuò a parlare nella mente della dama al mio posto, ora guidava anche il mio corpo costringendolo ad uno scoordinato gesticolare vistoso, facendogli segno di andar via;

    “….Stai lì…Non avviCinarti…Non voglio guai…menati altRove E lasciAmi staRe…Se ti trOvano Qui …se la prendEraNno con Me…VattEne e nOn torNare…va A caSa, SibIr…Non VoglIo GuaI…”

    D’improvviso, il folle gesticolare si fermò, il mio sguardo incrociò quello della dama che finalmente poté rimirarmi gli occhi caprini, le pupille erano dilatate tanto da sembrare due sfere di nero vetro incastonate in un volto di verde marmo;

    “Tu…sei… ubriaco!?” esclamò bisbigliando la dama prima di indietreggiare allibita spalle al muro.

    “Ma come diavolo…?” Continuava a fissarmi con gli occhi sgranati e un’espressione come se le fosse crollato il cielo in testa.

    “Come hai fatto ad ubriacarti?? Tu bevi solo sangue! SANGUE! Non vino!”
    “…Non mi piAcciOno…le mOre…SoNo acIde...FanNo…ScHifo…Ma ..So…ChE a Te PiACcIoNo MoLtO…E Te Le Ho PreSe…” risposero le voci.

    La dama blu scosse il capo, attonita.
    “Oh! Il tipo della locanda…l’uomo di cui ti sei nutrito…era ubriaco...e ora… Com’è stato possibile?? ”

    Naeryan mi lasciò andare con fare sconsolato mentre il mio corpo, non più sotto il mio controllo, continuava a spostarsi le idee da davanti agli occhi schiaffeggiando l’aria.

    “Non ci voleva…Samah’el, stammi a sentire…Dobbiamo cercare di farti riprendere in qualche modo; abbiamo una missione da compiere e così conciato non andremo molto lontano, senza parlare delle guardie... Se non ti fosse già andato in circolo, avremmo potuto provare a farti vomitare quel sangue alcolico...”

    La guardai dritto negli occhi, Naeryan poté vederlo chiaramente. Qualcosa di anomalo cresceva in me, i caprini occhi ne erano lo specchio. Strisciava nelle membra e su nelle vene, stritolando il mio pensiero cosciente. Quella cosa, che ora regnava suprema dentro me, non gradì affatto la sua minaccia…

    La mano bifida si strinse intorno al collo della donna e la sollevò con una facilità umiliante.
    La voce aspra e echeggiante di ripetizioni era talmente forte da impedirmi qualsiasi azione di contenimento, tanto violenta da farmi male e farne a lei;

    “Tu cRedi...Tu soSpetti …Tu mi additi e Urli il Mio noMe…Con che Diritto…cRedi ch’Io sia un DeboLe o InermE SolO perché Non Ti Apro La TesTa Con QuesTa PieTra? …Posa queL BastoNe e BattiTi da UoMo...OppUre VattEne e Muori cOme vuoi...ma fAllo LonTano da Me…“

    Naeryan si sentì soffocare, le membra cominciavano a cedere sotto la forza del mostro che ora albergava in me. La presi e ne batte la testa una, due, tre volte contro il selciato, senza volontà di smettere.
    Nayren fece saettare la mietitrice dalla sua mano ma le bloccai l’avambraccio, puntellandola in terra, i luminosi occhi pieni di panico erano fissi sui miei. Potevo vederla ma lei non vedeva me, vedeva gli occhi di un me molto più giovane e disperato, terribili occhi di un adolescente pieni di malevolenza;

    ”...Sciocca cReatUra sei…” sibilò il mostro mentre la fissava ”Io Vivo …Sono Nato…e su qUesta tErra ho camMinato... per più teMpo di Te, siCuro…
    SonO 16 AnnI che CammiNo su QuestA Tera…Questa emPia faCcia poRta il Suo maRchio….e Tu sEi solO carne…frAgiLe carne Priva Di sCoPo…
    Guardati…ridicola piccola besTia…frivola vita di ratto di strada…solo peLo, coda E ossa…Figlio indesiderato di un moNdo conTorto…
    Che preOcCuPazIonE hAi tu?... CoMe pUoi viveRe, aMarE ed eSsere amAto tu, che sei AniMale LercIo Di FognA? …AnImale... Anche io sOno un anImAle…e alLora …PERCHÉ non SIAMO UGUALI!!”


    Naeryan tentò di urlare ma la gola gli era ormai stretta in una tale morsa che quasi poteva sentirne le dita stritolare le vertebre cervicali.
    Un possente ruggito preannunciò l’estrazione di Void, l’ascia di nero metallo forgiata dal sangue del mio clan, completamente avvolta dalla luce incandescente che caratterizzava la sua furia; rabbia, euforia, agonia e disperazione ne alimentavano la lama. Il tono di voce si fece sempre più sadico, feroce e violento.
    La voce sussurrò nella mente di Naeryan ancora una volta mentre la lama incandescente le bruciava le carni del viso. Potevo sentirne l’odore, era ripugnante…ma non potei far nulla…

    Naeryan poteva vedermi, all’apice del mio sadismo, poteva vederlo nei miei occhi…
    Io….godevo nel vederla strisciare, dibattersi come un verme infilzato in un amo; la cosa mi stava soddisfacendo oltre misura.

    “Non sanGuino, io?...No piAngo, io?...Non hO maNi, cuOre e cervEllo, io?... Che hAi tu di sPeciale…CHE HAI TU DI NORMALE! ...Qualsiasi coSa sia, Io…Io …Io Te la strApPerò vIa..e la fArò Mia…Si…Mia…MIA!”

    A quel punto non potevo più subire quel giogo, cercai di riprendere il controllo, tentai in tutti i modi di fermare quella follia. La ferocia nel mio sguardo si spense tornando alla quiete ubriaca da cui era partito.
    Ordinai con forza alle mie lerce mani di lasciar andare la donna atterrita sotto di me;

    “…Naeryan …?...Io non…” dissi ma lei interruppe il mio messaggio nel modo peggiore ma efficace.

    Naeryan mi diede un calcio all’inguine talmente forte da fami piegare in due in un grugnito molto acuto per poi rincarare la dose con un secondo colpo al collo che mi lasciò quasi senza respiro.
    Tossendo per risvegliare le corde vocali da quella stretta mortale, la dama strisciò via da sotto di me che al momento giacevo in ginocchio, con le mani a protezione della parte offesa.
    Mentre si rimetteva in piedi, Naeryan aveva gli occhi rossi di lacrime, un misto di paura e rabbia. Lacrime d’ira funesta le rigarono il volto sconvolto da quell’atto di sadica violenza, si era sentita intrappolata, inerme nonostante i suoi poteri, ferita da quel comportamento così aggressivo e del tutto gratuito.

    “C-cosa...” La sua voce rauca stentava ad articolare le parole, complice anche il suo shock. L’invasione emotiva di pensieri e sentimenti l’aveva visibilmente sconvolta, violata nell’intimità della sua mente e del suo cuore.

    “Cosa SEI?!” urlò frustrata. “Phobos aveva ragione a diffidare di te…. Sei un pericolo per l’Alleanza… per tutti…”

    A passi incerti, indietreggiava, ancora scioccata. Alzai faticosamente un braccio verso di lei, come per bloccarla, ma lei si sottrasse, scacciando la mia mano.

    “Stai lontano da me!” gridò con veemenza, prima di scappar via.

    Mi tirai su dopo aver ripreso possesso per un momento delle mie capacità ed energie, calciate via da quella manovra evirante molto efficace se pur poco ortodossa.
    La voce tornò ad appartenermi per un istante, i soliti echi la contornarono, echi di bimbi in lacrime e colpevoli imploranti pietà e clemenza;

    “…No, no... io… non…” dissi in uno spiraglio di raziocinio poco prima di cambiare nuovamente tono, ancora una volta i miei pensieri vennero offuscati da quella...cosa…quel mostro che avevano creato, giorno dopo giorno. Echi ripetuti e frase senza senso. Il mio corpo si affannasse a prendere aria, sospirando pesantemente.

    “N-n-non ci vOgliO veNire…Fa tanTo freDdo lAgGiù…VogliO stare cOn loro…PercHé nOn poSso stAre con lOro…?”

    Naeryan non poté udire le mie parole, mentre scappava vidi il suo corpo dissolversi e sparire in un luogo in cui non avrei mai e poi mai potuto raggiungerla. Sospirai leggermente, la testa mi doleva, continuai a camminare verso il luogo in cui avremmo trovato l’abazia.
    La dama blu era molto in collera con me e non aveva alcun torto nel volermi veder sparire dalla sua vista...



    FINE PRIMA PARTE

    Edited by Naeryan - 30/4/2015, 08:00
     
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    INIZIO SECONDA PARTE


    Capitolo VI
    Angeli e Demoni



    20t08hv



    CITAZIONE
    Mi appoggiai con la schiena contro un muro e mi lasciai scivolare pesantemente a terra. Mi cinsi le ginocchia con le braccia, come a raccogliere me stessa, per paura di perdermi in un oceano di emozioni nefaste. Mi sentivo sconvolta nel profondo... al pari di quando, nella zona costiera vicino alla Prigione Eterna, mi ero imbattuta tempo fa in quella manifestazione ectoplasmatica, coagulo di tutte le emozioni negative delle innumerevoli anime tormentate che vi erano transitate, che avevo risvegliato io, con i miei sentimenti... Un brivido scosse il mio spirito. Gli echi distorti che si propagavano nell’etere di quel reame facevano da contorno ai miei pensieri spezzati e tremebondi. Cercai di riprendermi e di riflettere. Avevo una missione da compiere: dovevo intrufolarmi nel monastero e portar via l’abate; chissà quali difficoltà mi attendevano... Nella città alta, le pattuglie Saraphan erano molto frequenti e se io avevo il vantaggio di poterle eludere nello Spectral, con un recalcitrante monaco appresso, sarebbe stato fuori discussione. Il vampiro poteva tornarmi utile, tutto sommato... Rabbrividii nuovamente, ripensando alla furia omicida che era stillata da ogni sua parola, all’aura sanguigna di rabbia, odio e violenza che emanò il Dumahim. Mi passai la mano sulla gola; ero spettro ora, però l’ombra di quella sensazione ancora non mi abbandonava. Come era stato possibile..? Non avevo fatto niente per provocarlo... quale blocco inibitorio avevo fatto scattare nel suo cervello alterato dall’alcol? Eppure Kainh l’aveva premiato della sua fiducia... Il capo della Cattedrale del Sangue l’aveva accolto tra le file dei vampiri che servivano gli ideali dell’Alleanza. E la mia prima impressione, che formulai la prima volta che lo incontrai, tempo addietro, era apparsa relativamente positiva: un gigante violento e senza scrupoli, misantropo e solitario, ma fondamentalmente corretto. Di certo non un pazzo sanguinario... Eppure...
    Volli riflettere, rievocare quelle sensazioni, seppur ancora brucianti, di poco prima... Nella sua follia dettata dall’alcol, era rimasto presente a sé stesso fino all’ultimo... Finché qualcosa, rimasto seppellito nelle profondità del suo essere si era risvegliato... Qualcosa che aveva approfittato della sua mancanza di autocontrollo. Di certo il Dumahim era un personaggio insolito e nascondeva molto più di quanto mostrasse all’esterno.
    Mentre osservavo il mondo in sfumature blu verdastre, distorto ed etereo, le anime fluttuare erratiche nell’etere, ripensai al suo comportamento. Il vampiro aveva mostrato per tutto il viaggio un’indifferenza tollerante nei miei confronti. Mai avevo potuto intuire che covasse sentimenti negativi... Non ero nello stato di poter giudicare, per cui, per il bene della missione, decisi di accantonare la questione. Ancora ferita e indisposta nei suoi confronti, a disagio al solo pensiero di dovermi avvicinare nuovamente a lui, mi rialzai e cercai un portale da cui riemergere.

    Nel mondo materiale, vivido e pieno di colori, ero riuscito non so come a procedere per la mia strada.
    La mente e i sensi erano continuamente stritolati da immagini, nomi, frasi ed echi del passato che mi tormentavano, sommandosi al pensiero razionale fino a soffocarlo.
    Il sangue venefico girava ancora nelle vene, costringendomi persino a concentrarmi per restare in piedi.

    Trovai un improvviso luogo di ristoro tra i vicoli della Città Alta, avevo cercato di procedere al meglio ma il mio barcollare e i miei grugniti di sofferenza aveva attratto lo sguardo di due giovani virgulti della nobiltà di Meridian, molto annoiati.
    Mi presero alla sprovvista e mi malmenarono, scambiandomi per un povero mendicante ubriaco che aveva sbagliato posto ove chiedere le elemosina. Avevano tentato anche di rubarmi l’ascia ma per dissuaderli gli ruppi le braccia in diversi punti prima di lasciarli andare. Rompere ossa, ho scoperto essere utile per dissuadere le persone…
    Mi lasciarono carponi in un vicolo oscuro, intontito dal pestaggio e dal sangue alcolico.

    Per evitare di venir pizzicato dalle guardie, mi trascinai dietro ad un’osterie di alto borgo, laddove i miasmi e i liquami venivano convogliati nelle canale di scolo che portavano prima alla città bassa e poi nelle fogne. Li stetti per riposare e recuperare i miei nervi, ai miei piedi vi era il corpo di uno sfortunato garzone che mi aveva solo chiesto come mi sentissi e a cui avevo tagliato la gola con un morso.
    Nonostante lo avessi dissanguato, il disagio non mi abbandonava.

    Le mani bifide strette sul volto per sostenermi quella testa che non mi apparteneva più, le campane del monastero suonarono dolorosamente vicine alle mie orecchie, amplificate dal senso di instabilità che ormai mi divorava.
    Avevo gli occhi chiusi e non riuscii a vedere il leggero bagliore di luce blu che preannunciò l’arrivo di una presenza conosciuta, quando li riaprii vidi Naeryan davanti a me, cupa in volto come la morte.

    La dolce dama aveva perso la sua candida luce, ora molto più simile ad una silente furia degli elementi. Con voce tagliente e gelida, proferì poche parole.

    “Abbiamo un lavoro da fare. Adesso seguimi e fai quel che ti dico, esattamente COME lo dico.”

    Cercai di risponderle ma non me ne diede il tempo. Mi lanciò dei lenzuoli sudici, posti sopra alle botti di olio esposte alle intemperie trovate nello stesso vicolo;

    “Metti questi e seguimi. Non fiatare e non parlare, evita di comportarti da animale e cerca di sembrare…umano. Lascia parlare me.”

    Ci vestimmo di stracci, lei si insudiciò il volto con il sangue e la lordura del corpo che avevo lasciato in terra e la stessa cosa feci io; sembravamo due straccioni malati e claudicanti, in agonia e in attesa di essere aiutati.
    Così conciati, la mietitrice si diresse dritta per dritta verso l’abazia, nonostante fosse chiusa dalle mura di cinta interne della città alta, il luogo di cura e sofferenza era ben lontana dalle lussuose ville dei ricchi e dei potenti, sempre pronti ad elargire offerte ma mai disposti a sporcarsi le mani con sangue e pus.

    Nel nostro procedere, Naeryan mi si mise sotto braccio per sembrare più claudicante possibile, io non ebbi alcun problema a sembrare malato; lo ero. La testa mi vorticava sempre più, lo stomaco ribolliva e le membra mi stavano sostenendo a malapena.

    Da sotto il sudicio vestiario, la dama blu riusciva a vedere a stento cosa la circondasse, più volte incespicò nel proseguire verso il portone.
    Tra il nostro insicuro procedere e l’abbazia c’era una piccola piazza con al centro una fontana, nonostante l’ora fosse tarda vi erano ancora delle coppiette che passeggiavano amabilmente prima di andarsi a coricare.

    Nel suo procedere la mietitrice calpestò una piccola pozza d’acqua sudicia, si derise per un istante per aver preso in pieno quella piccola pozzanghera ma perse tutta la sua ilarità quando impattò dritta contro una presenza decisamente sgradita; un Paladino Saraphan in armatura completa, armato di tutto punto.
    Prima che la femmina potesse chiedere venia, una cavernosa voce risuonò violenta e possente nell’elmo piumato.

    “Distanziati da me almeno dieci lance, immondo sacco di putredine! Menati ove il tuo puzzo non possa offendere le mie narici!”


    Con un vigoroso movimento dell’avambraccio, scansò la dama e il pesante “carico” che le gravava sulle spalle tanto rapidamente da farle perdere l’equilibrio e quasi cadere in terra.
    Riuscii a rimanere in piedi solo per miracolo, Naeryan mi si strinse addosso.

    Che fastidio…Quanto ho odiato quel momento…

    Il capo chino e la voce tremebonda e atterrita recitò parole smielate per poter rendere ancor di più credibile la pantomima che aveva ponderato durante la sua pausa nel regno spettrale;

    “Perdonatemi, mio buon signore, perdonate le mie marce gambe e i miei incrostati occhi ma la malattia mi rese cieca e malferma. Siate clemente, o Portentoso Simbolo di nobiltà e benevolenza, perdonate due stanchi e malati viandanti…”

    Quelle dolci parole la stavano strangolando anima e corpo, il Paladino fece un passo indietro, pulendosi la splendente armatura dal sudicio che il contatto con quelle sozze figure gli aveva lasciato.
    Tutt’intorno a noi si formò una piccola frotta di curiosi e amanti degli abusi, i ricchi e nobili abitanti della città alta non erano avvezzi alla violenza ma rimanevano sempre affascinati dalle dimostrazioni di arroganza e supremazia verso i poveri e i deboli; dovevano strisciare e ringraziare con riverenza, quello era il loro posto.

    Pezzenti bastardi coperti d’oro…

    “Perdonarvi? AH! Dovrei tagliarvi i tendini delle gambe per aver insudiciato la purezza di queste vesti sacre con il vostro putridume!” disse il paladino con astio.

    A quelle parole seguì un calcio tanto forte da scaraventare Naeryan in terra. Tentò di rialzarsi ma qualcosa di levigato e affilato le si avvicinò molto lentamente, dopo essere stata estratta con un sibilo minaccioso; una ascia con le sembianze di una pesante ghigliottina ne riflesse il viso e il terrore come uno specchio.

    Agendo di puro istinto, mi ersi contro quel impossibile nemico, troppo forte, troppo agile e soprattutto troppo sobrio per poter essere sconfitto da un vampiro ubriaco. Prima che potessi all’effettivo fare qualcosa, il Paladino mi sfondò lo stomaco con un pesante calcio ben piazzato che mi fece cadere sulle ginocchia;

    “Tu stai al posto tuo, straccione! Nessuno ti ha interpellato. Fatti un favore e resta a terra, topo di letamaio! …e tu, femmina, non mi convinci con le tue dorate parole…Cerca di implorare con più foga e forse eviterò di farti rosicchiare le carni dai ratti delle segrete. “

    Naeryan era nel panico e così anche io, tutto stava andando a rotoli e adesso anche le guardie cittadine ed altri Saraphan si erano uniti alla folla, facendosi lentamente strada verso di noi.
    Ero inutile, a terra, quel calcio aveva scatenato moti convettivi e singulti indesiderati; tutto era perduto.

    “Per L’amor di Ariel, signora dell’Equilibrio! Lasciate stare quegli innocenti!” gridò una voce misericordiosa.

    Un monaco era uscito dall’abbazia dopo essere stato richiamato da un novizio.
    Il Paladino sbuffò infuriato, quasi offeso per l’intervento di quel vecchio biascicone canuto che, a quanto pareva, non era la prima volta che interrompeva il paladino nel suo giocare al gatto con il topo;

    “Sir Heinrich, sia maledetta la vostra scostante alterigia, non avete la minima pietà per gli invalidi? Guardateli, poveri figli di Nosgoth, sono sfiniti e sofferenti e voi che fate? Li deridete?”


    Disse mentre due ministranti lo seguirono passo passo, obbedendo alacremente ad ogni suo più impercettibile ordine. Si frapposero tutti e tre alla furia del Paladino, l’abate dai grandi occhi neri e dalla folta barba bianca fissava senza paura il golem di metallo davanti a se il quale, senza troppa riverenza, lo apostrofò con dure parole;

    “Guarda, guarda, chi è uscito dal suo piccolo rifugio infelice. Non siete un po’ troppo vecchio per questo genere di cose, Padre Abbath?”
    “Vi impongo di smetterla con questa follia. Non è questo che insegnano i guardiani dell’Ordine…e Voi sapete quanto io ne sappia al riguardo.”
    “Ah! Come se aver fatto parte dell’Ordine e aver SPUTATO sulla sacra tonaca per ritirarsi a vita monastica vi renda migliore di questi…questi…gatti di strada…”
    “Io so solo che i malati sono affar mio e la protezione degli innocenti è affar vostro…Perché non vi curate dei vostri affari e lasci i malati a me?”

    Il Paladino gli si fece molto vicino, troppo vicino, la ghigliottina si sollevò quasi senza peso, frapponendosi ai due. Il monaco non sembrava aver alcuna paura negli occhi, era calmo e sicuro di sé, una consapevolezza che solo una grande saggezza può dare.

    “Non mi sfidate…PADRE Abbath...
    …Voi sarete anche un uomo di chiesa ma io…Sono il volere l’Ordine incarnato…”
    disse con tono sprezzante al suo avversario disarmato ma l'abate non rispose a tali parole, si limitò a sorridere dolcemente al fu confratello prima di agire secondo coscienza.

    Prendendo le mani di Naeryan avvolte dal lurido telo che aveva osservato la scena non senza un certo panico nel cuore, apostrofò la piccola dama con parole cortesi;

    “Vieni mia cara, tirati su…Vedrai, ci prenderemo cura di te e del tuo compagno di sventura. Entro domani sarete liberi di tornare a casa, sani e rifocillati…”

    Il Paladino sentiva sempre più forte il desiderio di voler fracassare il cranio a tutti e cinque quando un siparietto improvviso ne convertì la furia in ilarità.
    Il calcio di Sir Heinrich mi aveva aiutato a fare l’unica cosa saggia da fare quando si assume un veleno; vomitarlo tutto.
    Appena il ministrante mi mise una mano sulla schiena per tirarmi su, mi voltai verso di lui, inconsciamente, e gli vomitai addosso un litro e mezzo di sangue coagulato e grumoso addosso. Il povero ragazzo dalla testa rasata non fece una piega ma il suo sguardo tradiva un mal celato disgusto.

    “AH! Non pensavo che tra le tue mansioni ci fosse anche la bella lavandaia! Fai pure, Padre . Prenditi cura dei tuoi affari prima che ti insudicino il vestito della festa!”
    Esplose in una grassa risata, accompagnata da quelle dei suoi compagni che continuò anche quando Padre Abbath, Naeryan e un tremebondo me stesso sostenuto da entrambi i ministranti penetrarono nell’abazia.


    Capitolo VII
    Il Rifugio dei Dannati



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    Una volta chiusi i pesanti ed imponenti battenti dell’abbazia fummo al sicuro. Il silenzio fu la prima cosa che ci colpì: decine di monaci attraversavano i corridoi a volta del monastero, il fruscio dei loro sai e il calpestio dei loro sandali erano gli unici rumori, oltre a qualche lamento e colpo di tosse di ammalati. Non eravamo infatti gli unici “bisognosi di cure” che entravano in quella sacra costruzione, un colosso di pietra che si ergeva imponente ma leggiadro, come a ricordare la grandezza di Dio e al tempo stesso la sua bellezza; come a intimorire chi vi entrava mostrando loro la potenza del Signore e al tempo stesso l’infinità del suo “abbraccio”: c’era sempre spazio, infatti, in quel monastero per chi cercasse ivi rifugio dalle afflizioni della carne e dello spirito.

    “Ecco qua, ora sarete al sicuro.” - disse l’abate dolcemente, con toni bassi. “Vi attende un pasto caldo e un caldo giaciglio. Dopo esservi riposati e rifocillati vedrete che starete meglio. Per ogni cosa, i nostri fratelli medici vi possono assistere in infermeria. Vi auguro una buona permanenza e una buona nottata.”
    Detto questo si allontanò, sparendo dietro l’angolo di un corridoio, prima ancora che potessimo rivolgergli parola.
    Il giovane novizio ci accompagnò verso la mensa, indicandoci una panchina dove sederci e poi sparì in fretta, probabilmente a cambiarsi il saio macchiato e a darsi una lavata.
    Ma a noi non interessava la mensa. Iniziammo a girare per i corridoi, grati del fatto che i monaci non ci prestavano granché attenzione. Quando qualcuno ci bloccava, chiedendoci cosa ci stavamo facendo in quest’area del monastero, intervenivo io e con voce contrita gli spiegavo che ci eravamo persi nelle svolte, mentre ci recavamo al dormitorio. Ogni volta che il frate di turno ci indirizzava nuovamente, noi cambiavamo puntualmente percorso, alla ricerca dell’ala dove si radunavano tutti i monaci.
    Ben presto però il mio compagno non riuscì a starmi dietro.

    “Debole...Bisogno di riposare... Devo bere sangue fresco, ma dubito di trovarne qui... Forse qualche agnello nei recinti dell’abbazia...?”


    Sentii la debole voce mentale del Dumahim farsi strada nella mia mente. Sobbalzai, irritata dalla sua intrusione. Istintivamente mi allontanai da lui, guardandolo severo. Lo sguardo del vampiro era ancora offuscato, ma percepivo una specie di atteggiamento quasi remissivo, in un modo infantile: stava cercando di fare finta di niente, non sapendo bene come approcciarmi dopo quel che era successo. Non aveva proferito parola da allora e potevo percepire il suo disagio nell’interfacciarsi con me.

    “Credo tu abbia fatto abbastanza guai per la giornata, non credi?” - gli dissi, glaciale. “Forse sarebbe meglio che tu te ne andassi buono buonino nel dormitorio a riposare e lasciare a me il compito di individuare l’alloggio dell’abate...”
    Riflettei. Samah’el mi serviva se l’abate avesse opposto resistenza: scappare dal monastero con il vecchio legato e imbavagliato issato sulla schiena sarebbe stato alquanto arduo per me sola.

    “Va’ in mensa e vedi se c’è della carne fresca... Chiedila al sangue o poco cotta... Forse quella ti rifocillerà un poco. Poi aspettami alla foresteria: ti raggiungerò appena fatto e canterò il verso del gufo per ben tre volte di seguito. Capirai che sono io e uscirai dalla stanza. Chiaro?”

    Il gigante fece un cenno col capo e barcollando si diresse verso la mensa.
    Ritornai sui miei passi e, dopo aver gettato via gli stracci che mi erano serviti come camuffamento, sgattaiolai attraverso i corridoi a volta, sgusciando nell’ombra. I monaci solevano coricarsi per la notte in un’area ben precisa, di solito separati dall’alloggio dell’abate, che invece aveva un’area tutta per sé. Entrambi le sezioni erano situate in prossimità della chiesa, fulcro del monastero, in quanto vi si recavano regolarmente a determinate ore per pregare.
    Il tramonto era passato da un pezzo e così l’ora dei Vespri: non c’era più modo di poter pedinare l’abate dalla chiesa al suo alloggio, dato che ormai la chiesa era deserta e l’abate già nella sua stanza. Mi chiesi come mai fosse uscito di persona a salvarci dal Saraphan; probabilmente stava studiando in quella finestra di tempo dopo il Vespro, prima di coricarsi, e doveva aver sentito il baccano provenire dabbasso. Mancava poco ormai alla Compieta, l’ultima preghiera prima del riposo notturno, e le mie chance di individuare il suo alloggio rasentavano sempre più lo zero.
    Però avevo un indizio: per averci sentito, l’alloggio dell’abate doveva situarsi sul fronte del monastero, dal lato che dava sulla piazza antistante. Potevo quindi iniziare la mia ricerca dall’ingresso, sperando di non perdermi troppo.

    Il tempo scorreva veloce mentre vagavo per i corridoio bui e silenziosi del monastero. Generalmente questo tipo di costruzioni era semplice e squadrato nei propri locali; l’Abbazia di Meridian invece sembrava esserlo a primo acchito, ma esplorata si rivelava essere tortuosa e ricca di corridoi secondari, scalinate a chiocciola e porte. La ricerca si protrasse a lungo con mia grande irritazione, mentre sbuffavo e cercavo di non perdermi nel dedalo di passaggi. Dopo aver imboccato l’ennesimo corridoio, mi ritrovai davanti ad una porta di uno sgabuzzino... che dava proprio sull’atrio principale.
    “Non è possibile...” - sibilai, accasciandomi contro un muro. Ero certa di aver battuto ogni possibile strada, ma non avevo ancora trovato l’ingresso che portava agli alloggi dell’abate. Forse mi ero sbagliata, forse lui non era nei suoi alloggi quando ci aveva sentiti, forse era in biblioteca, nonostante fosse già sera...

    “Biblioteca? Ma era dall’altro lato, l’ho intravista mentre un frate ne chiudeva a chiave la porta, mentre giravo assieme a Samah’el... Dannazione!”

    Stavo perdendo un’infinità di tempo e ormai ero convinta di aver perso l’occasione... Non sapevo nemmeno cosa era successo al Dumahim: magari si era sentito ulteriormente male nella foresteria e avevano scoperto che era un vampiro...
    Un rumore sommesso mi riscosse dalle miei allarmanti pensieri. Era distante, soffocato, ma assomigliava allo sfregare di due grosse pietre...
    Mi alzai di scatto e cercai di identificarne la provenienza. Corsi fuori e seguendo l’intuito salii di volata la prima rampa di scale sulla mia sinistra. Sbucai in un corridoio che avevo già percorso due volte un’ora prima. Su un lato vi erano delle finestre che davano sulla piazza antistante l’abbazia, dall’altro file di porte dimesse. Ad un primo esame sembravano essere ripostigli e stanzini di servizio e per questo non vi avevo dato molto peso in precedenza. Il rumore si ripeté, questa volta più vicino. Corsi silenziosamente verso l’incrocio e guardando all’altro corridoio, vidi una debole luce illuminarne il lastricato. Un flebile rumore di passi si fece strada fino alle mie orecchie e io mi appiattii contro il muro d’angolo, sbirciando furtiva la chiazza di luce farsi più intensa.
    All’improvviso, vidi apparire una figura con una candela in mano e delle pergamene sotto un braccio. Quando fu abbastanza vicino, la luce del lume rivelò la sua identità: era proprio l’abbate! Padre Abbath sembrava assorto nei suoi pensieri, le rughe del suo volto segnate in un’espressione meditabonda, non proprio priva di preoccupazioni. Il frate superiore svoltò un altro angolo e io sgusciai dal mio nascondiglio per pedinarlo, silenziosa. Avevo capito infatti che il Padre si era servito di qualche passaggio segreto nei muri di quel corridoio, probabilmente in uno di quegli anonimi e apparentemente ordinari sgabuzzini. Le pergamene doveva essersele procurate da qualche parte, probabilmente una sua biblioteca privata, dove teneva conservati documenti e libri inerenti materie non proprio clericali.
    Capii che Rekius aveva avuto ragione su di lui: nonostante all’apparenza sembrasse un frate modello, probabilmente ancora conservava dentro di sé quell’antica sete di conoscenze proibite, che ogni tanto affioravano nella sua mente e che poteva saziare solo nel cuore della notte, di nascosto.
    Camminavo furtiva dietro di lui, avvicinandomi sempre più. Dovevo scegliere il momento più opportuno in cui palesarmi, altrimenti avrebbe potuto sfruttare facilmente qualche altro passaggio nascosto e seminarmi definitivamente. Così aspettai che raggiungesse i suoi alloggi, aprisse la porta chiusa a chiave ed entrasse.
    Immediatamente evocai i miei poteri e comandai al mio corpo di tramutarsi in fumo. Mi lanciai verso l’apertura, prima che il frate chiudesse la porta e lo investii di una fredda corrente d’aria.
    Il frate capì subito di essere al cospetto di un’entità sovrannaturale, perché chiuse di scatto la porta e prese da una tasca interna del saio uno strano amuleto, mormorando una sorta di scongiuro, parole in una lingua a me sconosciuta.

    “Rivelati, demonio! Creatura di Ralgath! Di chi sei servo? Chi ti manda da me?!”
    - aggiunse, subito dopo.

    Ripresi consistenza al centro della sua stanza, rivelandomi.
    “Padre, la prego, non si allarmi. Non ho intenzioni malvagie.”
    “Quella voce! Tu sei l’inferma che abbiamo salvato stasera da Sir Henrich! Che cosa... sei?” - borbottò l’abate, cauto.

    “Sono una Mietitrice dell’Alleanza, che ha sede nel cuore dei Pilastri di Nosgoth. Sono stata inviata da un mio confratello per una questione di rilevante importanza. La prego, mi ascolti.”
    L’abate si rilassò un poco e iniziò a camminare lentamente, aggirandomi, verso la sua scrivania.

    “Ah! E così siete voi le anime dannate che infestano quella zona, di cui tanto parlano i miei ex fratelli in arme... Anime di non morti, capaci di andare e venire a piacimento dal regno dei morti... la vostra esistenza pare agli occhi di molti un’aberrazione.”


    “Non più di molte altre entità decisamente vive e vegete che calpestano il suolo di Nosgoth seminando terrore e distruzione, tirannia e crudeltà... molto similmente ai vostri ex fratelli...” - ribattei, asciutta.
    “Mmm... E’ vero che l’ordine a cui un tempo appartenevo, prima di dedicarmi alla vita di preghiere e di assistenza ai poveri e agli ammalati, si è macchiato di innumerevoli peccati... Per questo non bisogna mai giudicare solo dalle apparenze. I miei ex confratelli si ammantano di gloria divina, asserendo di star svolgendo un incarico nobile e puro, quando invece tiranneggiano sui deboli, come cani rabbiosi. Bah!”

    Il frate scosse la testa, un’espressione amareggiata dipinta in volto.

    “Mentre le voci secondo cui Mietitori e Vampiri sono immonde creature che tramano assieme per spazzare via l’umanità si siano provate false in più di un’occasione. In questo monastero cercano rifugio molte persone, perlopiù viandanti stanchi e affaticati. Le persone parlano: coloro che hanno visto il risultato delle vostre azioni stanno incominciando a sfatare i pregiudizi che circolano su di voi, asserendo che vi battete per loro, contro la tirannia.”


    “E’ davvero quello che stiamo cercando di fare... A noi non interessa che gli umani ci credano salvatori o demoni distruttori: abbiamo un dovere da compiere nei confronti di questa terra, indipendentemente che ci venga riconosciuto il merito. Siamo anime dannate, vero... e alcuni di noi possiedono un lato oscuro demonico, non nego, pericoloso persino...”
    Mi interruppi, ripensando all’aggressione subita ore prima per mano di Samah’el.
    “Ma noi tutti siamo stati in qualche modo scelti per questo... che sia dal fato o da altro non lo so... ma a noi ci sono stati dati grandi poteri e abbiamo il dovere di impiegarli per liberare questo mondo piagato. Noblesse oblige...

    “Già! Dovrebbe diventare il motto di quei cavalieri scriteriati... Allora, dimmi, dunque. Qual è la questione importante per cui sei venuta?”


    “So che Lei è una figura di rilievo qua all’abbazia e che il suo allontanamento potrebbe causare qualche problema, ma è necessario che Lei venga con me e il mio compagno alla Cattedrale dell’Anima. Sappiamo ha conoscenze proibite sui demoni e tali preziose informazioni ci servono ora come non mai.”

    “Cosa? No, io proprio non posso lasciare l’abbazia, nono...”
    Padre Abbath si scurì immediatamente in volto e raccolse, quasi come se fosse stato colto in fragrante, il fascio di pergamene che nel frattempo aveva posato sulla sua scrivania, andandole a posare altrove.
    Poi, con un sorprendente scatto di rabbia, gettò via le pergamene per terra.

    “Ho chiuso con queste cose anni fa! Non sarei qui sennò... Non sono più la persona che ero un tempo, chiaro?? Ho dei malati in infermeria che non sappiamo come curare... A volte ci capitano casi strani, in cui tutti i rimedi convenzionali falliscono.... E pur di salvarli, a volte cerco negli antichi tomi proibiti, qualche cura o incanto da utilizzare... Tutto qui.”

    Finito lo sfogo, il frate si sedette stancamente sulla sedia d’innanzi la scrivania.
    Ora capivo perché aveva avuto un’espressione così preoccupata quando l’avevo visto nel corridoio, poco prima. Mi avvicinai lentamente e gli rivolsi parola in tono basso e calmo: “Nessuno Le sta chiedendo di fare ciò che faceva un tempo. Ma Lei stesso ha capito come quelle conoscenze a volte possano essere impiegate per il bene degli altri. Non ci sono solo i suoi malati ad averne bisogno: se applicate correttamente, le conoscenze che Lei possiede possono salvare innumerevoli vite. La prego, io e il mio compagno vampiro abbiamo sopportato considerevoli difficoltà per arrivare fin qui... Accettato compromessi e utilizzato espedienti non proprio onestissimi... Non faccia sì che tutto ciò sia stato invano...”

    Padre Abbath rimase immobile, lo sguardo perso nel vuoto, un’aria sofferta ma al tempo stesso quasi rassegnata.
    “E’ proprio vero che in questo mondo tra il bene e il male vi è una sottilissima linea...” - mormorò infine l’abbate. “Ebbene, vi aiuterò.”

    Seduto su di uno scalino, le mani giunte del vampiro tenevano la piccola ciotola che Padre Abbath gli aveva dato per riprendersi dall’emorragia gastrica che si era auto procurato per espellere tutto il marciume che aveva ingerito dall’ubriacone. Il prezioso sangue di animale arricchito di spezie e fluidi rinvigorenti era molto meno saporito di quello umano ma l’alimentazione a cui il monaco aveva costretto l’animale lo aveva reso ricco in nutrienti.
    Fissava il nulla mentre la sua mente si ridestava dallo stato di torpore forzato che quell’esperienza psicotropa le aveva causato.
    Non ci badai, intenta com'ero ad osservare impaziente i movimenti del monaco che, lentamente, stava rimettendo i propri appunti e le proprie memorie in ordine, arraffando l’utile e il necessario per poter applicare altrove le proprie conoscenze sulla demonologia.

    Come un soffio timido, una pigolio di pulcino mortificato, la voce di Samah’el si palesò nella mia mente, gli echi erano ancora un po’ confusi ma sempre supplicanti il perdono.

    “Naeryan …volevo solo…dirti…c-”
    Secca e spietata come un colpo di frusta su una schiena inerme, interruppi i suoi pensieri voltandomi di scatto e fissandolo con gelo.

    “Basta così!” - sibilai minacciosa. “Ti sei intromesso nella mia mente fin troppo, violando i miei pensieri e le mie emozioni, il tempio più sacro che un individuo possa avere. Non devi dirmi niente, NON VOGLIO sentire niente! Non so quale forza oscura covi dentro di te, ma se non fossi già morta mi avresti ucciso stasera! Voglio solo tornare a casa... a riposare in pace...”

    Le mie brucianti parole stupirono il monatto tanto da interromperne l’arraffare di tomi e oggetti a lui cari. Da colta e affabile dama a violenta e coraggiosa guerriera.
    “Ci vuole fegato per far brutto muso a quell’affare…” pensò tra se e se l’abate, fantasticando sulle parole della mietitrice e immaginandosi cosa potesse essere accaduto tra i due.
    Non lasciai capire quali fossero quelle silenziose affermazioni che il muto colosso pronunciava nella sua mente.
    Forse era proprio di questo che la dama parlava, quando aveva accennato al lato oscuro che certuni dell’Alleanza possedevano... Di nuovo rifletté su quanto nulla a questo mondo fosse buono o malvagio di per sé, ma di quanto labile fosse la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato... Male e bene che convivono assieme, il bene che genera il male e il male al servizio del bene...
    Il monaco si riscosse dalle sue riflessioni e tornò a raccogliere i suoi averi nella borsa.

    Il Dumahim continuava a fissarmi con quegli occhi caprini privi di umanità e il volto sempre serio, gelido, come una statua apatica. Ignorando totalmente le mie affermazioni, si insinuò nuovamente nella mia mente per abbandonare un ultimo messaggio, lasciandomi al fine l’ultima parola.

    “E’ uso comune…che sia la folla…ad esecrarmi…prima che io…possa farle torto…ma oggi mi scopro un immondo essere… da esecrare.
    Giustificarsi…è da vili.
    Ti ho fatto torto…senza motivo…e sono stato io…a farlo.
    Non voglio pietà…non la conosco…e non voglio scusarmi…non sarebbe giusto.
    Delle fredde scuse… sono una seconda offesa... Tu non vuoi essere compensata …perché hai ricevuto un torto; vuoi essere consolata …perché sei stata ferita.
    Ma io…non so consolare…non so come si fa… Non ne sono capace…e non so come rimediare...
    Vorrei farlo…tanto…ma non so come fare…
    Ho sbagliato…fin qui è chiaro…ma se scusarsi non è giusto…e giustificarsi non è una soluzione…come posso fare... perché tu capisca…che non volevo farti male?”


    Rimasi ferma e silenziosa, lo sguardo perso nel vuoto, la rabbia scemata da questa ammissione di colpa... Era vero, ero stata ferita, violata e scioccata; non era una punizione da infliggere al vampiro ciò che volevo...
    Stare da sola a leccarmi le ferite, sulla difensiva; far sì che ciò non si ripetesse più, difendersi...
    Dopo un lungo silenzio, decisi di rispondere a quelle sottospecie di scuse;

    “Non è compito mio giudicare chi ha torto e chi ha ragione, chi è buono e chi è malvagio...Siamo tutti angeli e demoni al tempo stesso e non è il singolo atto che ci definisce, ma la costanza di tali atti... Ti credo quando dici che non era tua intenzione farmi male; non me ne hai fatto durante il resto del viaggio, per quale motivo avresti dovuto aggredirmi? Non ti conosco, ma molti tuoi fratelli alla Cattedrale del Sangue ti rispettano, incluso il Guardiano del Conflitto. Pertanto, probabilmente hai già dimostrato il tuo valore. Però, se avessi saputo che covavi un tale male nel tuo cuore, forse sarei stata più cauta. La mia leggerezza nell’approcciarmi a te è stata dovuta alla mia ignoranza...”

    Mi voltai nuovamente per fissare il vampiro negli occhi.

    “Forse invece di chiuderti nel tuo silenzio e nel tuo isolamento, dovresti incominciare ad informare i tuoi compagni, quanto meno su come reagire e aiutarti in caso tu abbia altre crisi come queste... Non sei più il guerriero solitario di un tempo. Ora sei parte dell’Alleanza, hai una responsabilità nei confronti dei tuoi compagni e dell’Alleanza stessa. Non puoi più pensare di fare quello che vuoi, perché le conseguenze delle tue azioni ora ricadono anche sugli altri.”

    La voce sommessa ma decisa della mietitrice risuonò nel silenzio e le sue parole fecero provare al vampiro una strana fitta al petto. Il Dumahim sapeva che la dama aveva ragione e il suo volto si contrasse in una smorfia contrita. Aveva percepito il sottile rimprovero per averle taciuto il suo lato demoniaco e così facendo averla messa in pericolo. Forse avrebbe dovuto fare come gli aveva suggerito... ma come avrebbe potuto spiegare a tutti una cosa del genere? No, troppo privata, troppo personale, non avrebbero capito... ma forse... forse un giorno l’avrebbe fatto... Dopotutto, almeno a Naeryan, doveva delle spiegazioni...

    Un lieve colpetto di tosse proveniente dalla scrivania segnalò che l’abate era pronto.
    “Perfetto, ci faccia strada, Padre.”



    Capitolo VIII
    Tra Incudine e Martello



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    La botola sopra di noi si aprì lentamente, sostenuta dalle mie mani, rinforzate dal ritrovato vigore.
    Sbirciai i dintorni prima di far passare Naeryan e Padre Abbath per primi.
    Quella dannata dama blu mi aveva dato parecchio da pensare; essere efficienti per l'Alleanza necessitava un maggior autocontrollo e una totale sottomissione dei miei ricordi.
    Nonostante fosse stata palese la complicità dell'alcol nel sangue dell'ubriacone a farmi diventare un mostro iracondo, non potevo smettere di pensare che, forse, quel mostro iracondo non era altro che l'ombra della mia umanità residua, un archetipo costruito sulla violenza degli altri e di cui, inconsapevolmente, avevo dovuto far crescere e nutrire per sopravvivere a quel mondo così malato e violento.
    Il demone che abitava la mia anima era un colossale ammasso di ricordi, contorti e resi ancor più violenti dalla infantile mente che dovette farci i conti; razionalizzare il perché ti stiano dando fuoco alle gambe non è facile per un bambino.
    Comunque fosse andata a finire quella missione, sapevo che avrei dovuto fare i conti con me stesso, prima o poi. Uccidere il demone o nutrirmi della sua rabbia...Diventare il mostro che tutti vedono in me o annichilirlo e segregarlo per sempre nel profondo della mia anima.
    Una scelta che per i molti sembra facile ma quanti uomini possono dire di essere rimasti illesi da una lotta contro i propri demoni?

    Ci ritrovammo fuori dall'abbazia, in un piccolo spazio adibito a scarico merci dal quale si snodavano una miriade di stretti viottoli che ridavano dietro le mura interne; il confine tra città alta e i lerci bassifondi.
    I lumi che regalavano la loro timida luce ai dintorni erano molto più flebili di quelli che illuminavano i vicoli e le strade della nobile parte della Meridian benestante.

    “Senza indugio, proseguiamo prima che sia...” le parole di sprono della mietitrice vennero bruscamente interrotte da una voce sgradevole e familiare; la voce del Paladino Heinrich.

    “Troppo tardi, signori. Per voi è sempre stato troppo tardi.”

    Lesto mi guardai alle spalle ed afferrai la mia fedele ascia e lo stesso fece Naeryan con la luminosa mietitrice, onnipresente come parte integrante della sua stessa anima.

    L’abate si ritirò dietro di noi, stringendo amorevolmente i propri tomi ma il suono di armigeri e pesanti cavalieri in marcia giungeva anche dagli altri vicoli che ridavano ad imbuto nel piccolo piazzale.
    In breve tempo ci ritrovammo circondati da una decina di uomini armati di cui la metà erano Cavalieri Saraphan .

    “Padre Abbath, non siete troppo vecchio per accompagnarvi con una succhia anime e il suo amichetto sanguisuga?” disse Heinrich, ridendo nello scintillante elmo.
    “Come diavolo facevano a sapere che eravamo qui…” sibilò tra i denti la mietitrice.

    Eravamo stati silenziosi, schivi e invisibili agli occhi di quei facinorosi bastardi dell’Ordine eppure era come se avessimo avuto un faro puntato addosso per tutto il tempo. Il fragore del metallo che batteva contro il metallo delle nobili armature riempiva i silenzi degli interlocutori come monito di una morte che sarebbe giunta lenta e dolorosa.

    “Non siete gli unici che sanno a chi fare le giuste domande per avere risposte. L’oro compra molto più dei favori richiesti a quattro zingari e il loro carretto di fenomeni da baraccone.”

    Con quell’affermazione, Heinrich sfatò tutti i dubbi che fino a quel momento avevano smembrato la mente di Naeryan. Il titolare del circo aveva visto la ghiotta occasione di guadagno e aveva atteso che portassimo a termine lo spettacolo e l’incarico che ci aveva affidato prima di denunciarci all’Ordine.
    Un furbo e avido bastardo, esperto conoscitore del doppio gioco.

    “E’ davvero un peccato che una così bella donna sia diventata una portatrice di peste a Nosgoth ma sarà ancor più piacevole schiantare le vostre teste sotto il peso della mia ascia…Signori, prego. “

    Disse aprendo le braccia ai suoi confratelli;
    “Fate ciò che sapete fare meglio…ma lasciate il monaco vivo…Avremo molto di cui parlare con quel traditore della razza umana.”

    Heinrich alzò una mano e diede l’ordine; distruggere.

    Video

    Con una salva di urli di guerra, cavalieri Saraphan e guardie cittadine si gettarono addosso ai due membri dell’Alleanza e il crudele balletto ebbe inizio.
    Abbath si rifugiò come un gattino smarrito dietro ad un cumulo di barili contenenti vino e spezie provenienti da chissà dove.

    Sentii il corpo bruciare dell’energia rossa che caratterizzava l’uso dei miei doni oscuri, una impercettibile barriera mi ricoprì per intero dandomi momentanea invulnerabilità, nel contempo Naeryan spiccò un abile balzo prima su di un carretto di fieno, poi su una pila di casse dirette a Freeport.
    Gli occhi di luce ultraplanare si illuminarono e una densa coltre di nebbia si levò inesorabile con la stessa velocità con cui le sue braccia si alzarono, evocandola.

    La calca di gente si ritrovò completamente immersa nella densa nebbia richiamata dalla dama, l’unica cosa che poteva essere vista erano le rune anti vampiro che si attivarono come fari di luce sacra nel vuoto e la pallida luce che la lama dell’ascia vampirica generava in funzione della mia rabbia.

    Colpi di metallo che schianta metallo e grida di battaglia risuonarono nel vicolo, Heinrich era rimasto in disparte come se potesse vedere tutto ciò che si stava svolgendo all’interno di quella coltre innaturale di vapore acqueo. Immobile come una statua, quasi sapesse già come sarebbe andato quello scontro.

    Ogni tanto era possibile vedere corpi sollevati da turbini di vento generati dalla mietitrice intrisa del potere dell’aria e schizzi di denso sangue bruciato ghermire come pioggia i muri dei vicoli e il lercio acciottolato della piazza.
    Le urla di battaglia si tramutarono in grida di terrore e poi in gorgoglii di morte soffocati nel vitale fluido che abitava i corpi delle guardie cittadine. Più volte avevo usato il nemico come scudo vivente dopo averlo stordito con densi proiettili di energia vermiglia e quando anche il nemico dinnanzi al mio scudo veniva smembrato dalla potente ascia incandescente, me ne nutrivo avidamente con la lingua dentata.

    Naeryan attaccava con manovre mordi e fuggi molto efficaci, la sua affinità con l’elemento vento le regalava una buona vista in quell’inferno bianco e non esitava a colpire i nemici con la sua famelica lama spirituale, ghermendone le essenze e nutrendosi nei pochi periodi di calma che precedevano l’avvento di altri assalitori. Mentre combattevamo nella nebbia, altri nemici arrivavano da tutti i vicoli come scarafaggi richiamati dalla prospettiva di un pasto facile.

    Nonostante il vantaggio tattico, ci rendemmo presto conto che, perpetuando la rissa, avremmo presto capitolato.

    I Cavalieri Saraphan armati delle potenti e percettive rune avevano un enorme vantaggio su di noi e più volte ci costrinsero a dare fondo alle nostre energie per contrastare la tempesta di attacchi portati a termine con chirurgica precisione dalle lame dell’Ordine rilucenti di energia glifica.
    Naeryan si scontrò con un cavaliere che le recò in dono parecchie ferite, neppure il consumo di quella sudicia anima di furfante gli diede ristoro.
    La nebbia si stava lentamente diradando e lo scontro era ben lontano dall’essere vinto.
    Lanciai un messaggio nella mente della dama blu mentre era intenta a sfilare la mietitrice da dentro il corpo senz’anima di una guardia cittadina;

    “Continuano ad arrivare…non ce la faremo…Tu…e il frate…ripiegate…Portalo via…Vi copro la ritirata.”


    Naeryan non poté rispondermi altrettanto silenziosamente, il coordinarsi nel silenzio era sì una buona strategia ma il canale era tristemente unidirezionale. Poté solo che darmi retta.

    Grazie al suo dono, la giovane mietitrice riuscì a recuperare il monaco tremebondo dal suo nascondiglio, esortandolo a seguirla. Gli occhi si illuminarono, ogni sibilo di vento venne richiamato e si fece violento tifone nelle mani della donna.
    Una pesante folata spazzò via la nebbia davanti all’adepta della Cattedrale dell’Anima, aprendo la via per l’unico vicolo che sembrava essere solo tappezzato di cadaveri e da cui non giungevano nemici.

    Lesto mi infilai in un angusto spazio tra un muro e delle casse, puntai forte i piedi aderendo con la schiena contro la fredda roccia e, stringendo i denti, feci forza per smuovere quel cumulo di merce e farlo cadere addosso agli assalitori. Spinsi con violenza finché le casse non cominciarono a dondolare e cadere rovinosamente contro le guardie cittadine e i cavalieri Saraphan.
    Non finirono di cadere per intero che mi era già portato altrove, seguendo i due compagni in fuga.

    Veloci come schegge, quattro fanciulle armate di balestra sbucarono come ombre da un vicolo e si portarono al fianco di Sir Heinrich.
    Una scarica di frecce volarono dritte e sicure contro il vampiro in fuga e la mietitrice. Usando il proprio potere, la donna deflesse le frecce così come fece il mio impalpabile scudo di vermiglia energia.

    Il Paladino era calmo e rilassato, aveva previsto tutto, sibilò un ordine alle donne che svelte annuirono e si sparpagliarono veloci come lampi per i vicoli della città.

    Naeryan proseguì rapida, ripercorrendo a ritroso le strade che le erano familiare tenendo al sicuro l’abate che, lentamente, perse il passo ormai esausto.

    “Sir Heinrich ha ragione, sono troppo vecchio per queste cose…” non fece a tempo a dirlo che lo afferrai per il fianco con un braccio e me lo misi in spalla come un sacco di patate.

    Dai tetti sovrastanti i vicoli piovvero frecce, attacchi portati con maestria dalle rapide balestriere. Alcune andarono a vuoto, altre perforarono la schiena della mietitrice e le carni nerborute della mia schiena. Presa al calcagno, Naeryan capitombolò in terra gemendo di dolore, mentre una seconda freccia mi perforò il fianco ma ero ancora in grado di camminare.
    Senza pensarci troppo su, presi anche la mietitrice sotto braccio e continuai la mia corsa ma le ferite ricevute in battaglia e i rapidi dardi scagliati con perizia dalle assassine mi fecero presto rallentare il passo.
    Rimpiansi di non essermi portato dietro HellGate, fido muro d’acciaio impenetrabile…Non di certo il più facile da occultare degli arnesi ma una protezione in più alle volte stabilisce il limite tra la vittoria e la sconfitta.
    Riuscii a portarmi dietro un magazzino e ne sfondai la soglia con un calcio, dei lavoratori erano ancora intenti a catalogare la merce ivi rinchiusa. Visti gli intrusi se la diedero saggiamente a gambe incespicando comicamente per le scale e chiudendosi al sicuro in sale adiacenti. Deposi con poca accortezza i miei compagni in terra prima di estrarre una freccia dalle carni del mio costato con non poco dolore.
    Naeryan strinse i denti e fece lo stesso con il dardo che le aveva ben infilzato le tenere carni della gamba.

    “Diavolo! Sono dappertutto…Dobbiamo far presto.”

    Per evitare intrusioni non gradite spinsi una pesante cassa davanti all’entrata che avevo sfondato, occludendo la sola via d’ingresso al magazzino. Le guardie e i cavalieri non tardarono ad arrivare;

    “Tutta…la città…è stata …allertata…” sibilai nella mente della dama, echi di dolore contornavano la mia voce, nuovamente mia.
    “Dama blu…ha ragione…Dobbiamo…sbrigarci…”

    Suoni di colpi tirati alla cassa ci fecero sobbalzare all'unisono. Mi piantai come una picca, con la schiena contro la cassa per puntellare l'unico blocco rimasto tra noi e loro. Non sarebbero mai entrati finché avessi avuto vita in corpo e forza nei muscoli.
    Naeryan si mise in piedi, la gamba le sanguinava così come le ferite che aveva riportato nella battaglia da cui avevamo dovuto vigliaccamente ritirarci.

    “Siamo molto vicini all’uscita, dobbiamo proseguire…per quanto possibile.”
    “Lo so…Sei ancora …capace…di lottare?”

    Naeryan scosse il capo tristemente. Aveva dato fondo a tutte le sue energie per potersi portare fino a lì, era un miracolo che riuscisse a tenersi ancora in piedi ma se avesse ricevuto anche un solo danno sarebbe sprofondata nel regno spettrale e non sarebbe stata più di alcuna utilità per la missione. La dama blu non peccava di superbia, arrivati a quel punto nessuno era superfluo. Mi avrebbero di certo ucciso e si sarebbero ripresi il monaco, tutto sarebbe andato perduto, con l’aggravante che i Saraphan avrebbero preso sotto la propria oscura ala una potente risorsa per l’Alleanza.

    “Mi spiace…” disse in un sospiro.

    Il suo fragile corpo era inutile ma la sua mente funzionava ancora egregiamente.
    Si guardò intorno per scoprire eventuali utensili utili per potersi portare fuori da quella situazione; vi erano corde, sacchi di iuta, grano ma niente di utile da poter utilizzare come arma.
    Un’idea balenò nella mente della domatrice dei venti, ne sviscerava ogni punto, elencando il da farsi.

    Prese ciò che le servì sul momento mentre lo sguardo del monaco la seguiva con curiosità ma fu ciò che le chiese che lo lasciò sbigottito oltre misura.

    “Chiedo venia per la mia richiesta, Padre, ma sarebbe così gentile da levarsi la tunica?”

    Rimanemmo tutti e due sconvolti da quella richiesta, il monaco acconsentì, io mi limitai a fissarla con fare decisamente interrogativo, neanche il lieve sorriso di complicità che la dama mi fece levarono il dubbio che avevo nei suoi confronti…e della di lei sanità mentale.

    Quanto avevo ragione…ODIO avere sempre ragione…

    Fuori dal magazzino, le donne armate si erano disposte per poter aggredire il nemico come avrebbe messo fuori il muso, i soldati dell’ordine si erano schierati nei pressi dell’ingresso principale ed erano pronti ad entrare senza troppo pensare ai potenziali danni che avrebbero recato alla struttura.

    Violento come una palla di cannone, nelle mie sembianze ferine, balzai da una delle finestre del magazzino al secondo piano, sulla groppa portavo due figure ben legate alla schiena con corde di canapa. Atterrai dietro le fila dei nemici e venni subito accolto con dardi e asce da lancio che riuscii a schivare per un soffio. Come un diavolo braccato da un esercito di angeli, mi feci strada tra i viottoli portandomi il più lontano possibile dai nemici ma più proseguivo, più i vicoli mi sembravano tutti uguali e ben presto mi persi in quel labirintico inferno di pietra.

    Non mi feci scrupolo nello sfondare le porte delle abitazioni, percorrere i piani delle case e sbucare dalle finestre, spargendo il panico in tutta la città e attirando sempre più soldati contro di me. Ad una lancia di distanza gli inseguitori continuavano a seguirci, alle calcagna avevamo le agili donne armate di balestra e tutti i membri della guardia e dell’Ordine abbastanza veloci per poter starmi dietro.

    Le donne sembravano mancarmi apposta, guidandomi, per quanto possibile, fino ad un vicolo ove era stata predisposta una trappola a fune che vidi troppo tardi. Quando riuscirono ad “accompagnarci” all’uscita del vicolo che ridava ad un ampio piazzale, una corda di resistente fibra si tese all’altezza delle mie zampe da lupo facendomi incespicare, catapultando l’abate e Naeryan molto oltre il punto in cui mi ritrovai a carambolare.

    Le corde che mi avevano fatto incespicare si mossero come animate da una volontà propria e mi strinsero in una morsa feroce che non riuscii a spezzare neanche tornando nella mie forma umanoide.
    Una salva di frecce colpirono la mietitrice lasciandola in terra, molle come uno straccio, il colpo che aveva ricevuto Padre Abbath era stato talmente forte da lasciarlo stordito in terra.

    I miei tentativi di escapologia vennero bruscamente interrotti quando mi ritrovai le quattro donne armate di balestra a meno di un metro, con le frecce ancora incoccate che puntavano dritte ai quattro lati della mia testa. Senza soffermarmi troppo sulle sorti dei miei compagni, scomposi il mio corpo in mille piccoli uccelli dai becchi a spillo che si librarono nell’aria in altrettante direzioni.

    Una risata di puro godimento ed un applauso beffardo introdussero l’entrata in scena di Sir Heinrich dall’oscurità di un vicolo. Con passo lento e tronfio della sua vittoria, il paladino si portò al centro della piazza;

    “AH! A quanto pare l’Alleanza sceglie bene i codardi ma con meno cura si arma di uomini validi.” i soldati attorno a alla mietitrice e al monaco risero di gusto a quell’affermazione.

    “Mi spiace per te, Abbath, ma è giunto il tempo di venire con noi…Avanti, alzati! Sei in arresto, vecchio!”

    Con un calcio ben assestato, ribaltò il povero corpo del monaco il quale si disintegrò in una nuvola di granaglie e pagliuzze.
    Lo sguardo fiero del paladino venne istantaneamente deturpato da un’espressione di rabbia; tutto quel correre dietro ad un cavallo di troia aveva dato il tempo all’abate e Naeryan, vestiti con gli abiti prelevati sotto minaccia a due lavoratori del magazzino, di abbandonare in sicurezza la città svuotata del servizio d’ordine che si era quasi del tutto concentrato su di me.

    Da fuori la città che non dorme mai, la mietitrice e il monaco osservavano i dintorni, attendendo il vampiro nel punto in cui si erano dati appuntamento. Il piano aveva avuto successo ma Naeryan non poteva saperlo e attendeva di poter scorgere la mia figura prima di poter cantar vittoria.
    Padre Abbath era intento a riorganizzare i propri appunti, nascosti sotto le vesti con garze e corde che ne avevano rosicchiato le pergamene quando notò lo sguardo preoccupato della dama affianco a se. Le mise una mano sulla spalla e le disse poche parole di conforto che non attecchirono minimamente nella mente di Naeryan, la quale continuava a camminare avanti e indietro fissando nervosa la città.

    “Non avrei dovuto lasciarlo da solo…Uno contro una città intera…braccato come un animale...”

    Nonostante una piccola parte di lei fu un poco contenta di pareggiare i conti col vampiro, lo scrupolo di avergli imposto una missione così pericolosa la fece sentire colpevole e preoccupata.

    Uno schioccare di lingua ritmato contornata di sibilanti ruggiti annunciò alla mietitrice la mia presenza, avevo al fine ripreso forma poco distante da loro. Ero ferito e contuso, sfiancato da quella missione esattamente come lei ma entrambi eravamo vivi.
    Vivi e vittoriosi.

    La dama si alzò di scatto e tirò un metaforico sospiro di sollievo, mi corse incontro per poi arrestarsi a pochi metri. Si limitò a darmi una pacca sul braccio come saluto.
    “Ben fatto.” - disse, sorridendomi.
    Non avrei fatto una piega se non fossi stato così dannatamente ferito. Grugnii dolorante e per tutta risposta la mietitrice scoppiò in una risata sommessa, abbandonando definitivamente la tensione che questa delicata missione le aveva causato.

    Femmine…chi le capisce è bravo.

    La notte era vicina al cedere il passo al giorno, nel vento i cupi versi delle civette si dispersero, soffocate dai gioiosi canti del popolo del mattino.
    Tre anime dannate erano al fine giunte alle porte del santuario dedicato al primo dei luogotenenti. Le sculture di Raziel diedero il bentornato agli stanchi viaggiatori.

    La dama dell’aria, il demone e il monaco erano al fine tornati a casa.

    Edited by skulker87 - 24/7/2015, 04:06
     
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    Epilogo della missione LA SOTTILE LINEA TRA IL BENE E IL MALE



    Visibilmente provati dall'esperienza ed ancora confusi da tutte le peripezie che i viaggiatori dovettero incontrare, con sollievo si rifugiarono nella struttura che faceva da culla per le attività di collaborazione tra Vampiri e Mietitori, tra le grandi statue che raffiguravano il primo di questi ultimi.
    Le sagome ch'entrarono nelle sale del territorio un tempo appartenuto ai Razielhim avvertivano distensione nel corpo, ma il loro spirito era ancora travagliato da avvenimenti che, con tutta probabilità, avevano lasciato un solco ancora troppo fresco nelle loro anime per potersi essere rimarginato con il solo incedere dei passi.
    Il tempo allevia, il tempo corrode...
    Nonostante le parole spese con il forte Dumahim per cercare di appianare le loro angustie, Naeryan rimuginava ancora sul torto subito e si domandava quale fiducia si potesse elargire ad un essere così carico di ombre dal passato, tanto da venirne sopraffatto..
    Samah'El, dal canto suo, cercava di scacciare i rimorsi e le immagini provenienti dal suo trascorso personale riflettendo su altro o mugugnando tra se distorte parole di un fasullo e povero conforto che, in cuor suo, sapeva bene che non avrebbe mai davvero ottenuto, non da se stesso; e, forse, pensava di non meritarlo nemmeno.
    Un sospiro lungo, greve e carico di risentimenti da parte del Vampiro accompagnò i loro ultimi passi mentre padre Abbath, di due piedi alle loro spalle, entrava al cospetto della grande statua di Raziel, al centro della sala principale.

    I tre arrivati raccontarono le loro vicende al Mietitore che li attendeva, sorvolando volutamente sull'episodio tra Naeryan e Samah'El, come a voler coprire con il trucco un livido ancora violaceo. Tennero per loro quell'accadimento...
    Non chiesero neppure per quale motivo il padre fosse di così grande importanza per il Mietitore; tutto ciò che volevano era lasciarsi alle spalle la strada percorsa e trovare ristoro, chi tra le proprie conoscenze e chi tra i propri pensieri più intimi e segreti.
    L'Alleanza aveva recuperato un importante alleato, di questo Rekius ne era lieto.
    In silenzio tornarono poi ognuno ai loro alloggi abituali, nelle loro Cattedrali di corrispondenza, mentre Rekius invitò padre Abbath a seguirlo e poter disquisire con lui su oscuri marchingegni e nefasti eventi che, presto o tardi, si sarebbero trovati costretti a mettere in moto...


    ***



    Naeryan riceve.... Proiettile Impregnato + 6 EP !
    Aggiorna il tuo profilo :)
    Per il premio di Samah'El dovrete attendere il buon KainH :)
     
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    "Sei stato piuttosto malridotto durante questo compito, mi è stato riferito" disse il Guardiano del Conflitto,che era giunto nelle sale private del dumahim, con in mano un calice di sangue che beveva lentamente e gustandone il nettare vellutato.
    "Hanno...detto...giusto...Senzacuore..."
    "Questa volta hai reso un buon servizio, non solo alla Cattedrale, ma per l'Alleanza intera. Ben fatto, adepto, la tua nuova non-vita ti riserverà grandi soddisfazioni, ne sono convinto"
    "Mietitori....strani.."
    "Col tempo imparerai a conviverci bene con loro."
    Samah'el notò che qualcosa era fuori posto, o meglio, non era al suo posto.
    Nell'istante in cui si accorse che Void era sparita dal suo ceppo che la sorreggeva, un ghoul storto e zoppo entrò nella stanza con una grande scatola in mano, recante il fregio di Dumah.
    "Oh, dimenticavo. nel frattempo che riprendevi le forze, mi sono preso la libertà di apportare qualche modifica alla tua ascia, giù alla forgia.
    Spero di aver fatto un buon lavoro....a proposito di lavoro.." continuò il Senzacuore in tono più sarcastico "mi è stato anche detto che il circo di Meridian ha fatto un gran successo l'altra sera"
    Il colosso grugnì infastidito
    "Shhht..!" proseguì Kainh, "i tuoi segreti sono al sicuro"
    Detto ciò si smaterializzò , tornando alla sala del trono e lasciando il mezzo demone a contemplare le modifiche apportate alla sua arma

    Samah'el Khan
    :cds:
    ottiene :



    Void
    CITAZIONE
    Liv 1 – RING OF FIRE
    L’ascia si accende di fiamma furiosa appena viene brandita dal proprio portatore. Nonostante il fuoco arda l’arma fino al manico, non sembra ferire il portatore.
    Void garantisce immunità al fuoco ma solo a colui che è allineato alla natura demoniaca dell’arma. Chiunque altro la brandisca, rimarrà ustionato dalle fiamme che avvolgono l’arma. Dopo una serie di colpi ben calibrati, l’ascia acquista il potere elementale del fuoco, e arde momentaneamente il nemico, che può anche morire bruciato, se la sua resistenza al fuoco è bassa (non ha effetto su nemici che hanno a che fare con elementi freddi).

    Non ti dico di aggiornare la scheda perché tanto penso sia superfluo :D
     
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    Due figure rendevano omaggio al grande Raziel, stando in piedi dinanzi alla sua statua che lo raffigurava possente e glorioso come vampiri e mietitori lo idolatrano.
    Kainh li riconobbe in Phobos e Naeryan.
    "Ben trovati figli della notte e degli spettri"
    I due rivolsero un saluto rispettoso nei confronti del Guardiano e diedero un accenno a parlare, il primo fu Phobos, forse per conoscenza più diretta con l'ormai vecchio compagne di avventure.
    Ma Kainh tolse loro le parole di bocca
    "Immagino perchè siete qui, forse non solo per rendere omaggio al Grande"

    Phobos - Naeryan
    :cds: - :cda:



    Corrono delle voci a Vasserbunde, circa la sparizione di un gruppo di donne, nostre alleate umane nella città.
    Le voci sussurrano di una misteriosa creatura che le avrebbe portate in volo verso ovest, verso i monti oltre il Lago delle Lacrime.
    E' una zona piuttosto inospitale e impervia, cosa che non aiuterà di certo la vostra missione di soccorso.
    Dovreste scovare la creatura ignota e seguirla sino al suo covo.
    Forse le alleate sono ancora vive...forse...

    LDR 3
     
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    Phobos si ritrovò a camminare per i corridoi della Cattedrale immerso come suo solito nei suoi pensieri. Così com'era, assorto tra quesiti e ragionamenti, non si accorse del “fratello” vampiro che gli si faceva incontro. Un moto di stizza, quasi di disgusto lo investì quando furono a pochi centimetri l'uno dall'altro, ma riuscì a limitare la propria reazione in uno sguardo sbieco e cagnesco verso Samah’el, il quale parve non accorgersene o fece finta...ma a Phobos non importò ed in un certo qual senso ne fu grato, accelerando il passo ed uscendo dalla sede dei vampiri.
    All'aria fresca della notte si sentì rinfrancare, ma l'ultimo incontro gli fece venire in mente Naeryan. E con il pensiero di lei, il senso di colpa di ciò che le aveva fatto durante la missione congiunta.
    Non si era scusato abbastanza e non sapeva se le scuse fossero state mai sufficienti, ma teneva al suo perdono. Spinto così dal desiderio di vederla si diresse alle stalle da dove, sistemando rapidamente il proprio stallone, partì al galoppo per la sede dei mietitori.

    Appena arrivato si diresse subito alla volta dei Pilastri, mosso, oltre che dalla volontà di rendervi omaggio, come dalla sensazione che in quel modo l'avrebbe vista prima.
    Ed infatti così fu: anche lei, come mossa dal destino a trovarsi lì in quell'esatto momento, si era recata, senza un reale motivo, all'imponente cospetto dei Pilastri.
    Il vampiro la contemplò in silenzio mentre ella guardava assorta ciò che aveva dinanzi. La mietitrice aveva un'eleganza naturale ed una bellezza travolgente agli occhi del vampiro, ed inoltre il portamento, i mossi capelli color ebano cadenti sulle spalle ed il candido abito, trasmettevano un fascino ammaliante.
    Le si avvicinò istintivamente e lei lo dovette percepire perché si voltò verso di lui. Nel riconoscerlo un sorriso le illuminò il volto, e mosse qualche passo nella sua direzione.
    Si inchinò lievemente, imitata da un Phobos leggermente imbarazzato: “Cosa vi porta qui, sir Phobos?” - continuò Naeryan felice per la piacevole sorpresa.
    “Lady Naeryan...forse ricordo male, ma non ci eravamo ripromessi di darci del tu?” - riprese il vampiro evitando volutamente di dare una risposta...
    “Avete...hai ragione. Ma perché cambi argomento? Non mi hai risposto.” - lo incalzò sorridendo, forse intuendo ciò che il vampiro non diceva.
    “Hai vinto. Caparbia, eh?” - si interruppe nuovamente, sperando che all'ennesimo tergiversare del suo interlocutore lei desistesse, ma, essendo stato scoperto, non ottenne risposta venendo così costretto ad ammettere ciò che non aveva il coraggio di dire - “Sono qui per vederti...”
    Seppur un po' imbarazzata lei lo prese per mano portandolo verso i Pilastri: “Magnifici, non trovi?”
    Phobos guardò qualche istante i Pilastri, poi, prima di rispondere, si voltò verso Naeryan: “Magnifica visione, davvero.”
    Lei si voltò a guardare gli occhi ambrati del vampiro, e lui avrebbe giurato che fosse arrossita...se la carnagione gliel'avesse consentito.
    Prendendole entrambe le mani e guardandola negli occhi: “Scusami per quanto successo sul campo di battaglia...”
    Prima che potesse dire altro lei fece cenno di no col capo e lo interruppe: “Non c'è bisogno che ti scusi ancora, ho capito benissimo la situazione, ma capisco anche il tuo bisogno di scusarti con me, e lo apprezzo tantissimo.” - gli sorrise ancora e lui sorrise di rimando, e lei continuò - “Approfittiamone per svolgere un'altra missione assieme: sostituiamo quei spiacevoli ricordi con altri migliori.”
    Phobos, sorpreso e felice per la proposta, non perse tempo ad accettare.

    Salì in groppa al suo destriero ed aiutò la mietitrice a fare lo stesso porgendole la mano.
    Le diede il tempo di sistemarsi al meglio, per poi “accoglierla” tra le sue braccia mentre teneva salde le redini.
    Quella situazione, dapprima imbarazzante, si stava rivelando sorprendentemente piacevole, ed un leggero sorriso illuminò il volto del vampiro mentre guardava la sua accompagnatrice assorta ad osservare la strada.
    Naeryan in quel momento si voltò incontrando lo sguardo di Phobos:
    “Cosa c’è?” - chiese toccandosi i capelli come imbarazzata.
    “Nulla, nulla.” - rispose il vampiro mostrandosi di buon umore.
    La mietitrice parve un po’ indispettita da quel non voler rispondere del vampiro, assumendo un’espressione di finta indifferenza...che Phobos non poté fare a meno di trovare graziosa.

    Dopo diverso tempo in marcia sostenuta, con l’intento di godersi appieno il viaggio, giunsero infine alle Antiche Rovine dei Razielim riportate a nuova gloria, luogo che i membri dell’Alleanza chiamavano comunemente Crocevia.
    Il Paladino smontò da cavallo aiutando Naeryan tenendola per i fianchi. Il loro sguardi si incrociarono nuovamente, ma questa volta il vampiro lo distolse.
    Legate rapidamente le redini dello stallone, i due iniziarono a guardarsi attorno con stupore e meraviglia: a differenza della mietitrice il vampiro non era mai stato in quel luogo né, prima di quel momento, aveva visto l’imponente statua che ritraeva Raziel.
    Assorti in quella rispettosa contemplazione, qualcuno come se fosse a conoscenza della loro presenza lì, li richiamò alla realtà:
    “Ben trovati figli della notte e degli spettri”.
    Era il Guardiano del Conflitto a fare gli onori di casa ai due nuovi arrivati, che a loro volta ricambiarono salutando con deferenza.
    Phobos tentò di parlare, ma KainH intuendo il motivo della loro presenza lì, non gli diede il tempo aggiungere altro, assegnando loro un incarico.

    CITAZIONE (+ Kainh + @ 14/7/2015, 21:17) 

    Phobos - Naeryan
    :cds: - :cda:



    Corrono delle voci a Vasserbunde, circa la sparizione di un gruppo di donne, nostre alleate umane nella città.
    Le voci sussurrano di una misteriosa creatura che le avrebbe portate in volo verso ovest, verso i monti oltre il Lago delle Lacrime.
    E' una zona piuttosto inospitale e impervia, cosa che non aiuterà di certo la vostra missione di soccorso.
    Dovreste scovare la creatura ignota e seguirla sino al suo covo.
    Forse le alleate sono ancora vive...forse...

    LDR 3

    Phobos aveva la necessità di tornare alla Cattedrale anche se a malincuore voleva separarsi da Naeryan, così prima di andare si fermarono ancora qualche istante per definire un minimo la linea di azione da seguire: usando il Sanctuary il vampiro avrebbe raggiunto la Cattedrale e, dopo essersi equipaggiato, avrebbe raggiunto la mietitrice a Vasserbunde dove avrebbe già iniziato a raccogliere informazioni più specifiche.
    Dopo aver discusso, il vampiro le prese le mani e la guardò per qualche istante senza dire nulla, per poi richiamare la magia vampirica.

    Naeryan lo osservò sparire, per poi mettersi subito in azione. Si avvicinò al Guardiano, intento ora anch’egli ad osservare la magnifica statua che poco prima aveva incantato loro, e chiese qualche rapida indicazione su dove trovare e come riconoscere i sostenitori dell’Alleanza, in modo da avere risposte ad eventuali domande dai diretti interessati.
    Salutato il SenzaCuore si mise a sua volta in marcia in sella alla cavalcatura del Paladino: dapprima l'animale si mostrò riluttante, ma presto, e forse riconoscendola, le permise di salirgli in groppa e partire al galoppo.

    Il destriero mostrò grande resistenza e velocità, permettendo all'Adepta della Cattedrale dell'Anima di raggiungere la propria meta in poche ore.
    La cittadina era immersa nel silenzio e nel sonno, a parte poche guardie che perlustravano le strade, il cui basso vociare e lo scalpicciare ritmato sul selciato si propagava per le stradine vuote.
    Raggiunse l'edificio che KainH gli aveva indicato e bussò alla spessa porta di legno.
    Attese qualche istante senza che nulla accadesse, così bussò nuovamente.
    Un basso borbottio provenne dall'interno ed uno spioncino venne aperto riflettendo un fascio di luce sul volto, parzialmente coperto dal cappuccio, di Naeryan.
    “Che volete a quest'ora?!” - disse l'uomo palesemente irritato per essere stato svegliato.
    La mietitrice in tutta risposta spostò leggermente il cappuccio mostrando i propri particolari lineamenti. L'individuo si affrettò ad aprire la porta invitando l'inattesa ospite ad entrare, guardando poi entrambi i lati della strada per vedere se qualcuno li avesse notati, per poi richiudersi l'uscio alle spalle.
    Fece accomodare la nuova arrivata in una camera isolata rispetto alle altre, senza finestre e con unico accesso. Accese qualche candela per illuminare l'ambiente, poi preparò una bevanda calda probabilmente per aiutarsi a svegliarsi. Ne portò una tazza anche alla mietitrice, e questa gli rispose con uno sguardo ed un sorriso.
    L'uomo era visibilmente imbarazzato e l'aver commesso quell'errore non gli facilitò l'interazione: “C-chiedo scusa, non mi capita spesso di ricevere visite dirette da Voi membri dell'Alleanza...soprattutto di voi Mietitori...”
    La dama bianca lo rassicurò con uno sguardo e si apprestò a comunicare il motivo per cui era lì: “Abbiamo ricevuto notizie circa il rapimento di alcune vostre collaboratrici da parte di un mostro, rifugiatosi tra le montagne di Vasserbunde. Io e il mio compagno, il Paladino Phobos, siamo venuti appositamente per indagare e cercare di salvare quelle povere donne, prima che il mostro faccia loro del male. Cosa puoi dirmi a riguardo?”
    L'uomo si guardò un po' intorno, a disagio, mentre rievocava alla mente i fatti.
    “Fu al calar della sera...le due ragazze, Roxane e Marisa, stavano tornando a casa assieme, chiacchierando, dopo essere uscite da questa struttura. Io stavo dando una sistemata ai documenti, dopo la riunione giornaliera. All'improvviso sentii un forte rumore come un ronzio, seguito dal grido di Roxane. Mi precipitai fuori, vidi una grossa creatura volante ghermire le due ragazze e sparire con esse tra le montagne. Per la nostra cerchia è stato veramente un duro ed inaspettato colpo: alcuni di noi, i più intrepidi, sono partiti all’inseguimento del mostro; hanno trovato l’entrata di una grotta alle pendici di un monte oltre il Lago delle Lacrime, a Ovest. Essi hanno combattuto valorosamente, ma il covo è ben difeso; molti mostri infatti vi risiedono. Ecco, questo è per voi.”
    L’uomo tirò fuori da uno scaffale una pergamena arrotolata e la porse alla mietitrice. Ella prese in mano il documento e lo dispiegò.
    “Questa è la mappa del percorso, tracciato dai nostri durante le varie incursioni, che vi condurrà al covo del mostro. Spero vivamente che le due ragazze siano ancora vive...ma in caso contrario, vi prego, vendicatele!”
    “Sarà fatto, potete contarci.” - rispose decisa la dama bianca. Ella si voltò e uscì dal portone, le vesti svolazzanti dietro di sé.

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    Era passata qualche ora da quando la mietitrice era uscita dalla sede degli alleati umani. La luna era alta nel cielo e i rumori della notte erano l’unica compagnia per la dama dei venti, oltre allo stallone del Paladino. Ella aspettava infatti poco fuori dalle mura di Vasserbunde, nel luogo stabilito, il suo compagno vampiro. Phobos non si fece attendere ancora a lungo.

    Scricchiolii di rami e foglie calpestate richiamarono l’attenzione di Naeryan, che si voltò subito aspettandosi di intravedere la fisionomia nota del suo compagno.
    Ciò che lei si trovò davanti però fu qualcosa di inaspettato: un lupo bicefalo. Una delle teste, dai più normali occhi ambrati, appariva più mansueta, mentre l’altra, dagli occhi di un rosso incandescente, come tizzoni dell’Inferno, era più rabbiosa e inquieta. Quest’ultima, si rivoltava spesso contro l’altra, che comunque si difendeva.
    Dallo sguardo pacifico e ambrato, la mietitrice riconobbe il suo compagno, e mosse qualche passo per andargli incontro. Tese una mano come per toccare la fumosa e all’apparenza soffice pelliccia che ne avvolgeva il collo, ma le fauci dell’altra scattarono ad un soffio delle sue dita.
    Ne seguì uno scambio di reciproci ringhi, con i quali la testa che, secondo Naeryan, rappresentava la personalità di Phobos, sottomise l’altra che, per esclusione, rappresentava Gryxis.
    Gli occhi ambrati fissarono qualche istante la mietitrice, rivolgendole un lieve cenno del capo prima di riprendere le normali fattezze. Phobos appariva provato, ed empaticamente la sua compagna intuiva che non era a causa del viaggio affrontato, quanto al dover tenere a bada il suo alter-ego malvagio, ed il sorriso stanco del vampiro era risposta sufficiente.
    Riuniti nuovamente i due si presero istintivamente per mano.
    Dopo essersi concessi quel fugace istante, Naeryan passò subito a raccontare quanto scoperto a Vasserbunde, mostrando anche la mappa che il contatto dell’Alleanza le aveva fornito.
    Già alla notizia di dover attraversare il Lago delle Lacrime, il Paladino della Cattedrale del Sangue aveva pensato di ricorrere all’aiuto dell’organizzazione gestita dal suo vecchio maestro, così ne mise al corrente la sua alleata, omettendo alcuni dettagli...
    Ricevendo l’approvazione di Naeryan, Phobos salì in sella allo stallone porgendo la mano per aiutarla a salire, riprendendo così il loro viaggio in direzione di Steinchenchroe.

    Dopo una lunga e piacevole cavalcata insieme, giunsero infine a destinazione.
    Come nelle precedenti visite, Arren era stato sicuramente avvisato, e probabilmente aveva dato disposizioni ai suoi uomini...ma questa volta, in coloro che incrociavano e che Phobos ‘riconosceva’ come membri dell’organizzazione, percepiva tensione e circospezione, cosa che il vampiro pensò fosse da imputare alla sua inattesa accompagnatrice. Non poté fare a meno di domandarsi se quella fosse stata una scelta corretta, ma visto le recenti collaborazioni, sì anch’esse impreviste, con alcuni esponenti della Cattedrale dell’Anima, fu propenso a credere che si trattasse solo di iniziale ‘perplessità’ dinanzi alla novità.
    Arrivati all’edifico, che nelle proprie fondamenta custodiva i segreti di quella occulta associazione, non trovarono Arren ad accoglierli, ma un uomo del suo vecchio istruttore che fece loro da guida fino alla sala ormai nota al vampiro.
    Girando per i corridoi immersi nella penombra era facile sentire gli occhi puntati loro addosso, che si soffermavano in modo più indagatorio sulla figura della mietitrice. Phobos si voltò verso di lei: Naeryan si muoveva leggiadra come a non voler attirare attenzioni, col cappuccio calato come a difendere la propria natura...anche in quell’occasione non poté fare a meno di trovarla attraente ed intrigante.
    I loro sguardi si incontrarono per qualche fugace istante, e lei gli rivolse un sorriso, come ad intuirne le preoccupazioni e a volerlo rassicurare che lei fosse comunque tranquilla.

    Giunti alla sala, volti conosciuti al vampiro attendevano i due: il giovane mago Nex, l’agile ladro Ishir, l’erborista e vecchia amica Morèn e l’anziano maestro.
    Con i due uomini, compagni di recenti avventure, seguì un rapido scambio di saluti, mentre Morèn gli andò subito incontro: tra i due c’era una recente promessa alla quale il vampiro non aveva ancora tenuto fede, ma oltre a quello la donna parve mossa da altri motivi che lui non conosceva, e così gli si gettò al collo in un caloroso abbraccio e stampandogli un bacio sulla guancia. Phobos non seppe come reagire rimanendo imbarazzato e spiazzato. Quando la vecchia amica lo liberò dalla stretta, gli parve di cogliere un leggero sorrisetto in direzione di Naeryan; si voltò così per osservarla ed assicurarsi fosse tutto a posto, ma lei fuggì il suo sguardo lasciandolo ancora più perplesso e con un pizzico di inquietudine. Purtroppo non aveva tempo, ma ne avrebbero poi parlato durante il viaggio.
    Si mosse in direzione di Arren, e stavolta fu lui ad abbracciare l’uomo con filiale affetto.
    “Felice di vederti intero.” - esordì l’uomo, per poi rivolgersi alla mietitrice - “Benvenuta. Non so quanto conosci su di ‘noi’, ma sappi sei tra amici. Scusa i miei uomini se ti hanno in qualche modo messo a disagio, ma è la prima volta anche per me essere al cospetto di uno ‘Spettro’ dell’Alleanza.”
    Voltandosi nuovamente verso Phobos continuò: “Passiamo agli ‘affari’, suppongo il tempo è un lusso che non potete concedervi.”
    Il vampiro annui a quelle parole, passando poi rapidamente a dare alcuni dettagli evitando comunque, come solito fare, di fornire troppe informazioni. Esposto l’obiettivo della loro missione, passò alla richiesta: qualcuno di fiducia con un mezzo per poter attraversare il Lago delle Lacrime.
    La totale disponibilità che Arren mostrava ogni volta faceva sentire a disagio il vampiro, che si ripromise di iniziare a sdebitarsi. In ogni caso, come le volte precedenti, l’anziano soldato diede indicazioni a Phobos su dove trovare un suo uomo che poteva fare al caso loro, mettendolo però in guardia sul fatto che l’avrebbe dovuto convincere a farsi aiutare e che mostrargli il ciondolo non sarebbe bastato: si occupava di far viaggiare merci e pacchetti vari sotto il naso dell’ordine, sì, ma in fondo degli oggetti erano facilmente occultabili a differenza delle persone.
    I due ringraziarono, affermando che avrebbero trovato un modo, e si congedarono. Prima che potessero uscire dalla stanza Morèn si fece di nuovo incontro al vampiro, tentando nuovamente di gettarglisi al collo, venendo però questa volta intercettata dal vampiro: “Ci rivedremo e manterrò la promessa”. Voltandosi per uscire gli parve di scorgere una smorfia di malcelata soddisfazione che Naeryan rivolse alla donna.

    Usciti dal covo, i due si diressero all’abitazione dell’uomo che avrebbe dovuto traghettarli oltre il lago.
    Videro un volto spiare fugace dalla pesante e spessa tenda che copriva la finestra. L’espressione della figura si rabbuiò all’istante. Facendo finta di non essere in casa, fece orecchie di mercante. Naeryan però non aveva mancato di notarlo e fece un cenno a Phobos, il quale bussò nuovamente alla porta, con più insistenza. Digrignando i denti, l’uomo fu costretto ad aprire. L’uscio si dischiuse quel tanto che bastava per permettergli di affacciarsi e parlare: “Che volete? Sono parecchio occupato.”
    La burbera voce calzava al figuro: era un individuo dalla corporatura robusta e muscolosa, vesti da lavoro, una barba incolta fulvo-brizzolata e uno sguardo torvo.
    Il Paladino tirando la catenina con cui lo teneva appeso al collo, sfilò leggermente il ciondolo e lo mostrò all’uomo. Questi sbuffò e ripeté: “Cosa volete?”.
    Naeryan intervenne: “Non crede che sia meglio discuterne dentro? Al riparo da orecchie indiscrete...”
    L’uomo la fissò in silenzio, visibilmente scocciato, ma dopo diversi secondi spalancò la porta per farli entrare. Il vampiro seguì l’uomo fino ad un tavolo, dove tutti e tre si sedettero. Spiegò brevemente la situazione, secondo le indicazioni del suo anziano maestro.
    Dapprima, l'uomo li fissò stranito, poi, una volta finito di ascoltare, scoppiò a ridere. “Assolutamente no! Voi due siete pazzi, io non rischio la mia attività, per non parlare della mia pelle, per portarvi in gita sul lago. Quei cani dei Saraphan fiutato i guai lontano un miglio! Vi scoverebbero in un attimo e cadere dal pero senza subire conseguenze sarebbe per me quasi impossibile. E poi, dove vi nasconderei? Nei barili del pesce? Nei sacchi di spezie? Di sicuro non sottocoperta, è il primo posto che controllerebbero. No no, non se ne parla.”
    L'uomo si alzò in piedi e agitò una mano in direzione dell'uscita.
    “Aspettate, siete proprio sicuro di non poter fare niente per aiutarci?” - esclamò Naeryan. Phobos fece un cenno con la mano alla sua compagna; “Sono sicuro che possiamo raggiungere un accordo soddisfacente per entrambi.”
    “Io non rischio. Della vostra pelle non mi curo, dato che è indubbiamente più resistente della mia... Tsk!” - sbuffò il barcaiolo. Iniziò a camminare avanti e indietro, lentamente, borbottando a sé stesso. Alla fine si arrestò e fissò i due immortali con sguardo deciso. “Una barca. A remi. Voi due, soli. Prendere o lasciare.”
    Grati per aver ottenuto il passaggio attraverso il lago, i due membri dell'Alleanza ringraziarono l'uomo e si accordarono sui dettagli. Dopodiché si salutarono e lasciarono l'edificio.

    Qualche ora più tardi, si recarono a cavallo al luogo stabilito. Ormeggiata in una insenatura naturale, dondolava una piccola barchetta a remi, tipica da pescatore. Il vampiro lasciò il cavallo a brucare, confidando nell'animale: il magnifico stallone che l'aveva sempre servito egregiamente era infatti una bestia molto intelligente; avrebbe aspettato nei dintorni il ritorno del suo padrone, scoraggiando eventuali predatori con i suoi temibili zoccoli.
    La mietitrice e il Paladino salirono sulla barca, decidendo di remare a turni: nonostante la galanteria del vampiro nel volersi accollare la fatica, Naeryan non voleva si stancasse troppo; non si poteva sapere infatti quando e se Phobos avrebbe potuto nutrirsi.
    Sotto la luce argentata della luna, la traversata fu piacevole e la dama bianca si rilassò, i fastidiosi pensieri sorti dopo l'incontro con Morèn momentaneamente svaniti. Phobos approfittò del momento per poter rimirare le fattezze della mietitrice.

    In quegli attimi di privata tranquillità, al vampiro tornarono in mente gli atteggiamenti avuti da Morèn e da Naeryan alla base dell’Organizzazione. Si prese qualche istante valutando con accortezza le parole da dire, in modo da non urtare in qualche modo la sensibilità della sua compagna, per poi, prendendo coraggio, decidere finalmente di rompere gli indugi: “Sai...non ho ben chiaro cosa sia successo a Steinchenchroe tra te e Morèn. Può darsi vi sia stato un non piacersi a pelle, o...magari ti ha dato fastidio il modo con cui ha agito con me?” - si interruppe aspettando una risposta che sapeva già non sarebbe arrivata, e infatti la dama bianca guardò alla sua sinistra giocherellando con le dita sulla superficie dell’acqua del lago. Così Phobos riprese, sapendo comunque che ella lo ascoltava con attenzione - “Di me sai i fatti più importanti, come la tragica fine dei miei e il modo in cui sono diventato vampiro...però non sai tutto del periodo intercorso tra questi due importanti eventi. Non so se sei dell’umore giusto per ascoltare noiosi racconti di addestramenti sia fisici sia su come controllare il mio odio, quindi te ne parlerò nel modo più breve possibile: Morèn era un’altra ragazzina che aveva subito la stessa sorte, comune a molti altri per la verità, ed Arren, l’uomo anziano senza gambe oggi capo di quella specie di setta, era il nostro istruttore. Però a dire il vero ci fece anche da padre, e questo creò non pochi problemi, ma tornando a Morèn...presto si creò un legame, cosa vera per entrambi, ma un legame familiare, come una sorella. Non posso dirti se per lei fosse altro, so che io, lei e Michael, eravamo inseparabili, ma io in quel momento ero troppo concentrato sull’odio e sulla sete di vendetta, che usavo in ogni scontro come arma, per pensare o cercare altro. Ed oggi siamo in due mondi totalmente diversi.” - si fermò rivalutando le sue parole, accorgendosi che potevano essere fraintese, così corresse rapidamente il tiro - “Non che io abbia interessi verso lei, sia chiaro.” - concluse rivolgendo un sorriso a Naeryan con cui voleva far intendere molto altro.
    La dama bianca seguitò nel suo silenzio e Phobos ebbe l’accortezza di non saltare a conclusioni affrettate ma di aspettare paziente la risposta che sarebbe venuta. Sapeva infatti che Naeryan era d’indole buona e sempre incline alla comprensione e al dialogo, ma come tutte le donne ingelosite o contrariate, poteva diventare, se provocata in tal senso, imprevedibile e scostante.
    La mietitrice fissava la superficie dell’acqua immersa nei pensieri. Il Paladino poté vedere i suoi lineamenti distendersi lentamente; appena aveva nominato Morèn e la vicenda all’Organizzazione, infatti, aveva notato la Figlia del Vento irrigidirsi impercettibilmente, evidentemente a disagio per la questione. Ora invece sembrava aver accettato di non poter sfuggire al dialogo e di risolvere la cosa.
    “Capisco... Devono essere stati anni difficili e ovviamente, dopo aver perso tutto, chiunque ci stia accanto sostenendoci diventa una persona importante, specialmente se si è vissuti una stessa esperienza, soprattutto se negativa.”
    La mietitrice smise di giocare con l’acqua e si mise le mani in grembo, girando la testa, senza incontrare lo sguardo del Paladino. Sembrava imbarazzata e sfuggiva gli occhi dorati del vampiro per paura di un suo qualche giudizio.
    “E’ stato stupido da parte mia giudicarla senza nemmeno conoscerla. Ti chiedo scusa...” - ella disse, chinando leggermente la testa. “Indubbiamente, se il vostro legame è perdurato fino ad oggi, tale donna deve essere stata di notevole sostegno per te negli anni passati e pertanto meriterebbe il mio rispetto a prescindere.”
    Naeryan abbozzò un sorriso, sperando di aver risolto la discussione che la imbarazzava.

    “Te ne avrei dovuto parlare prima e metterti al corrente...” - continuò il vampiro. La mietitrice scosse leggermente il capo facendogli capire che non doveva sentirsi in colpa per quello, ed un nuovo, dolce, silenzio scese tra i due che continuarono a fissarsi negli occhi.
    Un leggero soffio di vento attraversò la superficie calma del laghetto, scompigliando leggermente i capelli di Naeryan, che con un movimento lento e delicato li risistemò dietro l’orecchio, fermando poi la mano tra orecchio e collo. Phobos che aveva continuato ad osservarla si lasciò sfuggire un complimento più diretto: “Sei bellissima!”.
    La mietitrice restò spiazzata non sapendo come rispondere, ma apprezzò molto, sorridendo al suo compagno, che le sorrise imbarazzato di rimando.
    Quella scena era così perfetta che poteva benissimo essere uscita da una poesia o da un poema d’amore.


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    Un paio d’ore dopo, assicurata la barca alla riva, i due membri dell’Alleanza si inoltrarono tra gli alberi che crescevano alle pendici delle imponenti montagne. Naeryan seguiva la mappa fornitagli dal capo degli alleati umani di Vasserbunde. Il percorso li condusse fuori dal bosco, in una radura: al centro della parete di roccia che li sovrastava, vi era l’entrata di una grotta. Tale apertura era marcata con una specie di rozzo architrave, costituito da una tavola di legno mezza marcita, intagliata in strane rune cuneiformi, e “abbellita” da ossa, alcune incrociate e inchiodate alla trave, e altre appese a fili, che sbattevano tra loro, mosse dal vento, emanando un suono sordo e un po’ inquietante. Il Paladino e l’Adepta si scambiarono uno sguardo e, dopo un rapido cenno da parte del vampiro, che posò una mano sull’impugnatura della sua spada smeraldina, si avviarono verso la soglia.
    In quel momento, una voce affannata squillò nell’aria. “Aspettate!! Non entrate!”
    Dal bosco fuoriuscirono due figure che si fermarono a poca distanza, ansimando e recuperando il fiato dopo la corsa. Vi era un giovane uomo, i capelli biondi scarmigliati tenuti da una fascia colorata in fronte; una tunica bianca e una giubba di pelle robusta gli proteggeva il corpo; bracciali, anch’essi in cuoio, gli cingevano gli avanbracci; una cintura in vita portava allacciati alcuni borselli e la guaina di un elaborato pugnale di insolita lunghezza, quasi una daga; un mantello blu stemmato copriva le spalle del giovane e completava il ritratto di questo insolito guerriero.
    Accanto a lui stava una giovane fanciulla dai lunghi capelli castani, raccolti in una treccia, che vestiva una tunica nera inscritta con misteriose rune; in vita, portava, appesa al cordone di crine nero che usava a mo’ di cintura, una sacca che custodiva uno strano libro nero in pelle, dalle borchie dorate. La fanciulla reggeva in mano un bastone di solido legno, dalla forma contorta, sormontato da uno strano simbolo in metallo. Era indubbiamente un oggetto magico, poiché si poteva avvertire una certa aura emanare da esso. La ragazza doveva essere una qualche specie di maga...
    Un poco in ritardo, arrivò affannato un terzo ragazzo, un po’ paffutello. Era vestito di una tunica azzurra e bianca, con motivi dorati sugli orli. In spalla portava uno zaino pieno di libri e di strane radici e in mano stringeva uno strano simbolo, dorato anch’esso.
    “Aspettate! Non spetta a voi entrare... in quella grotta... E’ compito nostro...” - il primo ragazzo ansimò tra una boccata d’aria e l’altra. Ripreso maggiormente fiato, si raddrizzò e si mise spalle in fuori, una mano posata sul pugnale con fare gagliardo. La fanciulla si avvicinò impercettibilmente a lui, stringendo con due mani il suo bastone magico.
    “Voi siete emissari dell’organizzazione di Vasserbunde, amica dell’Alleanza? Il suo capo ci ha detto che in molti hanno provato a salvare le due donne, ma si sono sempre fermati qui, poco più avanti dell’entrata della grotta. I pericoli che vi si celano non sono per occasionali avventurieri e combattenti alle prime armi. Ecco perché siamo venuti noi di persona.” - enunciò la mietitrice, facendosi avanti.
    “Certo, certo, ma voi non capite. Gli altri... non erano loro a doversi occupare di questa faccenda. E’ compito nostro. E’ la nostra chance per provare il nostro valore. Siamo certi di potercela fare. Come potete vedere siamo ben equipaggiati e dotati di provviste mediche.” - le rispose deciso il ragazzo.
    “Non siate sciocchi! Non durereste che una manciata di secondi! Non sappiamo con cosa abbiamo a che fare, né quanto sia estesa la tana di quei mostri.”
    Il vampiro si fece avanti, la sua sola figura che si imponeva con autorevolezza. I due ragazzi lo guardarono con rispetto e timore. L’armatura di Legion conferiva infatti al Paladino un’aura di mistero e di potere.
    “Fatevi da parte e lasciateci agire. Tutto ne andrà per il meglio.” - disse, con tono pacato e rassicurante.
    Nonostante i due giovani fossero rimasti in soggezione per la presenza di due immortali, così splendidi e forti, che rappresentavano tutto ciò che avrebbero voluto essere - uno, un temibile e abile guerriero, l’altra, una dama che padroneggiava gli elementi con la sua magia - dovettero resistere il loro timore riverenziale e opporsi testardamente. La loro volontà di mettersi in gioco, di rischiare, pur di dimostrare il loro valore, ne era già sicuramente prova, quanto meno della loro dedizione. Il vampiro e la mietitrice si scambiarono un’occhiata perplessa. Alla fine dovettero cedere, sotto l’insistenza dei ragazzi, ma ad una condizione: se non fossero tornati entro tre ore, sarebbero entrati a cercarli; in ogni caso, se fossero stati in pericolo avrebbero dovuto gridare e sarebbero accorsi subito. La mietitrice svanì nel regno spettrale per recuperare le energie perse e il vampiro ne approfittò per andare a caccia e nutrirsi di sangue fresco.
    I tre ragazzi, controllato per sicurezza l’equipaggiamento, si incamminarono fiduciosi dentro la grotta, nella tana dei mostri.

    Phobos fu il primo a tornare dalla ‘caccia’ e sperò che Naeryan avesse colto, nello sguardo che si erano scambiati, le sue reali intenzioni: avrebbero fatto andare avanti quegli umani come essi volevano, ma non gli avrebbero concesso tutto quel tempo che gli avevano accordato. Sarebbe stato da sconsiderati e la loro umanità gli impediva di stare a guardare con indifferenza.
    La mietitrice, allo stesso modo del vampiro, non tardò molto a tornare venendo accolta da quest’ultimo con un caldo sorriso.
    Scambiandosi gli ultimi accorgimenti, si diressero anch’essi verso l’interno della grotta.

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    Nell’oscurità puzzolente dei meandri più profondi del sistema di tunnel e grotte che si celava nel ventre di quella montagna, due figure si stringevano a vicenda, mentre procedevano titubanti alla ricerca di una via di uscita. Roxane e Marisa, le due prigioniere, erano riuscite infatti a sfuggire ai loro carcerieri.
    Incredule al loro colpo di fortuna, le due donne non solo erano rimaste illese durante il loro rapimento e imprigionamento, ma erano riuscite a scoprire una fessura tra la roccia della parete della loro cella. Di nascosto e in silenzio, avevano impiegato le ore a smuovere le rocce, creando un varco sempre più grande, sufficiente alle loro minute costituzioni di passarci attraverso. Si erano ritrovate in un dedalo di budelli e pertugi, oppresse dall’oscurità e dal tanfo soffocante. All’improvviso, si arrestarono: dei versi riecheggiarono tra le pareti del tunnel, raggelando le due ragazze sul posto; temevano infatti di essere state scoperte. Strani schiocchi, rantoli, fischi e stridii si propagavano nell’aria, ma non sembravano suonare agitati o in allarme, piuttosto sembrava un linguaggio articolato tra due o più creature. Le due ragazze si avvicinarono lentamente alla curva del tunnel e sbriciarono oltre: diversi metri più in là, vi erano tre mostri che confabulavano tra di loro, uguali a quello che le aveva rapite. Le loro fattezze da insetto antropomorfo, gobbe e ripugnanti, fecero scappare a Marisa uno gridolino di terrore, subito soffocato dalla pronta mano di Roxane, più fredda e lucida della sua compagna in tali situazioni. Le due donne si nascosero subito dietro la parete di roccia, mentre le tre teste, dagli occhi di mosca e dotati di antenne setose, scattavano in alto, sull’attenti. L’aria si riempì di un frastornante ronzio, mentre i mostri dispiegarono le ali e si precipitarono a controllare. Roxane e Marisa si presero per mano e corsero via, veloci come il vento, imboccando la prima via che capitava ad ogni bivio. Senza fiato, si fermarono a riposare dopo l’ennesima svolta, speranzose di aver seminato i loro inseguitori. I ronzii erano di fatto più lontani, ma pur sempre vicini, a sufficienza da costituire ancora una minaccia. Roxane sentì le zampe dei mostri atterrare all’incrocio da cui scaturiva il tunnel in cui erano nascoste, che, purtroppo per loro, era un vicolo cieco. Marisa si rannicchiò tremante, pregando che gli insetti non le fiutassero. Seguirono altri scambi di schiocchi e sibili, trilli e ronzii, più sommessi stavolta. Roxane raccolse il suo coraggio e sbirciò da oltre l’angolo, la cascata di lunghi e mossi capelli fulvi a spuntare e tradire la sua presenza. Due intraprendenti occhi azzurro cielo videro i tre esseri fiutare la zona, infilandosi nelle entrate dei tunnel più vicini. Con il cuore che batteva a mille, approfittò del fatto che era temporaneamente fuori dalla loro vista per avvicinarsi, raccogliere un sasso e scagliarlo con quanta forza aveva nel tunnel di fronte, prima di correre lesta e silenziosa a nascondersi dietro l’angolo, dov’era la sua bruna compagna. Allertati dal rumore del sasso, gli insetti confluirono nuovamente nell’intersezione dei tunnel, sibilando irati, precipitandosi verso la sorgente del rumore. Le due ragazze attesero una manciata di secondi, che sembrarono un’infinità, finché anche gli echi svanirono nel silenzio. Lentamente si alzarono e imboccarono un altro tunnel, decise a recarsi il più lontano possibile dai loro inseguitori.


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    “Fate attenzione!”
    La preoccupata voce della fanciulla maga esortò alla prudenza il giovane guerriero, che, pugnale alla mano, s’incamminava cauto lungo i tunnel. Il ragazzotto paffuto mormorava dei riti e compiva ampi semicerchi col suo simbolo dorato, per scacciare il male e per individuare la presenza delle due donne rapite.
    “Jonah, ancora niente?” - chiese a mezza voce il biondo, scrutando nell’oscurità, mentre l’asta magica della fanciulla proiettava una flebile luce che illuminava il cammino.
    Il ragazzo dai capelli neri interruppe i suoi borbottii per rispondere al compagno, dopo aver emesso un sospiro carico di frustrazione. “Ancora no, Nigel... Probabilmente dovremo addentrarci ulteriormente per trovarle. Lo sai, i miei poteri sono ancora limitati...”
    “Tranquillo, anzi, grazie ancora che hai voluto accompagnarci!” - rispose confidente il guerriero.
    “Abbassate la voce, per carità!”
    “Non devi preoccuparti, Corinne. Anche se ci sentissero dei mostri, sapremo come cavarcela. Abbi fede!”
    Le parole e il tono fiducioso del biondo eroe instillavano ottimismo e sicurezza negli animi dei suoi compagni, che proseguirono nelle loro mansioni più motivati. Ben presto il tanfo e l’oscurità si fecero più intensi, mentre si avvicinavano all’area delle celle. Si arrestarono all’improvviso, allertati da alcuni versi strani: sembravano schiocchi irati, ma sommessi, quasi come se una qualche creatura borbottasse. Si addentrarono nell’ampia grotta che ospitava ben sei celle, chiuse da imponenti sbarre di metallo fissate saldamente dentro la roccia. Una di esse era occupata.
    Alla luce magica proveniente dall’asta di Corinne si rivelò la figura di un mostro. La pelle coriacea e pallida era ricoperta in certi punti da placche corazzate, che costituivano l’esoscheletro. La forma era umanoide: il petto era largo e piatto, la vita stretta e sottile, inumanamente sottile; il bacino era piccolo e dalle anche spuntavano delle creste ossee; gli arti erano lunghi e sottili e terminavano con delle zampe trifide dotate di lunghi e affilati artigli. La testa era calva, il volto scavato e ossuto, due fessure al posto del naso; quattro paia di occhi rossi come tizzoni, riflessero inquietanti la luce bianca, stringendosi a fessure per difesa. La creatura sibilò, rivelando una dentatura affilata da predatore. Gli eroi gridarono dallo spavento.
    “Graaahhhssssss!!! Tacete, prima che vi sentano gli altri!” - rispose con voce affilata la creatura, ma il suo consiglio non fu seguito. I tre giovani si fecero prendere dal panico e inciamparono sulle rocce che costellavano il pavimento sconnesso della grotta. “Sciocchi! Come posso farvi del male dietro queste sbarre??”
    I tre ragazzi si guardarono a vicenda, ancora storditi e confusi. Si rimisero in piedi e si riavvicinarono alla cella. La luce magica rivelò nuovamente le fattezze da insetto-stecco della creatura. Il mostro sollevo un lungo pallido braccio a coprirsi gli occhi dalla luce, per esso troppo intensa. La fanciulla se ne accorse e ridusse immediatamente la luminosità del suo incantesimo per mettere a proprio agio la creatura.
    “Aaahh... molto meglio ora...” - l'essere si raddrizzò sulle zampe posteriori e si eresse in tutta la sua notevole statura. “Immagino voi siate amici delle due umane che stavano in quella cella laggiù...”
    Con un lungo dito artigliato indicò la cella dall’altro capo della grotta. “Le vostre amiche sono state sveglie. Hanno trovato un’apertura nella parete rocciosa e hanno smosso i massi finché non sono riusciti ad uscire. Tutto senza farsi scoprire dai miei cari fratelli. Tsk!
    Siete stati fortunati... normalmente sarebbero state servite fresche come cena appena entrate nel nostro covo, ma il gran capo adora le proprie prede... frollate! Lasciate rinchiuse qualche giorno al buio, da sole, terrorizzate...aaaah, il sapore del sangue ricco di paura! Ihihih!”
    Una sottile e lunga lingua guizzò dalla spigolosa bocca della creatura per leccarsi le labbra.
    “Se i miei fratelli avessero un briciolo più di buon senso non si lascerebbero comandare da uno che non è della nostra razza... Abbiamo patito la fame per soddisfare gli appetiti di quel grosso colosso di carne non morta per troppo tempo! I nostri servi insettoidi escono a caccia solo per lui, ormai. Stupidi sciocchi! Quel citrullo non ha il diritto di comandare il nostro clan! Aaaaah, ma i miei fratelli hanno dimenticato il loro onore! Tremano di paura, pur di non contraddire il gran capo. Certo, è grosso e muscoloso; certo, sarà anche forte e un formidabile cacciatore. Ma è stupido! Dopotutto, in effetti, i miei stupidi fratelli si meritano uno stupido capoclan... Ma non dovrebbero decidere anche per me! E io sono stufo di sottostare a queste assurde regole! Innaturali! Noi apparteniamo ad un sangue più nobile, non accettiamo di farci comandare da creature estranee!”
    Il mostro digrignava i denti furente, stringendo i pugni artigliati.
    “Ecco perché mi trovo qui... Perché i miei cari fratelli temono una punizione da parte del gran capo. Egli detesta essere contraddetto...maddai! E io sono il principale bastian contrario. Attiro sciagura su di loro, hanno detto. Sono un cattivo esempio, una tentazione per molti che ci condurrebbe alla distruzione, hanno detto. Sciocchi! Si sono già distrutti con le loro stesse mani! Aaaahh, ma io so qual è il punto debole del gran capo! Quel gigante ottuso e borioso è terrorizzato all’idea che i suoi segugi lo scoprano ed ecco perché mi ha relegato qui, in esilio. Ma ecco che il Fato mi regala un’occasione! Voi! Liberatemi e io vi prometto che non vi farò del male. Liberatemi e vi svelerò come sconfiggere il capo di questo stupido branco di marionette. E’ un accordo leale, tra persone intelligenti, vero? Io posso scovare le vostre amiche, posso portarvi da loro. Ho respirato il loro odore per tre lunghi giorni.... E conosco questa tana come le mie tasche. Io voglio vendetta e voi volete salvare le vostre amiche. Che ne dite, eh?”
    La creatura possedeva una mente astuta e serpentina, poteva ingannarli...! Ma in effetti, se avesse detto una falsità, perché si troverebbe in cella? Di sicuro non avrebbe potuto rinchiudercisi da solo e nessuno poteva sapere del loro arrivo, non avrebbe avuto senso che avessero orchestrato questa pantomima per ingannarli! Se li volevano catturare e uccidere l’avrebbero potuto fare in qualsiasi instante dal momento in cui avevano messo piede in quella grotta!


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    Girovagando per gli umidi cunicoli i due emissari dell'Alleanza stavano all'erta, sia per eventuali nemici che per scovare le tracce del passaggio dei tre giovani.
    Fino a quel momento non c'era nulla ad indicare un possibile scontro che li avesse visti protagonisti, e quello era un buon segno: la buona sorte finora era stata dalla loro, e quindi probabilmente erano stati accorti ad usare il buonsenso e non gettarsi alla cieca...tuttavia sia Phobos che Naeryan sapevano che quella buona stella poteva smettere in ogni momento di sorridere ai tre umani, e pertanto dovevano sbrigarsi...
    Come se qualcuno li stesse ascoltando, e volesse tirare loro un tiro mancino, tre creature simili a delle mosche sbucarono dall'altro capo del corridoio che i due immortali avevano appena imboccato. Notando gli intrusi i tre esseri gli si lanciarono contro alzandosi in volo ed emettendo dei sgradevoli versi.
    “Devono essere le creature volanti che hanno rapito le ragazze.” - disse Naeryan rivolgendosi al vampiro, che, sfoderando la spada dalla forma di una fiamma congelata nel tempo, le si mise davanti rispondendole.
    “Valutiamo di cosa sono capaci, ed in caso intervieni in mio aiuto.”
    Il combattimento, seppur appena iniziato, era già in stallo: Phobos bloccava gli attacchi portati dalle zampe e dalla proboscide degli insettoidi, che da canto loro schivano gli attacchi del Paladino guadagnando quota, seppur poca per via del soffitto dell’angusto budello.
    Il vampiro non poteva usare nessuno dei suoi poteri senza che anche lui e Naeryan ne venissero coinvolti, così si voltò in direzione di quest’ultima che, notando la situazione non delle migliori e lo sguardo del compagno, richiamò i suoi poteri affini all’aria. Una leggera brezza iniziò a spirare all’interno dell’intricato dedalo di cunicoli che formavano quel sotterraneo, fino a raccogliersi in prossimità della mietitrice che li indirizzò contro i nemici. Le creature provarono invano a resistere alle correnti, vorticarono scompostamente, finendo con il cozzare tra loro e contro le strette pareti, fin quando stremate, intontite e ferite non caddero al suolo. In quel momento Naeryan placò il potere del vento, e Phobos passò a fil di lama i nemici.
    Usciti quasi indenni dal quel primo scontro, i due si scambiarono degli sguardi compiaciuti per la loro capacità di lavoro di squadra. Phobos si fermò divenendo più serio. Voltandosi e avvicinandosi maggiormente a Naeryan, le sfiorò con delicatezza una guancia, mentre quest’ultima rimase ferma a guardarlo negli occhi senza muoversi o dire nulla.
    Dopo quel breve attimo, si rimisero in cammino alla ricerca dei tre umani, che potevano essere stati catturati o peggio...

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    La creatura ragniforme aveva lasciato i tre giovani già da qualche tempo. Era stato di parola - cosa estremamente inusuale per un mostro - e li aveva condotti ai livelli inferiori, vicino alla grande sala dove risiedeva il nemico. Il suo fiuto li aveva informati che le due ragazze erano scese anch’esse là sotto di recente. Se di loro spontanea volontà o se catturate, questo non poteva dirlo: l’intera tana infatti sapeva dell’odore dei suoi fratelli e dei loro servi. Il mostro rivelò loro come sconfiggere il capoclan. Colti di sorpresa dall’inusuale debolezza sofferta dal colosso, i ragazzi proseguirono lungo i tortuosi e sempre più bui tunnel. All’improvviso, la nuda roccia delle gallerie si trasformò in pareti più regolari, intervallate da torce che ardevano appese ai muri. Il pavimento era più liscio e camminabile e vi era un vago segno di ornamenti sui mattoni che costituivano il corridoio. Era senz’altro la via che conduceva al rifugio del mostro capo. Ormai prossimi alla meta finale, gli eroi si fermarono per controllare un’ultima volta il loro equipaggiamento e per riepilogare la strategia.
    Il biondo eroe, di certo non famoso per la sua ferrea memoria, chiese: “Dite un po’: alla fine qual era il punto debole del guardiano?”
    Jonah, avido lettore e studioso di incanti e benedizioni, si frugò in tasca. “Dunque, secondo i miei appunti...”
    “Ah! Lo so io! Lo so io!” - gridò saltellando Corinne.
    “Ssshhhh! Non urlare!” - la redarguirono subito i due ragazzi in coro.
    La fanciulla riprese per nulla turbata. “Il mostro che è stato tanto gentile da dircelo ha accennato a delle canzoni, ricordate? Dice gli fa male sentirle. Ma erano le canzoni della festa annuale del raccolto! Perché lui ha accennato che spesso le si sente fino a qui, quando c’è la processione in costume per donare offerte al lago. Forse non può sopportare tali spettacoli...”
    “Ah!” - ricordò Michael. “Quindi ci servirebbe uno degli attori che partecipano a tale processione, uno di quelli che cantano e ballano, no?”
    “Nono, non uno qualunque! Loro sono diversi dagli altri, sono cerimonieri! Consegnano le offerte al lago e la folla resta in disparte. So io cosa teme il capoclan: teme qualcuno alto - perché i cerimonieri indossano quelle strane scarpe che li fanno sembrare sempre così alti! -, truccato da cerimoniere, con le offerte in mano - che so, due radici potrebbero andare bene? - e danzante.”
    “E dove lo troviamo un uomo del genere?” - chiese il ragazzotto dai capelli corvini, alquanto perplesso.
    “Ah non lo so, non è che abbia molta simpatia per tali persone...” - rispose insofferente Nigel, ripensando con antipatia a quelle noiose cerimonie a cui era sempre stato costretto a partecipare da piccolo. “Non credo nessuno l’avrebbe per un tale pazzoide...”
    “Non vi preoccupate, ci penseremo noi!” - esclamò, sorridente Corinne, rovistando nella sua sacca.

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    Un ticchettio di artigli sulla nuda pietra mise in allerta i sensi dei due immortali, che si preparano al possibile ed imminente nuovo scontro.
    Il vampiro annullò il potere del Light e, stringendo l’elsa di Mammon in pugno, rimase in trepidante attesa insieme alla mietitrice.
    Uno zephonim comparve dalle ombre fermandosi di colpo quando notò la presenza dei due. I suoi bassi ticchetti gutturali risuonarono contro la bassa volta in pietra, per poi accovacciarsi, nella consueta posizione di quelli del suo clan, poggiando i palmi al suolo.
    Phobos era convinto stesse per attaccare, così rinsaldò la presa sull’arma, ma, con sua grande sorpresa, il corrotto parlò loro in tono pacifico, ed inquietante: “Non sono vostro nemico, non ne ho motivo, e se state cercando gli umani, posso dirvi che stanno bene...” - quello che doveva essere un sorriso attraversò il volto del vampiro ragniforme - “...anche se non so per quanto ancora.”
    Il Paladino anziché abbassare l’arma alle parole dello zephonim, digrignò i denti e cercò di caricarlo, venendo però prontamente fermato da Naeryan che, poggiandogli delicatamente una mano sull’avambraccio, cercò di calmarlo e farlo ragionare: “Vediamo cosa ha da dire, e se davvero come dice non è nostro nemico, in fondo potrebbe dimostrarsi utile.”
    Le parole della mietitrice accompagnate da un sorriso, lo stesso che gli aveva mostrato in altre occasioni, e che riservava solo a lui, riuscirono nel loro intento e così allentò la presa sull’arma, facendo un gesto al corrotto affinché continuasse a parlare.


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    Roxane e Marisa si strinsero l’un l’altra. La vastità della sala in cui si trovavano dava loro l’impressione di essere fagocitate. L’unica fonte di luce consisteva in dei bracieri, ardenti di fiamme azzurrine. Enormi colonne si innalzavano a filari fino alla volta immersa nell’oscurità. Serpenti scolpiti tutt’intorno alle colonne e strane maschere di volti demoniaci appese a intervalli regolari ornavano la altrimenti spoglia sala. Le due ragazze, convinte di essere finite proprio laddove non avrebbero mai dovuto essere, fecero per andarsene, ma all’improvviso, dalle ombre, comparvero dei mostri che bloccarono loro la strada. Degli strani cori echeggiarono per la sala in una greve sinfonia, mentre degli specchi convogliarono la flebile luce dei bracieri al centro della sala. Volute di fumo s’innalzarono tutt’ad un tratto, coprendo la visuale, mentre una sezione del pavimento si sollevava. Le due ragazze indietreggiarono istintivamente, ma le allampanate creature strinsero gli artigli sui loro polsi, bloccandole. Tra il fumo si delineò una figura.
    “E questo cos’è, una specie di spettacolo?” - disse Roxane, radunando il suo coraggio in spavalderia.
    “Sta zitta, stupida! Sta arrivando il Supremo Guardiano” - sibilò la creatura ragniforme.
    “Quanto è eccessivo! Questo Guardiano ha proprio cattivo gusto!”
    “Zitta! Qui tutti abbiamo giurato di non farglielo mai notare”
    La figura al centro della nube iniziò a sogghignare con voce grave.
    “AHAHAHAH! Benvenute, fanciulle umane! E’ da un bel pezzo che mi ero accorto della vostra evasione. Che ne dite di intrattenervi un po’ con me fino all’arrivo del vostro comitato di salvataggio?”
    I cori ricominciarono a cantare, servendo un inno alla gloria del loro sovrano: “Chi è il re senza pietà? Il gran Nuh'nzach! Chi comanda tutti noi? Il Gran Nuh'nzach! Ooooohhh!!!”
    La pedana si fermò e il fumo svanì in rivoli delicati: un gigantesco mostro in armatura apparve; zanne acuminate, braccia muscolose, artigli affilati e speroni che spuntavano dalle spalle. Due grosse orecchie a pipistrello spuntavano dalla sua testa triangolare, gli occhi cremisi fissi sulle due donne. Tra le zampe trifide, il gigante reggeva un libro.
    Nella sala calò un gran silenzio, tutti tesi a ciò che avrebbe detto il capoclan
    “Ah, ehm... Aspettate un momento, qual era la mia battuta successiva?”
    Le ragazze da terrorizzate rimasero basite, lo sguardo allibito, l’espressione scioccata.
    “Sì, dunque... Prima che giunga al mio cospetto il Valoroso Guerriero, dovrete rispondere a una mia domanda...”
    Tutta la tragicità all’improvviso era svanita come neve al sole. “Ihihi! Non sa parlare senza leggere! E’ proprio buffo, vero?” - sghignazzò una Marisa a Roxane.
    “Non vi distraete! Dovete rispondere alla mia domanda! Che cos’è il Glifo?”
    “Eeeehhh?? Che cos’è il Grifo, tu lo sai?” - chiese sempre la stessa ragazza all’altra.
    “Non Grifo, Glifo! Allora? Rispondete! L’unica cosa che temo di voi umani è ciò che chiamano Glifo. E voi, amiche del Prescelto, dovreste saperne qualcosa. Cosa sarà, una magia, un’evocazione o una divinità?” - incalzò il Guardiano, terrorizzando le ragazze.
    “Fermi tutti!” - esclamò una voce. “Questa farsa è finita!”
    “Chi è che ha parlato?” - rimbombò il Guardiano, con voce tonante.
    “Questa sarà la voce del Valoroso Guerriero!” - mugolò uno dei mostri del coro, semi nascosti nelle tenebre della sala.
    La grande porta della sala si spalancò e sullo stipite comparve una figura sbalordente: due ragazzi messi l’uno sulle spalle dell’altro, il secondo, più in alto, recante due radici in mano. Il ragazzo alla base della colonna umana avanza alla luce, mostrando l’identità del terzo in cima: un inquietante volto, truccato di bianco, come un attore cerimoniale.
    L’apparizione pietrifica i presenti.
    “Guardate!” - esclamò scioccato un mostro. “Quel volto è davvero spaventoso!”
    Il Guardiano sollevò lo sguardo dal suo libro, attonito, e fissò la figura sulla porta. Scioccato dalla faccia truccata, il colosso balzò all’indietro, emettendo un forte verso. Completamente allibito e confuso dall’apparizione, si mise a sfogliare le pagine del libro che reggeva in mano, alla ricerca della sua prossima battuta.
    “Tu saresti il Valoroso Guerriero? E che significa quella posa?”
    “Non provare a ingannarci, mostro! Io sono il tuo incubo peggiore, un uomo truccato da cerimoniere con l’offerta in mano, non-ancora-danzante-ma-quasi! Ti abbiamo in pugno! Conosciamo il tuo punto debole!”
    “C-cosa?” Il Guardiano parve sconcertato.
    “Sembra che l’attacco stia facendo effetto!” - esclamò il guerriero, atterrando.
    “Sì, l’effetto di aumentare la mia furia e voglia di ucciderti!”
    Il gigante nerboruto si riprese dallo shock e ringhiò ferocemente contro i nuovi arrivati. Si erse in tutta la sua altezza e ruggì in modo assordante, le zanne snudate grondanti saliva.
    Marisa e Roxane corsero verso i nuovi venuti, il loro morale decisamente rialzato dal loro tempestivo arrivo. Le due donne furono sorprese dal vedere i loro compagni lì: non si aspettavano loro come eroi, ma furono ugualmente felici. La gioia delle riunioni fece passare in secondo piano il Guardiano. Questo, infuriato dall’impudenza delle sue prede, urlò: “La volete smettere!? Vi siete dimenticati della vostra battaglia con me, eh? Tu, valoroso guerriero!”
    “Che vuoi?” - rispose a muso duro, il biondo guerriero.
    “A-a-aspetta, cosa dovevo dire dopo?” Il Guardiano inizia a sfogliare il libro per poi trovare il passaggio giusto.
    “Ahahaha! Infine sei giunto, Valoroso Guerriero!”
    “Veramente sono qui da un pezzo...” - borbottò, seccato quest’ultimo.
    “Presto il riso scuoterà le tue membra contemplando la poderosa danza acquatica del gran Nuh'nzach e poi assaporerai il bagno marziale nella vasca dei pesci! Ahahah!”
    La folla rimase attonita. “Un bel bagno, sì, proprio un bel bagno!” - continuò il Guardiano.
    “Le battute del copione sono strane” - disse un servo-mostro all’altro. “Per tutti i demoni! Non pensavo che il Valoroso Guerriero sarebbe arrivato sul serio e così le ho scritte a caso...”- gli rispose questi.
    “Che cosa?!?”
    “Tremate, creature! Il Gran Nuh'nzach vi bucherà i lobi delle orecchie per tutta la sera! .....Ehhhh?!?! Ma cos’è questa roba?” - esclamò il bestione.
    “Mi sa che se n’è accorto...Si mette male!” - mormorò tremebondo il servo-mostro.
    “Chi ha scritto questa roba?! Cos’è che dovrei bucare io, eeehh?!?!” Il Guardiano si voltò inviperito contro i servo-mostri. Poi rivoltosi nuovamente ai suoi avversari, disse: “Per farla breve, io adesso vi ucciderò... cioè, vi farò fuori!”
    “Senza copione è proprio un disastro...” - commentò Jonah.
    “Agghìndati, non vi darò un briciolo di pietà! Il gran Nuh'nzach vi spedirà all’altro globo!”
    “Come hai detto di chiamarti, mostro?” - chiese a muso duro il biondo guerriero, ignorando le fesserie sparate dal bestione.
    “Nuh'nzach Kyu” - rispose con orgoglio il gigantesco colosso, ringhiando.
    “Ah beh... se non lo sai nemmeno tu, andiamo bene...” - rimarcò il ragazzo. “Saltando le presentazioni, direi di passare al pezzo forte della serata! Ragazzi! Diamo il via alle danze!!!”
    “Siiii!! Yaaaa!!!”
    I due giovani balzarono accanto al guerriero e si misero in pose coreografiche. I due ragazzi iniziarono d imitare la tipica danza della festività del raccolto, mentre la fanciulla tracciava dei cerchi magici col suo bastone incantato. Jonah e Nigel intonarono la canzone rituale, preparandosi all’accompagnamento musicale che avrebbe fornito la loro amica evocatrice. I segni si illuminarono e dei suoni di archi pervasero la sala. Tutto ad un tratto ci fu uno scoppio e dal suolo esplose una gigantesca pianta: un girasole alto cinque metri torreggiava sui presenti. I petali del fiore si spalancarono lentamente rivelando... una faccia sghignazzante. Il fiore si trattenne ancora per un attimo e poi esplose in irrefrenabili risa.
    “Ehm....Corinne...??” - domandò alquanto sconcertato Jonah. “Sei sicura di aver fatto l’incantesimo giusto? No, perché sai ogni tanto ti capita di sbagliare, no? Ecco... Doveva essere un incantesimo musicale, uno sonoro, no? Non avevi detto che eri capace ad eseguirli, anche se era magia avanzata?”
    “Aahh...eeh... ehm...sisi! cioè... aspettate un attimo, per favore!” - la ragazza rispose, arrossendo vivamente per la vergogna, mentre provava a tracciare altri segni.

    “Che sarebbe questa orrenda caciara?!” - ululò oltraggiato il bestione, fissando la gigantesca pianta come se fosse il suo nemico giurato. Questa si mise a ridere ancora più forte, sghignazzandogli apertamente in faccia. Tanto rideva, che oscillava tutta, perdendo pezzetti di foglie e polline, che finiva addosso al Guardiano. Fuori di sé dalla rabbia, il mostro si avventò contro la pianta.
    “Ehi! Vedete? Sembra che stia già funzionando! Non la sopporta più!” - esclamò trionfante il biondo ragazzo.
    Il colosso prese ad artigliate e morsi il robusto gambo del fiore, accecato dalla furia. Il fiore, anziché patirne, soffrì il solletico e le sue grasse risate si trasformarono in risolini acuti e ininterrotti. Il suono, così penetrante, di quell’aberrazione vegetal-magica fece ruggire di dolore il Guardiano, che gettò indietro la testa, appiattendo le grandi orecchie al cranio.
    I tre eroi rimasero di sasso.
    “Allora era questo il suo vero punto debole! Le penetranti note dell’ocarina suonata durante la cerimonia!” - esclamò Corinne. Svelta, si frugò nella sacca e vi tirò fuori un fischietto di legno intagliato, uno di quelli che di solito si usano per richiamare durante la caccia gli uccelli. Preso un grosso respiro, la fanciulla vi soffiò dentro a pieni polmoni.
    Il bestione urlò dal dolore, portandosi le zampe alle orecchie e incespicando mentre arretrava frettolosamente. Non era il solo: infatti, il resto del clan, anch’esso sensibile ai suoni ad alta frequenza, seppur in misura minore rispetto al suo capo, si ritrasse sul fondo della sala e, i più timorosi, scapparono nei recessi del reticolo di tunnel della tana.
    Corinne si fermò e riprese fiato, esausta. Il Guardiano ringhiò così forte da far tremare il suolo sotto i piedi dei ragazzi. Gli artigli si richiusero e si riaprono a scatti, mentre le vene nei possenti muscoli si gonfiavano. Il mostro sollevò lentamente la testa, negli occhi cremisi era racchiusa tutta la sua brama di sangue e furia.
    Lentamente e con voce grave intimò loro: “Ora vi farò a brandelli, uno ad uno e mi gusterò il vostro sangue fino all’ultima goccia!”
    Terrorizzati, i ragazzi indietreggiarono. Corinne era a corto di idee e si strinse con le altre ragazze, il bastone ormai inutile nelle sue mani tremanti. Jonah lanciò un incantesimo di protezione che avvolse tutti e si preparò a scagliare contro il mostro una magia repulsiva. Nigel gettò i vestiti da cerimoniere e sguainò la daga, preparandosi al combattimento.

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    L’agile guerriero schivò facendo due balzi all’indietro, guadagnando una certa distanza e una posizione sopraelevata rispetto al mostro.
    Sfruttando il momentaneo vantaggio, decise di provare ad attaccare...ma era ciò che il suo nemico aspettava: allargò le braccia pronto ad afferrarlo con un ghigno malefico stampato sul viso inumano. Nigel, intuendo l’errore appena commesso, cercò di cambiare la propria traiettoria, riuscendoci, con un colpo di reni solo all’ultimo istante, cimentandosi in una capriola parziale.
    Anche se non come si era figurato all’inizio, riuscì a infliggergli un colpo con la daga, dalla base del collo e per qualche centimetro, ricavandone tuttavia solo di farlo arrabbiare maggiormente. Atterrò malamente, ferendosi un ginocchio. Prima che potesse rialzarsi, il Turelim lo afferrò per la casacca e lo slanciò lontano. Rotolò per ammortizzare il colpo e grazie a questo ne emerse illeso. Si rialzò e strinse la daga pronto a fronteggiare nuovamente il suo nemico, che in pochi balzi gli fu quasi addosso. Cercò di parare alla bene e meglio, convinto ormai di essere spacciato.
    In quel momento un urlo di Corinne attirò la sua attenzione, dandogli un’ulteriore scarica di determinazione. Urlò a sua volta e anziché aspettarlo passivamente si gettò a sua volta alla carica.
    Allarmata e preoccupata per la situazione di pericolo in cui versava il suo Valoroso Guerriero, Corinne si concentrò ed evocò un altro dei suoi incantesimi: l’ennesima nube di fumo invase la sala, mentre un odore pungente di terriccio umido si propagò assieme a degli stridii. Un’enorme pianta, non dissimile a quella precedentemente creata dalla magia della fanciulla, si erse, agitando i suoi rami tentacolari al cielo. La pianta dischiuse i propri “petali” carnosi, dimenandosi un poco; polline soporifero si diffuse nell’aria, avvolgendo tutti i presenti in una cortina violacea. Corinne si accasciò all’improvviso al suolo, seguito subito da Jonah, che però resistette quanto per mantenere attivi gli incantesimi protettivi d’ausilio al suo amico guerriero. Questi si portò le mani alle tempie, sentendosi stordito e obnubilato. Il Turelim starnutì, infastidito dal polline che gli aggrediva le narici, ma fu immune al suo effetto soporifero. Anzi, ancora più arrabbiato, si gettò in un'altra selva di colpi contro il povero Nigel. Il biondo giovane barcollava ubriaco, inciampando nei suoi stessi passi nel tentativo di allontanarsi dal mostro. Questi ruggiva e ululava furioso, vedendo i propri colpi mancare il bersaglio. Era incredulo: come poteva un moscerino come quell’umano evitare le sue poderose artigliate? Quale forza lo sosteneva in quell’atto?
    Poteva sentire l’umano singhiozzare e ridacchiare, sotto l’effetto di quel mefitico gas, oltre che borbottare, a quanto pare anch’egli meravigliato dalla sua stessa fortuna.
    Ad un tratto il ragazzo cadde a terra e le forze sembrarono abbandonarlo: giaceva lì, carponi, stordito, incapace di rialzarsi. Il Turelim torreggiava su di lui, un ghigno di sadica anticipazione a deturpargli il muso. Tese gli artigli della mano destra come a formare un cuneo, pronto a perforargli il torace, dritto al cuore. Gli altri due ragazzi, lottando contro il torpore che li ghermiva, gridarono con quanto fiato avevano in corpo per distogliere il mostro dal compiere quell’orrido atto, ma invano: il Turelim aveva in pugno la sua preda e mai e poi mai se l’avrebbe fatta sfuggire...
    Un colpo lo fece volare all’indietro, facendolo ricadere di schiena sul duro pavimento della sala, qualche metro addietro.

    All’ingresso della sala stavano due figure: un cavaliere in armatura, alquanto inquietante, dai biondi capelli, che stringeva una spada smeraldina, e una dama dalle bianche vesti e la pelle azzurra, i palmi tesi davanti a sé.
    Gli Zephonim nella sala sibilarono irati per l’intrusione. Il Turelim si rialzò ruggendo.
    “Chi osa mettersi tra me e la mia preda?!”
    “Un parassita come te non merita di udire pronunciare i nostri nomi” - disse pacato il cavaliere in armatura che avanzò, raggiungendo Jonah e tirandolo su di peso per il colletto. - “Ragazzi, mettetevi al riparo, scappate!”
    Il ragazzo barcollò ma si riebbe e corse verso Nigel.
    La dama bianca fu subito accanto alla fanciulla, che sgranò gli occhi alla sua vista e arrossì di vergogna per essersi fatta vedere sconfitta.
    “Non devi vergognarti di nulla, Corinne. La tua magia è molto potente! Hai un brillante futuro da maga davanti a te, sono molto impressionata dalle tue capacità!” - le disse la dama, sorridendole in modo incoraggiante. Corinne, riguadagnata la propria autostima e fiducia in sé stessa, corse ad aiutare Nigel, per poi scappare tutti assieme dalla tana, voltandosi solo una volta verso i loro salvatori: “Vi aspettiamo fuori di qui, ok?”
    “Va bene, ora andate!”
    I ragazzi fecero come gli era stato detto e i due immortali furono liberi di combattere senza il timore di coinvolgerli.
    Il Turelim ululò. “Fate a brandelli questi intrusi!”
    Gli Zephonim si lanciarono a sciami contro i due membri dell’Alleanza, mentre il Turelim si gettò all’inseguimento delle sue prede fuggitive. Ma ciò non era nei piani dei due immortali, che placcandolo prima che potesse lasciare la sala.
    Naeryan evocò un Glifo di Forza e respinse tutti i loro assalitori, dando fiato a Phobos che si occupava del Turelim. Il corrotto possedeva una forza notevole e dava del filo da torcere al Paladino, che parava agilmente quasi tutti i suoi colpi.

    Il possente corrotto caricava spinto da una cieca furia, menando artigliate a destra e a sinistra, raramente riuscendo al colpire il Paladino.
    Phobos, deviava i colpi senza troppa fatica, sfruttando la stessa forza dell’avversario. I due erano in stallo, ed il Turelim sembrava perdere sempre più lucidità e foga nei colpi, tuttavia quella era solo apparenza: con un’agilità ed una velocità tali che l’emissario dell’Alleanza non si sarebbe mai aspettato, il corrotto si distanziò in modo fulmineo dal cavaliere, per poi concentrare e scagliargli contro un colpo telecinetico.
    Il Paladino incassò barcollando, dando il tempo al Turelim di scagliarne un’altra rapida sequenza, disarmandolo e frastornandolo, e facendolo indietreggiare fino ad un pilone di roccia. I colpi si andarono via via concentrando sulla testa di Phobos, creandogli non pochi danni e difficoltà: cercò di ripararsi con le braccia, ma alcuni colpi più volenti degli altri gli facevano piegare violentemente il capo all’indietro, e, sbattendo contro la roccia alle sue spalle, l’interrompeva impedendogli di proteggersi.
    Un rivolo di sangue scese da una narice e dalla bocca, ed un crescente senso di impotenza montò nell’animo del vampiro. Ma quasi subito quella sensazione negativa fu ‘usata’ e trasformata in ferrea determinazione: giusto prima che l’intontimento per il colpo appena incassato svanisse, Phobos evocò il Repel, sapendo che avrebbe avuto solo un’occasione per ribaltare la situazione.
    Il colpo telecinetico si infranse sullo scudo magico, che andò in frantumi lasciandolo scoperto. Il Turelim era già pronto per scagliarne un altro, ma il Paladino fu più veloce ed uno Stun andò a segno, facendo indietreggiare barcollando il colosso.
    Senza attendere oltre Phobos impugnò Odin andando subito addosso: una pioggia di colpi ricadde sul corrotto che veniva contuso, tagliato ed ustionato con pressante velocità.
    Tuttavia ciò non fu sufficiente per porre fine al combattimento, e presto i due contendenti furono nuovamente in stallo.

    La dama dei venti cercava di tenere a bada gli Zephonim, menando fendenti con la sua lama eterea. Doveva impedire, infatti, che convergessero tutti su Phobos, già impegnato col Turelim. Le bestie erano astute ed intuivano la sua strategia; osavano avvicinarsi sempre di più, ogni volta che schivavano un colpo, contrattaccando. Artigli laceravano le sue vesti e ben presto la mietitrice non riuscì più a schivarli; troppe infatti erano le creature che le si accalcavano addosso, bramose di distruggerla. La sua lama eterea guizzava ovunque, ferendo innumerevoli volte la carne immortale dei vampiri, ma ciò non li faceva desistere dalla loro aggressione. Naeryan poteva sentire le ferite che iniziavano a costellare il suo corpo, drenandola delle sue energie. Gli Zephonim iniziarono a sputare fili appiccicosi che le si attaccavano agli arti, limitando i suoi movimenti. Prima fu il suo braccio destro: la dama del vento sapeva che quelle infami bestie stavano cercando di renderla inoffensiva. Ben presto fu completamente inerme ai loro attacchi, perdendo copiosamente essenza e indebolendosi velocemente. Sentiva la sua presa sul mondo materiale farsi più fioca; non aveva più tempo!
    Esasperata e pressata letteralmente da tutti i lati, la mietitrice si tramutò in fumo, allontanandosi dalla battaglia. Sperando che il Paladino non fosse assalito nello stretto immediato, Naeryan si concentrò e convogliò tutta la sua energia rimasta, liberandola sotto forma di Glifo del Suono, assieme al suo corpo materiale, che svanì. L’onda sonica generata in alta frequenza fece cadere al suolo tutti i vampiri, agonizzanti. Il Turelim si premette le mani sulle orecchie, cadendo in ginocchio. Quando l’effetto del Glifo fu finito, egli ansimava pesantemente, mentre un sottile rivolo di sangue colava dalle sue orecchie. Gli Zephonim stridevano pietosamente, ancora rantolanti al suolo. Dopo qualche momento, la mietitrice riapparse dallo Spectral per assicurarsi che il suo attacco avesse avuto effetto e per sincerarsi delle condizioni di Phobos. I due membri dell’Alleanza sapevano che lo stato in cui versavano loro nemici sarebbe stato meramente transitorio: erano in svantaggio numerico e tutti quei corrotti avrebbero anche potuto avere la meglio su di loro, una volta ripresi.

    Ad un tratto una voce echeggiò nella sala.
    “Ben vi sta, fratelli...”
    Uno Zephonim evoluto, lo stesso che i due immortali avevano incontrato in precedenza, avanzava lentamente nella sala, il suo asciutto corpo ondeggiante per i lunghi passi. Il vampiro scrutava con disdegno il suo clan, che lo fissava di rimando, basito. “Avete scelto di seguire questo scellerato e ora subite il suo stesso fato. Ben vi sta, stolti! Invece che servire i nobili membri della nostra specie, vi siete abbassati per codardia a seguire questo intruso, questo colosso senza alcun onore, che vi ha sfruttati come suoi servi personali! Ora, al suo pari, strisciate per terra, come vermi, sconfitti. Esseri senza onore! Avete avuto ciò che vi meritate!”
    Lo Zephonim era ormai arrivato al centro della sala e con voce aspra e secca redarguiva i suoi simili. Lì, in piedi, dritto come un fuso, torreggiante sui suoi fratelli bocconi al suolo, incuteva un certo rispetto. Persino il Turelim sembrava da meno. I due membri dell’Alleanza capirono chi era il vero capo clan: egli lo era stato sin dall’inizio, ma era stato spodestato. Ora, aveva riacquisito tutto il suo “regale splendore” e sembrava pronto più che mai a reclamare il suo trono.
    “Alzatevi! La nostra nobile stirpe non conosce codardia! Alzatevi e redimetevi, servendo il vostro vero re!”
    Uno dopo l’altro, gli Zephonim si alzarono e si voltarono verso il Turelim.
    “Hai perso, Nun’zach. E’ ora di pagare gli anni di stenti che hai inflitto al mio clan, reclamando per te le nostre prede. La tua tirannia è finita!”
    Questi si rialzò in piedi, ringhiando. “Non mi sconfiggerete mai! E tu, Zexion, sei solo un piccolo borioso insetto! Un giorno finirai spiaccicato sotto il mio piede, da bravo scarafaggio quale sei!”
    “Non credo proprio.”
    Zexion fece un verso schioccante e parecchi Zephonim spararono fili di tela che avvolsero il Turelim come corde d’acciaio. Reso così inoffensivo, venne preso e portato via nelle profondità della caverna.
    Il nuovo leader si voltò verso la mietitrice e il Paladino. “Vi propongo un accordo, per festeggiare il mio ritorno come capo clan. In virtù di tale posizione, vi prometto che non cacceremo gli umani nelle loro città. Per chi sarà tanto sciocco da avvicinarsi troppo alla nostra tana, beh... non posso garantire sicurezza alcuna. Ma non ci saranno più incursioni nei villaggi umani, questo è garantito. In cambio di questo favore, vi chiedo di dimenticarvi della nostra esistenza.”
    Phobos strinse i pugni sull’elsa; tali compromessi lo ripugnavano, ma sapeva che era per il bene di Vasserbunde. “Affare fatto. Ma se anche solo uno di voi o dei vostri servi osa avvicinarsi ai villaggi, giuro che il vostro clan verrà spazzato dalla faccia della terra!”
    La minaccia aleggiò nel silenzio della sala. Lo Zephonim annuì e così suggellarono l’accordo.

    separatore



    Quando i due immortali emersero alla luce, trovarono gli umani ad aspettarli. Raggiunsero tutti le rive del lago e bivaccarono lì. La piccola barca a remi che il mercante gli aveva prestato non poteva traghettarli tutti verso la salvezza, così Naeryan, ormai stanca per la prolungata permanenza nel Material e per la battaglia, decise di andare ad avvisare la Gilda a Vasserbunde viaggiando nello Spectral. Phobos montò la guardia quando calò la notte, vegliando sugli umani, e al mattino videro un peschereccio stagliarsi sull’orizzonte. La Gilda aveva convinto il mercante a prestargli la sua barca ed erano andati a recuperare gli eroi e i rapiti. I tre ragazzi furono incensati per il loro coraggio e “bravura”, nonostante l’inesperienza.

    Giunti a riva, nonostante le insistenze di tutti affinché si fermassero per celebrare degnamente il loro vittorioso ritorno, i due membri dell’Alleanza si congedarono per ripresentarsi al cospetto di KainH.
     
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    Epilogo per questa missione di Phobos e Naeryan

    Naeryan riceve... :cavaliere: Level Up!
    Congratulazioni, adesso sei un Cavaliere della Cattedrale dell'Anima! Beh, in questo caso, forse meglio dire una Lady :loldeath:
    ti ricordo che dal grado Cavaliere
    CITAZIONE
    Il dispendio energetico per rimanere manifesti nel Regno Materiale diminuisce, consentendo la permanenza per un periodo di tempo maggiore.

    Ben fatto, prosegui molto bene :)

    Phobos, tu dovrai attendere il buon KainH, ma non disperare :)
     
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    LA MASCHERA DEI MORTI



    Rekius si aggirava per le sale della Cittadella dei Razielhim con sguardo corrucciato, immerso nei suoi pensieri.
    In breve, due figure da egli conosciute si mostrarono al cospetto della Statua imponente del capostipite dei Mietitori, quando ancora possedeva le sue sembianze Vampiriche.

    "Signori, perdonate la mancanza di convenevoli ma il dovere chiama lesto e noi dobbiamo rispondere. Ci sono diverse faccende di cui devo occuparmi per cui sarò molto breve..."
    Non attese neanche che i due potessero dare cenni di assenso.

    "Nel cuore della foresta di Termogent, molto tempo addietro, le prime genie di Turelhim costruirono una cittadella al riparo da occhi indiscreti ma relativamente vicina al loro territorio d'origine.
    Tale cittadella era stata edificata per la sopravvivenza del clan durante le guerre tra i Vampiri e gli Umani successive alla conquista dei Pilastri da parte di Kain...
    Di quel sito ora non ne rimangono che povere rovine avvinghiate nella vegetazione.
    Ebbene, sembra che un nuovo sottoclan di Turelhim si sia stanziato tra di esse per cercare di riportare in auge i vecchi fasti della sua linea di sangue, usando quella posizione privilegiata e nascosta per depredare le popolazioni vicine ed arricchirsi nel tempo.
    Voci sostengono che il capoclan di questo manipolo di Corrotti abbia recuperato una reliquia dalle spoglie dei primi Turelhim trovate tra le rovine e che la indossi costantemente come simbolo del proprio potere.
    E' un elmo cerimoniale tramite il quale, a detta del capoclan Sokorth, egli sarebbe in grado di mettersi in comunicazione con gli antenati della genia che abitava quei luoghi.
    Occorre che voi fermiate questa scorribanda nei confronti dei villaggi limitrofi e cerchiate di scacciare il clan dalle rovine...ma soprattutto che riportiate indietro la reliquia di cui Sokorth si fregi così tanto.
    Invio te Kaneel poiché hai già avuto a che fare con dei Turelhim particolarmente territoriali ed il tuo retaggio può essere di grande aiuto nell'impresa. Ti affiancherà Samah'El, poiché sono certo le sue abilità 'persuasive' si dimostreranno utili.
    Fate attenzione, sono convinto sarà una missione molto difficile."

    LDR 4.0 per Kaneel

    LDR 3.0 per Samah'El




    http://pre15.deviantart.net/f6de/th/pre/i/...edator_club.jpg

    Questa è la forma della maschera :)
    Vi invio delle informazioni via MP!
     
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    33wku47

    Infine, venni convocato da Rekius, per un incontro all'ombra delle morte spoglie dell'antica casa di un clan ormai estinto.
    Nonostante della stirpe del primogenito non rimanessero che remote tracce e ruderi, si poteva comunque trarre un senso di magnificenza alla vista di quelle sfarzose architetture, era innegabile che al tempo fu un clan potente e culturalmente avanzato, ma la loro conoscenza non li salvò dallo sterminio perpetuato dai clan loro alleati, un atto di inconcepibile ferocia mosso da puerili sentimenti di invidia e avidità.
    Nel mio passato di vampiro ricordavo le storie che si raccontavano su quei giorni di sangue, gli anziani affermarono che fu un atto giusto, l'epurazione di una stirpe di traditori senza spina dorsale, il volere di Kain, nientemeno.
    Ma come poteva essere quello il volere di Kain se scomparve subito dopo l'esecuzione di Raziel?
    Ma questo lo ero venuto a sapere in tempi recenti, consultando gli annali della cattedrale eretta sulle rovine del santuario dei clan.
    La cosa non era comunque importante, anche se andarono incontro a una fine cruenta le loro mani non erano meno macchiate di sangue di quelle dei loro carnefici fratricidi.

    E finalmente giunsi al cospetto dell'imponente statua del figlio primigenio di Kain. Potevo finalmente vedere il suo aspetto prima che il suo corpo, come il mio, venisse martoriato da un destino infausto.
    Potente, eroico, glorioso, leggendario ed estremamente arrogante, con la leggerezza di un uomo che poteva vantare di avere il mondo ai suoi piedi, si era mostrato a Kain, sfoggiando il frutto della sua evoluzione ed egli lo aveva punito scagliandolo nell'abisso tramite le mani virtuose di due dei suoi fratelli, Turel e Dumah.
    Forse il gesto impulsivo dell'imperatore trovava ragione in un tentativo disperato di contrastare un destino avverso, oppure era stata davvero l'invidia per la superiorità del primogenito a scatenare la sua volontà assassina, certo era che da quell'atto di apparente furia cieca, mezzo secolo dopo, il primo di noi tutti rinacque, il primo mietitore.
    Sotto le spoglie vampiriche di quella creatura leggendaria attendeva il signore della cattedrale dell'anima, con aria preoccupata.
    Presagivo che esprimere dissenso per il mio continuo coinvolgimento negli affari dell'alleanza non sarebbe stato opportuno. Avevo messo la mia lama e le mie abilità al servizio delle cattedrali ma non ero un servo fedele a differenza dei vampiri di Kainh, a differenza del mio ex clan nei confronti dell'ormai scomparso imperatore. Era proprio da quel retaggio di cani da guardia che cercavo di discostarmi, e anche se fosse stato impossibile ci avrei provato con tutto me stesso. Ma quel discorso avrebbe atteso.
    Per ora desideravo solo sentire ciò che il mietitore del ghiaccio aveva da dirmi.


    3164so3

    “Che ammasso di putridume decadente...” pensai mentre varcavo le soglie di quel che una volta era parte integrante del dominio del Grande Inquisitore, glorificato ed epurato dalla stirpe del Traditore per ordine del mio Capoclan e da quello di Turel….e ora...ridotto a rifugio per dementi senza scopo.
    La mia fedele lupa Hati era rimasta a riposare nella foresta circostante la Cattedrale del Sangue; gli scontri per la liberazione di Phobos l’avevano provata molto e lei, al contrario di me, era creatura dal sangue caldo e necessitava di tempo per potersi riprendere.

    Con passo cadenzato e la rabbia in corpo, ancora una volta, ero stato chiamato per difendere quel branco di nullità azzurre. Squallide carcasse ignobili che urlavano alla gloria del Vanesio, un fu Vampiro che con tanto scherno aveva mostrato le sue nuove glorie ad un tiranno saggio oltre ogni dire.
    Kain, il Primo, il capostipite di tutti noi.
    Se fosse qui ora, ricaccerebbe questo branco di cenciosi esseri nel Regno Spettrale con un singolo colpo di Mietitrice d' Anime. Il Vanesio mieterebbe vittime nella sua stessa discendenza, intrappolato in una lama secolare, per volere di colui che tutto aveva calcolato….Che ironia.

    Non certo per partigianeria avevo preso parte a tale messinscena ma per somma curiosità. Avevo sentito parlare di un artefatto capace di ridestare le coscienze degli antichi nelle menti dei giovani; La Maschera dei Morti, un canale diretto per la discendenza di chiunque la indossasse.
    Ero dannatamente voglioso di provarla, conoscere e sapere cosa gli avi avevano da dire e quella era di certo l’occasione migliore per poter sentire i dettami dei fratelli defunti. Quale folle dissennato non coglierebbe una simile occasione?
    Un brivido di eccitazione viaggiò lungo la spina dorsale, penetrandomi nel cervello e poi nel cuore. Affrettai il passo, facendomi strada tra gli sguardi di coloro che non vedevo.Tra i volti dei mietitori che mi passavano davanti come ombre nella nebbia, riuscii a vede
    Mietitori….che meschino circo di fenomeni da baraccone.
    Avevano dimenticato quanto grande era stato il loro Capoclan in non vita, avevano obliterato le verità nascoste della loro stessa genia e si erano concentrati solo sul “sacro martire” invece di ammirare l’operato di colui che lo aveva reso tale, suo braccio destro e buon soldato per la sua causa.
    Poveri stolti...non hanno capito nulla.
    Il sacrificio del Vanesio, i suoi viaggi, le sue conoscenze; il volere del Primo era inciso sulla carne marcia di quel Capoclan corrotto da secoli e secoli.
    Kain, il Tiranno, che così saggiamente aveva potuto discernere le trame del tempo e muovere le sue pedine sulla scacchiera del fato.
    È dai vampiri che tutto ha avuto origine, è da Kain che tutto ha avuto un senso...ma loro sono ciechi e, personalmente, poco mi tange la loro stoltaggine.
    Se solo la smettessero di comportarsi come pontefici, ogni volta che ne incrocio uno...Che nervi!
    So per certo che quando tutto questa pantomima finirà, i loro cadaveri corrotti si riveleranno per quello che sono: mangiatori di anime e subdoli bastardi voltagabbana.
    Solo uno sciocco penserebbe che l’Alleanza si regge sulla semplice “stima”....
    Quale assurdità...Nessun impero si regge sulla stima o la fratellanza ma su scopi comuni e sete di potere. Il Gelido mente a se stesso se pensa di avermi ingannato con le sue dorate parole.

    Sbuffai aria con fare taurino e scossi il capo, accorgendomi solo dopo qualche secondo che le gambe avean condottomi al cospetto di colui che, senza ritegno o orgoglio personale, aveva richiesto i miei servigi. Rekius, il reggente della Cattedrale dell’Anima, intento a rimirare una testimonianza dello scherzo più grande di Nosgoth e al suo fianco c’era una delle più meschine e ottuse creature del piano materiale: un Turelhim mietitore di nome Kaneel.
    Turelhim...Mietitore...Quanto ilari suonarono quelle parole nel mio cranio.
    Il volto congelato in un’espressione pacata nascose perfettamente il mio vero stato d’animo. Ero saturo di nausea e risa al medesimo tempo.

    La gola artefatta dalla corruzione schioccò in un lieve e sommesso ruggito, un modo come un altro per segnalare ai due la mia presenza. Mi fermai a pochi passi dal duo e incrociai le bracci, nell’attesa che mi venissero fornite le indicazioni sul dove trovare la Maschera dei Morti e sul chi avrei dovuto debellare da Nosgoth. Avevo già prestato servizio per loro in passato, con compagni di scorrerie molto meno graditi; il fu Saraphan Padre Lucian era stata una delle gocce che avevano scosso pesantemente la capienza del proverbiale vaso. Lavorare con un Turelhim, che con tanto scherno aveva parlato dei miei avi e del suo stesso mondo alla Cittadella delle Ceneri , cadavere e indottrinato per giunta, non sarebbe stato un problema.



    33wku47

    Prima che potessi salutare il comandante dei mietitori con il consueto saluto impartitomi nella mia gioventù di turelhim e da cui non potei più discostarmi per quanto fosse divenuto automatico quel gesto, l’udito percepì passi scomposti e violenti giungere verso di noi, non dovetti neanche girarmi per riconoscere il grugnito rabbioso di una creatura a me molto sgradevole.
    Non potevo credere che Rekius mi avesse tradito in quel modo così meschino, come aveva potuto convocare anche quella bestia senza cervello?
    Nessuna delle ragioni del mietitore sarebbero state sufficienti per giustificare quell’onta.
    Mi voltai appena per sbirciare con la coda dell'occhio quel volto inespressivo di mezzosangue che con sicurezza si era posto al mio fianco senza il minimo accenno di saluto, poco male pensai sprezzante, neanche da parte mia avrebbe trovato cortesia nei suoi confronti, nemmeno se l'avesse cercata. Fulminai il piccolo mietitore del ghiaccio con lo sguardo, ma ad egli sembrò non importare della mia insofferenza per la presenza del vampiro, rifiutai categoricamente la possibilità che stesse cercando di provocarmi fastidio intenzionalmente e tentai di abbracciare l'idea che fosse davvero necessario quel mezzosangue ai fini del nostro incontro
    Perchè quell'essere dagli occhi caprini mi irritava a tal punto da considerarlo ripugnante?
    I vampiri erano stati la causa scatenante delle mie disgrazie. soltanto per questa ragione meritavano il mio disprezzo assoluto e l'avermi minacciato al nostro primo incontro di certo non aveva giovato alla mia considerazione nei suoi confronti, inoltre, avevo sentito che quel bastardo cercava disperatamente di riportare ai vecchi fasti il clan del terzogenito, un clan di bestie arroganti come il loro genitore, buone solo per le punte di lancia dei sarafan. Lo sforzo inutile di un demente che nemmeno poteva dire di condividere appieno la corruzione del suo clan, io stesso avrei avuto più ragioni di rifondare il clan Turel nonostante non fossi che lo spettro ribelle di un suo figlio.
    Se solo il vampiro avesse potuto vedere il mondo che tanto sembrava agognare con gli occhi del ragazzo che ero allora e del vampiro che divenni successivamente. La miseria di quell'epoca per me era senza pari, un tempo in cui la genia dell'imperatore imperversava selvaggia e incontrollata perseguendo inconsciamente l’autodistruzione, ma a volte un cieco preferisce il buio per tutti invece che la luce per se stesso.
    Forse mi ricordava fin troppo quello che sarei potuto diventare se non avessi preservato, lottando con le unghie e con i denti, quella minuscola briciola di umanità che ora mi permetteva di pormi i giusti quesiti sul mio operato in questo mondo rinato.
    Ed erano proprio quei quesiti che ora mi tormentavano, ogni giorno, sembrava che ogni essere a Nosgoth, dal più sapiente al più ignaro, riconoscesse la futilità di quella fragile alleanza tra vampiri e mietitori, ogni umano, vampiro o creatura astrale era intenta a complottare perchè l'equilibrio si spezzasse in una lotta infinita tra un male e un male ancora più grande.
    La verità era una sola, non avevo scelta se non combattere per una causa che non sentivo mia, come per tutte le cause perse in cui mi ero trovato coinvolto nel corso della mia esistenza.

    Poi, venni trafitto dall'ironica realtà che si celava dietro quell'incontro così inusuale, i due figli dei boia insieme, sotto le insegne del condannato, che fastidiosa ironia.
    Rekius doveva essere in vena di scherzi, io no, il mio retaggio non era un oggetto per burle di mietitori annoiati, il solo pensiero di esser diventato ciò che uccise mia madre e me, non mi dava pace.
    E quindi mi venne rivelato il motivo di quel colloquio, una maschera forgiata dalle sapienti mani dei fabbri turelhim capace di donare al portatore la possibilità di dialogare con le entità spettrali. Davvero una potente magia, inusuale pensare che quell'oggetto potesse appartenere al mio clan, un clan di feroci guerrieri che potere e apprendimento li cercavano sul campo di battaglia.
    Era chiaro che il possessore della maschera cercasse le antiche conoscenze dei defunti turelhim di quel luogo dimenticato, ma a quale scopo?
    Oltretutto avremmo dovuto debellare i miei ex fratelli da quella che fu un'avanguardia nella fitta foresta nera, casa al tempo dell'antico Vorador, altra figura leggendaria che avrei dovuto approfondire una volta trovato il tempo, per proteggere ancora una volta umani che della nostra alleanza avrebbero volentieri fatto a meno.
    Ma perché affibbiarmi un vampiro come compagno? E per di più un corrotto mezzosangue persuaso dalle fantasie gloriose di un adolescente convinto di poter conquistare il mondo dopo aver impugnato una spada per la prima volta.
    La giornata pareva volgere al peggio, schiacciato dal peso di quei pensieri rancorosi decisi di assumere una facciata di civiltà, almeno sotto gli occhi dell’infame mietitore, che con troppo zelo nei confronti dell’alleanza m’aveva attirato in quella spiacevole situazione; se la missione pareva così difficile come aveva predetto sarebbe stata necessaria una parvenza di collaborazione tra me e questo vampiro dalla pelle rancida.
    E quindi nonostante mi fossi ripromesso di non concedere cortesia al mio nuovo alleato tesi la mano trifida verso di lui, un gesto umano che probabilmente non avrebbe apprezzato e nel migliore dei casi ignorato ma presto ci saremmo trovati in una situazione pericolosa e nonostante l’idea mi orripilasse, mi sarei dovuto affidare anche alle sue abilità.



    3164so3

    Rekius Il Gelido proferì il suo discorso con voce autoritaria e senza il ben che minimo rispetto nei confronti dei presenti. A quanto pareva, uno sputo di Turel aveva finalmente preso le redini delle proprie esistenze, in un nobile tentativo di riportare il proprio Clan in auge e, a detta del Reggente, andavano fermati. La cosa mi fece pensare e non poco, se la Cattedrale dell’Anima temeva così tanto il ritorno del sangue di Turel, probabilmente avrebbero messo i bastoni tra le ruote anche al mio futuro. Sarei dovuto essere doppiamente cauto e guardingo nei loro confronti.
    Nel mentre che il mietitore proferiva quel suo discorso, il corpulento mietitore tese una mano verso di me, forse spinto da spirito di fratellanza o semplice scherno.
    A stento osavo toccare i miei Fratelli e amici per salutarli e lui pretendeva di esserne al pari?
    Ignorai deliberatamente quel gesto; non ero li per stringere amicizia con nessuno.
    Di tutto quel discorso, assimilai solo le parole che più mi erano utili; foresta di Termogent, elmo cerimoniale, Sokorth. Gli obbiettivi erano chiari, seppur parossistici per un vampiro. Fermare le scorribande dei corrotti nei villaggi umani, cacciare i Turelhim e riportare indietro la reliquia.
    Non mi persi in discorsi pomposi o gesti falsamente cerimoniali. Salutai il Gelido e mi voltai per uscire da quel lerciume che i mietitori chiamavano “Crocevia”.
    Poco mi importava se quel pipistrello fuori misura mi stesse seguendo o meno, per quella missione non avevo di certo bisogno di un Novizio a cui fare da balia.
    Mi portai fuori dalle mura e lo aspettai, se avesse avuto bisogno di ciacolare con il suo kapellmeister, tanto meglio. Avrei avuto il tempo di ragionare sul percorso più facile da prendere per giungere alle rovine.
    La foresta di Termogent, ne conoscevo solo il bordo esterno. Nei miei primi giorni di non vita avevo istintivamente preso quel percorso per potermi recare alla Cattedrale del Sangue ma nulla sapevo dei pericoli celati al suo interno o dei villaggi di cui parlava il Gelido.
    E mentre rimuginavo sul cosa fare e come agire, sentii un dolore pressante e fitto nel cuore, crescervi sempre di più finché la mente non ne comprese la ragione; conoscevo un luogo dove potermi traslare e da cui partire per la missione.
    Lo conoscevo molto bene, anche se avevo tentato di dimenticarlo, più e più volte, nel corso della mia rinascita. Questa dannata mente ha sempre fatto di questi scherzi meschini, tanto quanto il Fato.
    Pregai la Ruota che mi desse la forza di tornare a casa, senza ricordare troppo o soffrire di femminei attacchi di nostalgia.

    Quando vidi arrivare il mietitore Turelhim, con volto cupo seppur gelido ed umore simile al mio, il turbinare di pensieri si interruppe, lasciandomi libero di esprimermi al meglio.Era passato poco più di qualche minuto dalla mia dipartita da quelle stanze e dal categorico rifiuto di perpetuare il gesto di Kaneel.
    Nonostante il nerboruto mietitore lo avesse previsto, in qualche modo il mio rifiuto di assecondare il suo tentativo di cortesia lo infastidì enormemente, c'era voluta tutta la sua forza di volontà per tendermi la mano disarmata dalla lama fantasma. Appena gli diedi le spalle per dirigersi fuori dalla cittadella, strinse il pugno davanti a se per scaricare la furia nascente, fu tentato per pochi istanti di trarmi a se tramite la telecinesi e di impalarmi davanti a Rekius, ma poi riuscii a calmarsi da solo, ancora una volta l'inquietudine per quei soventi pensieri assassini lo pervase.
    Puntò il dito contro Rekius, irato e con gli occhi ridotti a due fessure luminescenti, gli parlò con parole che somigliavano ad un ringhio sommesso;

    “Finita questa storia mi dovrai delle spiegazioni.” E si voltò senza attendere risposta o silenzio.

    Mi raggiunse fuori dal crocevia con gli zoccoli che sembravano legati a due macigni, e lì fu costretto nuovamente a rivolgermi le sue attenzioni,come fossi un' ammasso di metallo indifferente.

    “Non mi piaci.” Fu il lapidario commento che espresse lo spettro Turelhim nei confronti del suo temporaneo compagno di avventure, normalmente non si sarebbe rivolto in modo così sfrontato ad un suo superiore ma in quelle ore buie perfino colui in cui aveva riposto la sua fiducia lo aveva in qualche modo tradito.
    “Sapessi tu...” pensai tra me e me.

    “Fortunatamente non abbiamo bisogno di piacerci per collaborare, quindi gradirei che mi indicassi la via più rapida e che non mi stessi tra gli artigli nel frattempo.”Poi fece una pausa e riprese con tono più pacato.
    “Non riconosco la foresta, nella mia epoca era solo una landa di alberi pietrificati e acqua rancida.”
    Disse incrociando le braccia sul petto e rivolgendo il suo sguardo all'orizzonte.
    Incanalando i miei pensieri sotto forma di sussurro, mi sprecai nel comunicargli ciò che più poteva esserci utile, evitando accuratamente parole troppo...feroci.

    “Una catena montuosa….cinge a Nord ... foresta di Termogent.
    Poco a nord ovest di Uschtenheim...ai piedi della montagna…..e al limitare del bosco….c’è un’abitazione diroccata.
    Ottimo punto...di partenza...per missione.
    Da quel cencioso... ammasso di legno...partiremo per il cuore della foresta…
    Kaneel Sangue di Turel…
    Non farmi attendere...”


    Dette quelle poche parole, il mio corpo sembrò essere preda di un sortilegio antico come il male. Parti della mia carne mutarono in minuti colibrì dal rosso piumaggio, scomponendomi corpo e mente in uno stormo di piccoli volatili che lesti presero il volo. In un frullare d’ali, solcai i cieli di Nosgoth per poi riprendere unità una volta giunto nei pressi di quella che da umano ero ad uso chiamare casa.
    Il ritorno del figliol prodigo;

    “Maledetto me…
    Maledetta la mia dannata mente e maledetto Rekius, ti possa venire l’artrite!”
    masticai tra me e me mentre rimiravo quella sottospece di baracca che mi aveva fatto da casa nella mia vita precedente.

    Me la ricordavo più grande, gli agi e i lussi della Cattedrale di Sangue avevano condizionato la mia visione degli spazi.La testa comandava furiosamente al corpo di muoversi ma questo era paralizzato davanti a quel rudere, soffocato dai ricordi di una vita passata che, ora più che mai, tornavano in forze come spettri in un incubo.Sentii la necessità di prendere un profondo respiro prima di voltarmi e scrutare la foresta. “Dannato lumacone ultra planare...Ma quanto ti ci vuole!?” pensai con un getto di rabbia.
    Presi a camminare avanti e indietro, impaziente di andarmene prima che le cose peggiorassero.
    Tentai in tutti i modi umanamente possibili di non ricadere nello stesso errore, di non fermarmi a guardarla. Ogni dannato centimetro di quella mansarda diroccata, di quel tetto sfondato, di quella specie di catapecchia faceva riaffiorare in me i ricordi di un Samah’el più giovane, trucidato dai sensi di colpa. Alla fine, i nervi non mi ressero e feci l’errore più comune di tutti; tornai a casa.
    Il legno cedeva sotto il mio peso con piccoli gemiti gracchianti e cigolii di bentornato.
    Era rimasta come l’avevo lasciata.
    Anche allora dovevo chinarmi per poter entrare, il soffitto era basso e coperto di tele di ragno. Quel poco mobilio rimasto aveva visto giorni migliori, le stanze erano in uno stato di abbandono totale e piccoli ratti di palude e uccelli avevano edificato le loro tane in tutta la struttura. Lo scheletro in legno aveva retto nonostante le intemperie, le poche finestre rimaste incastrate nei cardini battevano contro le cornici ad ogni folata di vento.
    Lo scorrere del tempo non era stato clemente con quella piccola abitazione.

    Mi feci largo tra le foglie cadute dagli alberi e passate dal tetto sfondato, rimisi in piedi una sedia caduta e, come fosse stato obbligatorio farlo, la posi al suo posto accanto al tavolo.
    Gli occhi scrutavano ogni singolo angolo di quella specie di cucinino che il mio padre adottivo aveva allestito per la sua dimora, prima della mia venuta.
    Era un rudere...ma lui l’aveva sempre considerata una reggia.
    Un ombra fuggiasca passò per un momento attraverso una porta, costringendomi ad estrarre gli artigli e rimirare la stanza in cui l’avevo intravista con la coda nell’occhio. Tornato in me, avanzai tentando di evitare rumori molesti prima di addentrarmi in quella che era, molto molto tempo addietro, la piccola camera di un bambino atterrito. Lo sguardo vagava alla ricerca dello spettro che tanto mi aveva messo in allarme per poi scoprirne la provenienza: un topo di campagna era passato veloce nel corridoio, fuggendo in un buco nel muro.
    Tornai al mio stato di quiete, prendendomi in giro per aver pensato che ci fosse qualcun' altro, oltre me, in quel mucchio di immondizia.
    La camera era piccola e malridotta, il letto non c’era più; raggiunta l’età adulta e con la scomparsa di mio padre, lo avevo usato per rifare un buco nel soffitto.
    Non so perché lo feci, mi venne d’impulso; mi inginocchiai presso un angolo tra muro e pavimento e sollevai una piccola asse di legno che sapevo cava. Era ancora li….dopo tutto quel tempo.
    La mano bifida strinse un balocco da bambini e lo trasse via da quel luogo sicuro in cui l’avevo messo più di quaranta anni prima: un piccolo lupo di legno, scolpito da un me molto giovane. Un lavoro rozzo e mal fatto ma al tempo mi pareva un’opera d’arte.
    Nel mentre che lo rimiravo e mi tiravo su, con la coda nell’occhio intravidi le incisioni che ero ad uso fare sulla parte coperta del muro, al fianco del letto.
    Non volevo che mio padre le vedesse, al tempo. Erano le uniche parole che sapevo scrivere correttamente;“Mi dispiace….Non è colpa mia...Ti odio…”
    Il dolore che avevo nel cuore si fece così forte da evitarmi quasi il pensiero. Senza neanche accorgermene, mi ritrovai a passare una rozza mano da corrotto su quelle linee di pensiero disperate nel mentre che ponevo il balocco al sicuro nella scarsella. Il mio essere...riassunto in otto parole.
    Feci uno sforzo immane per soffocare i ricordi, somatizzando il tutto con uno strozzato gorgoglio e le mandibole tanto serrate da evidenziare vene e tendini sul mio collo.
    Lesto mi levai ed uscii da quel luogo con il desiderio di dare tutto alle fiamme appena mi fosse passata quella sgradevole sensazione di dolore, malinconia e disperazione.
    Nell’attesa del mietitore, passai minuti infiniti nel silenzio, uccidendo selettivamente quelle reminiscenze dannose, per tornare all’obbiettivo. L’umanità non faceva per me, ora c’era solo la Cattedrale del Sangue, il Magister, i miei Fratelli e il Clan.



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    Rimasi quasi estasiato alla vista delle trasformazione che subì il corpo corrotto di quel vampiro mezzosangue, dove prima v'era il servo del senzacuore ora centinaia di piccoli uccellini rossi di cui ignoravo la specie fluttuavano leggiadri nell'aria, una marea cremisi che ricordava un boccale di sangue violentemente agitato da un vampiro digiuno da molti secoli.
    Mi chiesi successivamente come potesse una creatura così tremenda produrre uno spettacolo così affascinante, nella mia arroganza non mi ero reso conto di quali e quanti segreti quella terra celasse.

    Il regno spettrale mi accolse ancora una volta, le urla e i lamenti delle anime prave tormentarono il mio udito così come era sempre stato dalla mia resurrezione.
    Forse un giorno sarei riuscito a slegarmi dalla sua egemonia riconquistando il mio posto nel mondo dei vivi nonostante il mio aspetto.
    Giunsi presto ad uno dei luoghi più infami di Nosgoth, nonché culla della mia seconda rinascita: Il lago dei morti. Non era cambiato molto dal mio ritorno, l'incessante vorticare dell'abisso, ultima visione per molti vampiri tranne per il primogenito e me. I miei pensieri andarono a quella creatura leggendaria, molti mietitori fregiavano Raziel di un eroismo che forse non gli apparteneva e neppure aveva cercato, egli desiderava come tutti noi un destino migliore, fu poi un caso che il suo fato avesse il potere di influenzare Nosgoth, ed ora egli dimorava nella spada, aveva fallito, non era stato abbastanza lungimirante da evitare quel destino o forse lo era stato troppo per voler continuare a far girare la sua personale moneta.Mi misi a carponi sul bordo di quel ricettacolo di morte travestito da gorgo incessante e cominciai a ricordare.
    La cattura, gli insulti e l'esecuzione, morto come il codardo che non ero, come a seguire un'elegante sceneggiatura, cosa aveva provato il primogenito prima e dopo esser stato scagliato tra le fiamme bianche? Rabbia? senso di rivalsa? Pace?
    O forse tutte e tre? Io non lo ricordavo. Una fitta dolorosa mi pervase la mente, ricordare è sempre più penoso che dimenticare.
    Mi presi le testa tra le mani pensando ancora una volta ai recenti avvenimenti che avevano accompagnato la mia lotta nelle file dell'alleanza, all'apparenza così insensati.
    Starghol era la chiave del mio destino e quel concetto ormai, per quanto terribile fosse, stavo cominciando a poco a poco ad assimilarlo, ma il sarafan? Che ruolo poteva mai avere in tutto ciò?
    Battei entrambi i pugni sul terreno per la frustrazione. Perchè nonostante fossi slegato dalla ruota ancora non avevo presa sul destino?
    La frustrazione si trasformò in odio e l'odio in rabbia, avevo pianto dopo il ritorno del mio boia paterno o almeno la pioggia lo aveva fatto sembrare, che gesto idiota, da deboli e pusillanimi. Mai più, non avrei più sofferto per colpa sua, il mio dolore lo avrei modellato e riprodotto come la rabbia più crudele e funesta che si possa provare, una rabbia che avrebbe abbattuto tutti coloro che si sarebbero messi sul mio cammino, ero pur sempre un turelhim per Kain!.
    Urlai il mio odio verso le anime che infestavano quel luogo d'ombre ed esse fuggirono spaventate.

    Ripresi il mio viaggio con il cuore più leggero e il passo più svelto, anche se non avevo alcuna intenzione di assecondare la fretta del vampiro, inconsciamente, non potevo che provare eccitazione. Avrei nuovamente percorso le vie del mio clan e incontrato i suoi figli, per poi dare le loro anime in pasto alla ruota.

    Finalmente, dopo aver evitato mandrie di sluagh troppo codarde per dare la caccia a un bestione come me, giunsi al limitare della foresta.
    E prima che potessi anche solo tentare di cercare un portale, qualcosa di viscido e polpiforme fluttuò sopra la mia testa. Un arconte, un predatore maggiore del regno spettrale, antichi servi dell’anziano dio che ora vagavano liberi per le terre aride. Un avversario forse ancora troppo al di sopra delle mie possibilità ma come avevo promesso sull’orlo dell’abisso, chiunque mi avesse intralciato avrebbe assaporato la mia lama. L’arconte fluttuava tranquillo, apparentemente disinteressato, ed io proseguii il mio cammino verso il punto d’incontro che ora scorgevo in lontananza. Ma la volontà famelica della creatura abissale prevalse e in un guizzo rapace fu sopra di me pronta a ghermirmi, con i suoi tentacoli e le sue chele. Evitai per un soffio una tenaglia grazie ai miei riflessi uditivi, balzai di lato sguainando la mietitrice che ardeva di luce smeraldina, bramava come il suo possessore di lacerare le spettrali carni dell’arconte e non l’avrei delusa, intanto l’abissale sibilava innervosito per non esser riuscito ad abbrancare la sua preda. Vari colpi cinetici gli arrivarono in pieno viso, ma l’unico risultato che otteni fu quello di farlo innervosire ancor di più, cominciò a caricarmi a testa bassa sfruttando l’enorme testa coperta da uno spesso carapace, ma riuscii ad evitare la carica saltando sopra di lui e assestandogli un violento affondo di mietitrice per poi sfruttare lo slancio e ricadere al suolo. Girandomi per affrontarlo nuovamente notai che il colpo non lo aveva minimamente impensierito o così pareva essere e mi fu nuovamente addosso, con della bava spettrale che fuoriusciva copiosa dalla sua bocca deforme di crostaceo. Stavolta non riuscii ad evitare che mi bloccasse con le sue chele; mi stritolavano la schiena con forza prorompente e lentamente un fascio di energia fuoriuscii dalle ferite che le tenaglie seghettate mi stavano provocando. Sentii venire meno le mie forze e cominciai a sferzare di colpi quelle macchine mortali rivestite di dura chitina, inutilmente.
    Nonostante il dolore e la paura per il dissolvimento, intuii il punto debole di quella creatura, il volto non era protetto dalla corazza e quindi raccolsi tutte le forze e scagliai una lancia cinetica dritta nelle fauci dell’abissale.
    Come avevo previsto mollò la presa sibilando e gorgogliando, trafissi il sottile strato di carapace che aveva sul torace con la lama smeraldina.
    quella mossa risultò vincente ma la bestia non era affatto sconfitta, solo temporaneamente tramortita.
    Cominciai a zoppicare verso il portale aspettando che le terre aride curassero le mie ferite, col tempo e pregando che lo facessero prima che anche il mostro attingesse energia da quel regno.
    Il familiare vorticare del passaggio per il regno materiale mi rassicurò un po’ mentre in lontananza scorgevo l’arconte che mi aveva individuato per riprendere la sua carica assassina, ma mezzo secondo prima che potesse agguantarmi con le sue chele deformi riuscii a proiettarmi nel regno materiale lasciando la creatura con un palmo di naso.

    Il vampiro non aveva mentito, l’abitazione era davvero cenciosa, diroccata oltre ogni dire, esplorai gli interni con i miei sensi sviluppati prima di penetrarvi e notai la figura del vampiro riversa al suolo intenta ad armeggiare con qualcosa.
    Feci per entrare ma il vampiro mi precedette uscendo dall’abitazione con un’espressione più nera del solito.
    La domanda che gli porsi poco dopo fu quasi automatica.

    “Come mai hai scelto questo luogo?”
    Il colosso di carne marcia mi semi folgorò con uno sguardo, quegli osceni occhi dal taglio caprino erano colmi di un sentimento così pressante che feci fatica a riconoscerlo come presente in quel gigante di ferro: dolore.
    Si fermò a pochi passi da me, eravamo entrambi abbastanza alti da poterci guardare negli occhi senza dover storcere il collo.
    Il volto era gelido, inespressivo, ma la sua fisicità era assai più loquace. I muscoli tesi, le mandibole serrate, le vene pulsanti come serpi nel sottobosco.
    Aveva tutte le sembianze di un uomo pronto a spaccarmi la testa in due ma non lo fece;

    “Kaneel Ombra di Turelhim...MI HAI FATTO ATTENDERE!” ruggì nella mia mente così forte da farmi male, poi continuò con tono gelido, da maestro di scuola deluso e adirato;
    “Il tempo...è tiranno...
    Non ho tempo….da sprecare...dietro alla tua...stoltaggine...e nemmeno tu.
    Ogni secondo...che passa...i villaggi cadono...sotto i colpi dei tuoi consanguinei...e la missione ...si compromette….Mediocre...”
    Le parole che pronunciò per apostrofare il mio sedicente ritardo furono dure e ingiuste.

    Ancora una volta non aveva dimostrato il benché minimo rispetto per la mia persona nemmeno sapendo che gli ero alleato, quella stolta parodia di un dumahim nonostante la sua forza e la sua esperienza non aveva ancora compreso che un immortale spettrale ha tutto il tempo che desidera per questioni di così poco conto, stavolta sarei stato molto meno diplomatico.

    “Imbecille di un mezzo sangue, inutile che tenti di vestire i panni di una creatura virtuosa dedita alla causa dell’alleanza, il tuo aspetto e i tuoi modi di fare parlano per te, o dovrei forse credere che un vampiro si preoccupa davvero per la sorte di qualche villico che non esiterebbe a impiccarti sull’albero più vicino se ne avesse l’occasione.” Con gli occhi ridotti a due fessure luminescenti e la voce più simile ad un brontolio rabbioso com’era successo in precedenza continuai.

    “Il tempo nelle terre aride passa molto più lentamente dunque non avrai atteso più di una ventina di minuti, se il tuo astio nei miei confronti è dovuto a ragioni personali tienitele per te o fammi il piacere di decapitarti da solo e di non causarmi problemi.”
    “Credi a questo...spirito demente...” sussurrò nella mia mente con echi furiosi e vogliosi di sangue. L’ascia di nero metallo, rimasta silente fino a quel momento, si accese divampando di fiamme d’inferno.
    “...Il Cavaliere di Ferro...non ha mai fallito un’impresa….e non intende cominciare adesso.
    Fratello Asgarath ...Dama bianca...spiegarono...la vostra natura. So bene...come funziona...il vostro teatrino. Lavorato...con entrambi..più utili..ed efficienti di te.
    Non darmi...motivi in più...per riportarti a pezzi...alla tua Cattedrale….e denunciarti...per insubordinazione…Ora muovi quelle quattro ossa...e tappati la bocca.
    Abbiamo ...da fare.”
    detto ciò, mi passò affianco senza il ben che minimo rispetto e si avventurò nella boscaglia a passo lento.
    Dunque era davvero quello il vero motivo della sua fretta? Un immortale il cui più grande desiderio era quello di essere il primo della classe, mi sforzai di non ridergli in faccia.
    Fu anche perchè la sua scure nera come un incubo avvampò di fiamme voraci, intendeva forse fargli assaggiare il mio sangue? Doveva solo provarci e avrebbe scoperto un avversario più mordace di quanto si aspettava.
    Asgarath era un mietitore sicuramente più morigerato e fedele ai principi dell'alleanza del sottoscritto. Durante un incontro all’ombra delle antiche mura della fortezza del padre di quel vampiro scriteriato, m’aveva ragguardito sul passato tormentato di Samah'el. “Gli hanno fatto tante cose molto cattive” aveva detto, doveva forse importarmi? Tutti nell'alleanza avevano un passato tormentato ma non per questo ne facevano una scusa per schernire i propri compagni, un atteggiamento da codardi, e voleva pure denunciarmi per insubordinazione!
    Non riuscii a trattenere un risolino divertito, come se l'Alleanza fosse stato un organo militare e quali pezzi avrebbe mai potuto portare a Rekius? Pazzo e idiota, ma non avevo altra scelta che seguire quell’ammasso di ferraglia su gambe.



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    La foresta di Termogent era sempre stata un tabù fin da quando ne ho memoria.
    Si narravano storie atroci e crudeli su un vampiro secolare di nome Vorador e della sua depravazione, unica a Nosgoth. Le udii da umano e le studiai da vampiro ma alla fine il varcare i confini delle sue terre non mi diede alcun brivido. Ero troppo lusingato dal pensiero di avere per le mani la Maschera della Morte, ero pronto a tutto per averla, anche vestire i panni del salvatore di sub-creature a sangue caldo.
    I sacrifici vanno sempre compiuti con la testa alta e il cuore saldo.
    Il nostro incedere era silenzioso e mortale, ringrazia la Ruota per aver messo fine allo stoltiloquio di quell’orecchiuto ghoul troppo cresciuto. Non mi irritavano minimamente le sue parole, neanche le stavo ascoltando. L’unica cosa che mi premeva era portare a termine il compito prima del sorgere del giorno.
    Mi guardai intorno, l’intricata vegetazione di quel luogo era tanto fitta che quasi mi sembrava avere il potere di zittire il canto degli uccelli notturni. Vecchia e venerabile foresta di Termogent...quanto ti odio.
    Con la coda nell’occhio, vidi il mio compagno di guardia alzare la testa e muovere le due mostruosità che aveva per orecchie, come se avesse udito un suono fuori dalla mia portata.
    Puntai lo sguardo dove i luminescenti occhi si erano fissati e vidi delle luci in lontananza. Pian piano che ci avvicinammo, alle luci si sommarono le grida distorte di umani in fuga e ruggiti amorfi.
    Trassi ascia e scudo dai rispettivi foderi e un sorriso a denti stretti si fece largo tra l’austerità del mio volto deforme. Non dissi nulla alla mia “spalla” e mossi i primi passi verso l’obbiettivo ma la voce taciturna di quel mietitore logorroico stridette nelle mie orecchie ancora una volta;

    “Aspetta, dove diavolo vai. Non ti hanno insegnato niente alla scuola per succhia sangue?
    Un po' di strategia non ci farà male. Lascia che li attiri verso di noi, ne ho facoltà e ci renderebbe il lavoro più facile.”

    Come un barbaro interrotto nel bel mezzo dell’assalto, mi voltai con gli occhi sgranati e lo sguardo di un massacratore furente;

    “...Codardo...” gli sussurrai nella mente “Quei bastardi...mortali...devono sapere...chi li ha salvati.
    Devono capire...cosa e come….la Cattedrale del Sangue agisce…
    Devono comprendere...quanto stupidi sono stati...nel mettersi contro di noi.
    Se vuoi fare il ragno….fallo pure.
    Io non sono... flaccido insetto...Io sono nato lupo.”


    Glie lo lessi in volto; dargli del codardo aveva infranto più muri nel suo orgoglio di quanti ne avrei mai potuti sfondare a colpi d’ascia. Kaneel mi aveva offerto un'altra opzione, meno pericolosa e troppo ragionata, ma gli avevo sputato in faccia, usando l'unica parola che avrebbe veramente potuto provocare nel turelhim abissale una reazione emotiva incontrollata; codardo...
    Dentro di lui si accese una fiamma sopita e ancora una volta era stato un dumahim a far avvampare quelle braci, sentì i martelli dell'arena battere ad un ritmo cadenzato e prorompente e la furia della sua genia crescere, non era più Kaneel il mietitore, ora era Kaneel il turelhim e la sua gloriosa discendenza aveva sopportato abbastanza angherie.
    Basta menzogne, basta repressione, era tempo di combattere, era tempo di morire.
    Finalmente si era ricordato a quale Clan appartenesse.
    Con un sibilo furente, osò afferrarmi il collo con una mano e rilasciare la mietitrice nell’altra….mi aveva toccato...nessuno può farlo.

    Alle porte del villaggio, le povere pecore umane fuggivano da tutte le parti mentre i Turelhim sfoltivano quello spaurito gregge. Uno di loro aveva inseguito una donna ferita ad una gamba che si trascinava atterrita via dalle sue grinfie fin ai confini della boscaglia.
    Tutto si aspettava tranne vedersi lanciato addosso un mietitore Turelhim, scagliato di peso per mia mano da oltre gli alberi come un macigno di catapulta.
    Un confratello che aveva assistito alla scena diede l’allarme ai propri pari;
    “ALLA PUGNA,FRATELLI! abbiamo un mietitore da spolpare!”

    Dal canto suo, Kaneel non si era perso in chiacchiere ed era balzato agilmente in piedi per poi aggredire di violenza il corrotto con colpi furiosi e rabbia divampante. Il secondo Turelhim era pronto a fargli la festa ma si ritrovò in terra a molti metri di distanza dopo aver ricevuto una pesante carica portata di scudo da Hellgate.
    non gli diedi il tempo di rialzarsi che subito lo menai di un colpo d’ascia che avrebbe potuto spezzargli il cranio in due se non fosse stato per una agile manovra evasiva.
    I Turelhim non erano mai stati avversari semplici da abbattere ma almeno erano ciechi e stupidi, potevo sfruttare questa debolezza per renderne l’anima alla Ruota.
    Il colosso innanzi a me attaccò con gli artigli sguainati ma nulla poterono contro l’imperturbabilità del mio scudo torre. Arrivò a balzare e tirarmi un calcio a sfondamento con i pesanti arti caprini, così violento da farmi retrocedere nonostante le gambe fossero salde in terra.
    A quell’attacco feci seguire una seconda botta di scudo che lo fece arretrare quel tanto che bastava per scoprirmi e colpirlo con una brutale e feroce scarica di colpi, resi potenti e voraci dall’utilizzo dei miei Doni Oscuri.
    Le fiamme di Void danzavano in una elegante scia di infernale furia. Lo colpirono ripetutamente finché anche la carne dura di quel Clan secondogenito non cominciò ad ardere sempre più. La riottosità del mio nemico era pari alla mia ma lo rimisi al suo posto dopo avergli scaricato un pugno con la mano che stringeva il manico, dritto sul muso. Il colpo stordente lo tramortì, lasciandolo totalmente inerme e confuso. Un rovescio furioso e la sua testa salutò il caro collo.

    Dietro di me, Kaneel era avvinghiato in un corpo a corpo violento e senza quartiere. Il Turehlim su cui lo avevo scaraventato era vittima della sua lama fantasma ma da parte sua aveva l’innaturale dono telecinetico che più volte cercò di adoperare per poter abbattere il proprio nemico.
    Lo spettrale vampiro aveva la mente annebbiata da pensieri omicidi, non si accorse nemmeno che il suo avversario aveva cambiato aspetto trasformandosi da me a un turelhim in caccia.
    Poco importava comunque, ormai la molla era scattata e presto quel vampiro sarebbe statao carne morta. Rapide stoccate di mietitrice raggiunsero gli arti del turelhim che maldestramente cercò di parare, confuso dalla natura mistica di quell'arma spettrale. Tentò un affondo con le sue mani trifide ma Kaneel si mosse rapidamente verso di lui, afferrandogli il braccio assassino con il suo e tirandolo per terra dove ad attenderlo ci fu una ginocchiata sui denti. Frastornato ma non debilitato quanto sperasse il mietitore, il corrotto cominciò a lanciare potenti proiettili telecinetici molto serrati, Kaneel fu costretto a balzare a terra e sfruttò quella posizione per scagliare una lancia telecinetica sul ginocchio destro del turelhim, trafiggendogli la giuntura da parte a parte. Il corrotto costretto a carponi venne attirato dalla cinesi della sua controparte spettrale che evocò la mietitrice pronto a impalarlo ma sorprendentemente riuscì a scagliare un proiettile addosso al mietitore che lo fece indietreggiare spezzando la presa, ancora a terra e dolorante però non si accorse che l'abissale gli fu presto addosso e la mietitrice di fuoco, crepitante e famelica di quest'ultimò ghermì le carni della mano che il vampiro aveva sollevato per difendersi. L'arto carbonizzato ma non completamente distrutto cominciò una lenta e forzata guarigione, troppo lenta però, perché Kaneel lo trafisse al petto con la mietitrice che lentamente gli stava ustionando le carni e lo sollevò di qualche centimetro da terra e con un calcio lo sfilò dalla lama, prese il turelhim per le orecchie e gli mise uno zoccolo in faccia cominciando a strattonare facendo leva sul volto del vampiro, in breve l’apparato uditivo venne eradicato dalla testa del suo possessore, ne conseguì un terribile urlo di dolore.

    Il suo avversario era assai temibile per un Novizio ma riusciva a tenergli testa egregiamente. Vedere in lui il sangue di Turel mi fece apprezzare lievemente di più la sua figura...se solo fosse stato meno idiota, mietitore e indottrinato, probabilmente sarebbe potuto essere un grande Turelhim.
    Il corrotto martoriato, venne raggiunto da un colpo di mietitrice sul petto che lo mise a pancia all'aria, Kaneel gli fu nuovamente addosso e con una crudeltà che fino ad ora non sembrava potesse essere sua, infilò gli artigli negli occhi del vampiro, che esplosero come polpettine di gelatina calda sotto la pressione delle affilate falangi. Sapendosi vittorioso, il mietitore cominciò a sbattere il cranio del vampiro sul terreno facendo presa sulle sue orbite vuote finché non si ruppe, spargendo sangue e pezzi di materia grigia per terra. Il vincitore strinse i pugni e si fregiò il volto con il sangue corrotto della sua vittima, ruggendo ai quattro venti la sua vittoria.

    Sbuffai aria con fare taurino prima di voltarmi nuovamente per verificare la presenza di altri nemici quando sentii qualcosa afferrarmi. Una morsa invisibile che pretendeva di trascinarmi nella direzione del mietitore: l’ira per averlo offeso non si era ancora spenta.
    Meglio così, ero pronto a farlo...ragionare.
    Ebbi il tempo di voltarmi mentre ero ancora in volo, balzai per rendergli il tutto più facile.
    Kaneel era pronto a colpirmi con la famelica mietitrice ma si ritrovò a dover fare i conti con l’Alleanza. Lo stemma dell’unione delle due Cattedrali che avevo inciso sullo scudo appiattì il volto, non dovetti neanche caricare il colpo: aveva fatto tutto da solo, io mi ero limitato a chiudergli la porta in faccia.
    La botta di scudo auto procuratasi nel tentativo di nuocermi lo mandò a gambe all’aria mentre io atterrai pesantemente a poca distanza da lui ma non gli diedi tempo di rialzarsi. Gli piantai uno stivale sul costato e lo tenni puntellato a terra usando tutto il mio peso e la mia forza di cavaliere, udii le sue fragili ossa di mietitore stridere sotto tanta autoritaria brutalità...Che sinfonia.
    L’ascia in fiamme vorticò come un turbine d‘inferi, seguita da un ruggito guerriero tanto forte da sfondargli i timpani. Calai un fendente violento dritto sul volto del mietitore ma lo fermai a scarso un pollice dal volto prima di sussurrargli in cranio poche parole di ammonimento;

    “Prossima volta...non sarò così clemente…” Questo è ciò che merita chi osa sfidare un Cavaliere.

    L’avergli evitato un viaggio nel regno spettrale era stata cosa fin troppo gentile da parte mia. Mi stavo rammollendo con le nuove leve.

    Cautamente, lo lasciai libero di rialzarsi, tenendo lo scudo alto e l’ascia in fiamme sempre puntata su di lui. Nel mentre che il nostro diverbio era andato avanti, i popolani avevano tentato di spegnere i numerosi incendi appiccati dai Turelhim e assistere i feriti.
    I nostri occhi erano paralizzati in uno sguardo di sfida, il riverbero delle fiamme lontane dava luce al volto furente di Kaneel e al mio;

    “Abbiamo un lavoro….da fare. Non farmi...perdere tempo.” sussurrai prima di posare Void al suo posto e correre nella foresta.

    I villaggi erano più di uno e i Turelhim si sarebbero presto accorti della mancanza di due loro compari.
    Dovevamo muoverci o tutto sarebbe andato in fumo.



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    La furia assassina che aveva impossessato la mia mente non si era placata proprio per nulla, ma le ragioni del vampiro avevano prevalso, riportandomi alla realtà dei fatti, una realtà che mi aveva visto perdere il controllo e trasformarmi in una di quelle bestie che avevo distrutto poc'anzi e di cui ora mi ero nutrito. Possibile che non potessi sfuggire al mio retaggio?
    Non potevo cedere a quella verità o sarei caduto preda dei miei demoni interiori, tuttavia, Samah'el avrebbe dovuto capire che non sarei più riuscito a trattenermi se non avesse frenato la sua orrida lingua.
    Gocce di sangue caldo caddero su quelle mani da selvaggio fratricida, serrai i pugni con quanta forza avevo in corpo fino a mischiare il mio sangue spettrale con quello del corrotto. Questo ero, un turelhim intrappolato nel corpo di un fantasma alla ricerca di una parvenza di umanità... che ipocrisia, solo ora me ne rendevo conto ma la furia della battaglia appianò quei pensieri che in tempo di pace mi avrebbero distrutto.
    Mi rialzai decisamente frastornato per l’urlo mentale del dumahim e raggiunsi il vampiro in silenzio mentre la mia mente e il mio corpo ancora tentavano di farmi attaccare il mio detestato alleato, per ora avrei placato quegli istinti così invitanti, per ora.
    Il villaggio in fiamme era preda facile per altri tre miei simili che banchettavano gioiosamente con le tenere carni dei villici terrorizzati e impotenti. Non rimaneva altro da fare che affrontarli a viso aperto e sperare che non giungessero rinforzi. Guardai il mezzosangue negli occhi caprini.Voleva il sangue? Voleva caricare i nemici come un lupo troppo affamato alla vista di un cervo malato? Bene, questa volta non lo avrei disatteso.
    Con un poderoso balzo superai il dumahim corazzato e mi portai dietro un turelhim con le mani impegnate a stritolare un contadino, gli misi un braccio intorno al collo e lo trafissi con la mietitrice, crollammo a terra entrambi, mentre la lama fantasma si nutriva delle sue carni e il suo corpo mi faceva da scudo contro i proiettili telecinetici dei suoi due compagni.

    A poco più di un capello dalla mia testa vidi un composto di fiamme e acciaio nero roteare e passare oltre per poi piantarsi dritto nel torace di un mio consanguineo. Il passo pesante del dumahim in carica sembrava quello di un rinoceronte infuriato. Mi passò affianco senza quasi vedermi e poi balzò,come una furia impazzita, sfondando la faccia del secondo turelim con una botta di scudo.
    L’ascia del cavaliere era ancora conficcata nelle carni del corrotto, lontana dal suo padrone, eppure, continuava ad ardere le carni della vittima finché questa non se la strappò di dosso con il massimo dolore e la lanciò che ancora ne bruciava le mani dritta contro il cavaliere.
    Come fosse stato un gesto gradito, Samah’el afferrò la gola del Turelihm con ambo le mani e lo spostò di peso sulla traiettoria dell’ascia. Un fiotto di sangue fece da vermiglio preludio per la sinfonia di urla di dolore che emise il Turelhim una volta che Void gli si conficcò nella schiena.
    Da li partì uno degli spettacoli più cruenti che avessi mai visto. Afferrato per le spalle, Samah’el Khan sollevò di peso il corrotto per poi batterlo di schiena in terra con così tanta barbarie da far uscire la lama in fiamme dell’ascia, conficcata in precedenza nella schiena, dal torace.
    Non diede tempo al corrotto di soffrire come si deve che lo scudo torre cadde a ghigliottina sul capo del cieco corrotto, spezzandogli il cranio a metà.

    L’altro turelhim ustionato non si perse d’animo e scagliò un violento colpo telecinetico al dumahim che lo infranse con un pugno ricoperto di energia rossastra e potente, tanto forte da distruggere le rocce. Nuovamente, il turelhim attaccò una, due, tre volte, indietreggiando ma il Cavaliere di Ferro avanzava, sbarazzandosi di quei costrutti telecinetici con l’uso dei proprio Doni Oscuri. La sua marcia si fermò solo quando il corrotto decise di attaccare con una violenta sequenza di artigliate,un occasione di pugna che Samah’el Khan non si fece di certo sfuggire. Prima che me ne potessi rendere conto, i due si stavano letteralmente sbranando come bestie impazzite a colpi di morsi, artigli, frustate tirate con la lingua dentata e disgustosa, calci e capocciate. Due barbari in ira, sgraziati e brutali.
    Come poteva non tornarmi alla mente il combattimento nella grotta dell’alchimista rahabim, Anche in quell'occasione fui testimone di un violento scontro fisico tra due belve assetate di morte, turelhim e dumahim, la differenza stava nei suoi protagonisti.
    Rimasi a guardare quella lotta serrata, Samah'el era davvero un guerriero perfetto, abile con le lame tanto quanto nel corpo a corpo disarmato ma nemmeno il turelhim era da meno, la naturale forza ereditata dal nostro capo clan faceva si che ogni colpo fosse una valanga di sassi.
    Il corrotto purosangue che avevo avvinghiato spirò, esalando l'anima dal suo petto carbonizzato ed io me ne sbarazzai immediatamente, il corpo divenne cenere e la cenere venne trasportata lontano da caldo vento emanato dal rogo che imperversava nella cittadina.
    Quell’idiota di un dumahim non si era reso conto di esser caduto nella sua stessa rete di pensieri folli, stava perdendo tempo.

    Trassi a me il corrotto che mi dava le spalle mentre tentava di liberarsi dalla presa di Samah’el. La sua schiena coriacea fece conoscenza con un proiettile telecinetico appuntito che non ne interruppe il percorso, infine sfruttando lo slancio del turelhim lo afferrai per la testa a mezz’aria e trafiggendolo con la mietitrice lo scagliai in una delle case in fiamme.
    Mi assicurai che fosse morto ritraendolo con la telecinesi mentre tentava di artigliare il terreno per impedire che lo trascinassi, con la mietitrice famelica e crepitante, colpii esattamente dove la mortale Void aveva lasciato il solco sulla carne del vampiro e finalmente raggiunsi il cuore del corrotto, cuocendolo dall’interno.
    Mi voltai verso Samah’el che solerte si era messo ai a banchettare con il villico stritolato;

    “Stavi perdendo tempo con quel vampiro, pensavo non fossi il tipo che fa questi giochetti.” lo apostrofai.
    Senza degnarmi di uno sguardo produsse un pensiero sardonico nella mia mente;
    “Due ne ho affrontati...ci ho messo meno di te...Chi perde...tempo?
    Se non lo avessi ammorbidito...non saresti riuscito... a combinare nulla.”

    Ritrassi la mietitrice e divorai l’anima del corrotto appena ucciso;
    “Come no…”
    Ebbene era giunto il momento di affrontare il capo di quegli sciacalli, dentro l’intricata foresta nera Sokorth attendeva il suo fato e tra le urla dei civili e le fiamme delle loro abitazioni ci dirigemmo verso l’ultima tappa di quella mortale avventura.

    Per un momento, vidi il cavaliere con ancora le fauci lorde di sangue fermarsi e guardare in basso, assorto in chissà quali folli pensieri. Si chinò per toccare quella che sembrava essere un’orma lasciata dagli assalitori del villaggio. Passò le dita artigliate su quell’impronta e l’annusò come farebbe una fiera in caccia. Lesto mi tirò uno sguardo tagliente ma illuminato, e poi...successe.
    In un mugolio sofferente, Samah'el si lasciò cadere sulle ginocchia; palme a terra, fronte posata sul terreno, schiena fortemente inarcata verso l'esterno, quasi la colonna vertebrale gli volesse uscire dal corpo. Uniti ai lamenti afoni e dall’ orchestrale accompagnamento di ossa in riposizionamento, carne,muscoli e tendini mutarono; allungandosi e spezzandosi, contraendosi e degenerando in una forma quadrupede, corrotta e decadente. Dai carpi anteriori dell'animale uscirono grosse porzioni di metallo, tre falci acuminate per zampa, tenute strette dalle bende lorde di terra e sangue.
    Sul viso orrendamente sfigurato si generò una specie di maschera a memento del volto corrotto di Víðarr, le lastre di nero metallo sembrarono generarsi direttamente dalle ossa dello splancnocranio. Rune antiche si fecero strada come tagli nella carne, prendendo di colore e incandescenza similari a quelle incise sulla lama di Void, l'ascia lavica del dumahim che aveva ripreso con se insieme allo scudo prima di rimettersi in viaggio. L'immane sforzo fisico e l'estremo dolore vennero espressi con un sinistro ululato grottescamente distorto dalla copertura in metallo intorno al capo di una creatura più incubo che lupo.
    Era la seconda volta che assistevo ad un trasformazione di quel vampiro pieno di sorprese e follia, ma se la prima ai miei occhi fu quasi celestiale, la creatura che ora si era palesata davanti a me rispecchiava perfettamente l’animo contorto di quell’essere. Intuii che quella forma quadrupede avrebbe rintracciato gli sciacalli turelhim anche nel folto della foresta ma se il dumahim aveva bisogno di martoriare il suo corpo in siffatto modo per riuscirci io d’altro canto disponevo di abilità innate che mi avrebbero permesso di non farmi superare da quell’orrida fiera demoniaca.

    Penetrammo nel sottobosco alla cerca dei vampiri come due segugi da caccia lanciati all’inseguimento di una lepre; nonostante la foresta fosse pregna di suoni e odori pungenti uno fra tutti dominava: quello del sangue. Finalmente, dopo aver percorso molti metri cominciammo a scorgere qualche rudere coperto da rampicanti, segno inequivocabile che l’avamposto era vicino.
    Se davvero dei fantasmi turelhim infestavano quel luogo, avrei voluto parlare con loro prima di consegnarli alla ruota, egoisticamente avevo bisogno di sapere che il mio tentativo di discostarmi dalla bestialità del mio clan non era vano e che la mia morale e forza di volontà era superiore alla loro ma per farlo avrei dovuto abbandonare Samah’el contro un manipolo di turelhim: poco male, l’importante era la maschera e se quel vampiro fosse morto nel tentativo di recuperarla sarebbe stato un bonus e forse molti avrebbero gioito tra le fila dell’alleanza, magari il vampiro avrebbe avuto la decenza di ammazzare Sokorth prima di raggiungermi nello spectral.
    Mi voltai verso il demone canino;
    “Tornerò.” Poi il mondo assunse toni smorti e distorti e il lamento delle anime tornò ad essere l’unico suono udibile.

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    “Tornerò” sibilò prima di sparire nel regno spettrale. Non mi diede il tempo di rispondere nulla ed era già sprofondato nel regno dei morti.
    La Ruota e tutta Nosgoth dovettero benedire le mie sembianze di metalupo al momento perché se fossi stato nelle mie normali sembianze avrei tirato tante di quelle bestemmie che due alti prelati dei Saraphan sarebbero morti sul colpo.
    Tornerò...Cosa diavolo voleva dire tornerò!
    Che perditempo intollerabile!
    Mi feci un preciso appunto mentale; prendere il Gelido da parte e fargli una lavata di capo che poteva solo immaginarsela. Con chi aveva osato mettermi in compagnia, quella sottospecie di cadavere congelato. Che sono, una balia?
    Ruggii al vento la mia rabbia prima di scuotere il capo e scrollarmi di dosso l’umidità dal pelo cremisi.
    Voleva fare di testa sua? Tanto meglio così. Io lavoro meglio da solo.

    Tornai con il naso ferino in terra, annusando avidamente la scia odorosa che quei turelhim avevano lasciato nel loro avanzare. A ritroso seguii quel fetore, tenendo sempre gli occhi e le orecchie bene in allerta. Proseguii in solitaria, gli alberi e le rocce cambiarono gradatamente in vecchi scheletri di roccaforti e mura ciclopiche coperte d’edera.
    L’incedere del tempo era stato spaventosamente crudele con quella vecchia gloria.La fortezza doveva essere grande tanto quanto la Cittadella delle Ceneri in origine, eppure, ora giaceva come cadavere glorioso di templare mezzo divorato da ratti e corvi famelici.
    Ciò che la natura da, la natura si riprende senza fare sconti.

    Un rumore sospetto misero in allerta i miei sensi da metalupo, amplificati dalla natura ferale e dal mio naturale essere sospettoso. Un sommesso bofonchiare e un lieve lamento gorgogliante mi diedero validi motivi per accucciarmi dietro una cinta muraria ed attendere, nel silenzio. Due Turelhim avanzavano di pattuglia, forse due guardie scelte per un futuro avamposto conclamato. Erano intenti a scambiarsi assurdi convenevoli e stolte chiacchiere, inutile fermarsi ad ascoltarle. Avevo troppa fretta di verificare ciò che la mia distorta mente aveva ponderato fino a quel momento: se erano davvero intenti a riallacciare i contatti con il vecchio mondo, probabilmente sarebbero stati più che disposti al dialogo con un Dumahim del mio lignaggio.
    La via diplomatica non era mai stato il mio forte ma l’esperienza con Lady Sanchez mi aveva dato parecchi spunti, anche in passato. Fu strana e disordinata quella riflessione ma, guardando indietro, devo parecchio a quella ninfetta.

    Sgusciai silenzioso e schivo, i cuscinetti delle zampe erano assai utili per attutire i rumori causati dal mio incedere. Riuscii a penetrare senza troppi guai all’interno del nucleo principale della fortezza.
    Guardarla dall’interno non avrebbe reso giustizia a quel sito di storia vampira.
    Appena mi fu possibile, riacquistai le mie umanoidi sembianze. Risvegliai le articolazioni producendo dei sonori schiocchi di ossa che si stirano per poi uscire allo scoperto, alla luce della luna.
    Non ci volle molto prima che il mio sottile olfatto captasse l’odore di morte e sangue e che le sensibili orecchie udissero i ruggiti sommessi di cinque Turelhim, posizionati chi sulle mura, chi in un vecchio corridoio diroccato. Mi avevano accerchiato ma non li temevo.

    “Guarda un po' cosa ci ha portato la Ruota...Sei venuto nell’unico luogo in cui i viandanti non sono benvenuto, feccia fratricida.
    E ci sei arrivato, per giunta, con le tue gambe e allo scoperto…Il sangue del tuo Clan non mente, orgoglioso bastardo.”
    ragliò il più grosso del gruppo.

    Erano assai strani per essere dei Turelhim. Non sembravano affatto rimasugli cenciosi della stirpe decaduta del secondogenito, anzi. Vestivano armature rattoppate alla bene e meglio, forse sciacallate
    in precedenza nel Dark Eden. Alcuni di loro si fregiava dei sacri stemmi del clan di Turel. Era da riconoscergli un certo orgoglio, non mi dispiacevano affatto.
    Lo stormire di pensieri si concentrò i tutte le loro menti, feci non poca fatica a mantenere il contatto con tute quelle entità. A stento riuscivo a comunicare con un singolo fratello senza flagellarlo di echi stordenti;

    “Il Sangue….chiama il Sangue. Ed io...non ti sono nemico...ma ospite.
    Rispetta...il tuo scudo gentilizio...e rispetta...il mio retaggio. Sono qui da Dumahim...non da boia.
    Mi presento a te...nel nome del sangue...e degli antichi fasti..di cui i nostri Clan godevano in passato.
    Il mio nome...Samah’el Khan...Bastione di Uschtenheim...Figlio di Veive...Sterminatrice di Razielim.”


    Quando la mia voce penetrò nei loro crani, molti di quei corrotti emisero un gutturale e sommesso ringhiare. Tutti tranne uno; colui che mi aveva apostrofato per primo, in probabile luogotenente e braccio destro di Sokorth;

    “Parli bene per essere un figlio di Dumah.
    La tua corruzione porta i fregi dell’antico sangue e il conoscere le usanze dell’Era dei Re ti rende onore, vampiro.
    Questo però, non spiega il perché tu sia giunto sino a noi, e se sei così folle da sperare in una rappacificazione tra il nostro ordine e la tua compagnia, ti sbagli di grosso.”

    “Non chiedo...pace...ma neanche guerra. Quel che chiedo...è un incontro...con il Profeta dei Morti.”


    Nel mentre che dialogavamo, i Turelhim rimasti stringevano il cerchio. Potevo sentire i loro occhi ciechi su di me e le loro possenti carcasse avanzare sempre di più;

    “I tuoi modi sono cortesi...Nessuno della tua risma si è mai scomodato a trattarci come esseri dotati di intelletto. Per lo più, ci caricano a testa bassa…
    Hai detto di essere figlio di una Sterminatrice di Razielim...Il tuo lignaggio è senza dubbio antico, se dici il vero.”

    “Possa...la Ruota stritolarmi...tra i suoi ingranaggi...se queste mie parole..non sono verità.”
    “E sia. Sarà la Ruota e le nostre zanne a farti da carnefice se alzerai un solo dito contro il Profeta che serviamo.”
    detto ciò, levò un artiglio verso l’alto nel mentre che emetteva sottili e impercettibili suoni, un alfabeto fatto di stridii che solo il clan Turelim poteva parlare.

    I corrotti presenti mi accerchiarono come se fossi stato un prigioniero particolarmente rispettato e mi scortarono verso l’interno della struttura, con a capo il razionale figuro che faceva gli onori di casa;

    “Il mio nome è Mardok CapoFerro, decimo figlio di Sokorth Voce dei Morti.”
    disse a mezza bocca mentre avanzava con passo pesante e sicuro, come se non fosse privo di vista “Conosco bene la tua nomea, Bastione. Ho avuto la possibilità di incrociare le tue vittime.”
    “Ne ero...certo...e ne sono...lusingato.
    sussurrai nella sua mente.
    “Dimmi cosa ti porta così lontano da casa e perché flagelli la tua stessa genia.”
    “Le mie ragioni...sono solo mie. Togliere la vita...a chi si fa beffe..di ciò che fu...il Clan un tempo...non è atto crudele...ma necessario.”
    “Credo di comprendo…
    è per evitare i senza mente del nostro Clan che siamo discesi dal Dark Eden per poterci al fine portare in questa sacra sede e ripristinare ciò che fu.”

    “Rispetto...il vostro credo.”

    Quelle parole fecero presa sul corrotto tanto da farlo voltare nella mia direzione e annuire impercettibilmente. Benedii la loro cecità che gli impedì di vedere gli stemmi dell’Alleanza ben scolpiti sul mio scudo.
    Il budello di corridoi sotterranei che una volta dovevano essere le segrete era buio come la mia anima. Non percepivo ne vedevo assolutamente nulla e fu solo grazie a quelle corpulenti guardie che riuscii ad evitare di sbattere la faccia contro il muro.
    Quando al fine arrivammo in una cisterna dall’ampio raggio, la luce della luna diede sollievo ai miei occhi stanchi di oscurità. La cupola sotterranea veniva illuminata da un pozzo all’apice della struttura, lasciando intravedere come quel gruppo di corrotti avevano arredato il loro covo.
    Al centro esatto vi era un’enorme trono composto di pietre e teschi umani, adagiato su una serie di cerchi in pietra sempre più piccoli che ne componevano i gradini. Sulle pareti in pietra corrosa dall’umidità vi erano stendardi del Clan di Turel e loculi per il riposo diurno. L’acqua era stata incanalata in piccoli solchi per evitare di bruciare le carni di quei corrotti. Ad ogni goccia che percolava dalle stalattiti, un suono armonico veniva prodotto, in un’incessante sinfonia lugubre e solenne. Davanti al gigantesco trono vi era un enorme tavolo di pietra ad arco e, seduto come un antico re barbaro, vi era colui che chiamavano Sokorth.
    I figli di Turel si inginocchiarono davanti a quel tiranno immoto, apostrofandolo con un epiteto che mi lasciò esterrefatto;
    “Gloria a te, Signora delle Voci. Madre Terribile e Figlia di Morlok.”

    Sokorth, un esemplare di corrotto davvero austero, nonostante la sua natura femminea, il che è tutto dire. Il corpo era coperto da una spessa armatura che la cingeva in ogni sua parte. Persino le gambe caprine erano munite di lastre d’acciaio corrotto e fregi del Clan di Turel. Posta sul capo, a monito eterno della sua importanza, la Maschera dei Morti faceva sfoggio di se alla luce della luna.
    Era un artefatto di indescrivibile bellezza, lavorato con maestria da abili artigiani trapassati. Ogni incisione, ogni incavo, sembrava essere stato creato con uno stampo preciso del volto di un Turelhim. Da oltre la maschera si vedevano le grandi orecchie color del legno, decorate da una fila di dorati orecchini e da piccole striature simili al manto di una lince delle nevi.
    I vermigli occhi rilucevano come rubini incastonati nella corona delle più temute regine oscure e i lunghi capelli erano bianchi come le nuvole.
    Con voce carica di impazienza e ben poca cortesia, apostrofò Mardok con poche parole;

    “CapoFerro...chi hai osato condurre nella nostra utopia, con cotanta tracotanza e senza il ben che minimo rispetto nei confronti del mio comando.”

    Il gigantesco turelhim si levò dalla sua posizione svantaggiata, senza mai guardarla negli occhi per timore della sua ira;
    “Mia signora...Colui che ora rappresenta il Clan di Dumah è Samah’el Khan, Bastione di Uschtenheim, Figlio di Veive, Sterminatrice di Razielim.
    Ha richiesto ufficialmente di potervi parlare, rispettando le usanze degli Grandi Re.”

    “E cosa ne sa un dumahim delle antiche usanze….”
    disse lei ruggendo sommessamente e levandosi dal suo scranno;
    “Sono stato educato...come un vero figlio del Clan.” le risposi nella mente, turbandone la quiete.
    “Mia Genitrice di Sangue...mi ha erudito...dopo la mia Agoghè...sui costumi...e i fasti...dell’antico Concilio. Conosco...come ci si presenta...ad una regina.” sussurrai in modo gelido ma rispettoso.

    Il capo della donna venne pervaso da un lieve ma percettibile brivido malsano, come se in quel momento stesse ascoltando qualcun' altro oltre che la mia sola voce.
    Poi, aprendo le braccia con fare solenne, parlò con tono da regina delle tenebre. La voce risuonò i tutta la stanza, amplificata dall’effetto di quelle antiche mura;
    “Siano benedetti i Morti e i Non Vivi qui presenti, che la Ruota ci ha donato una notte solenne. Qui tra noi abbiamo il figlio di Veive, Sterminatrice di Razielim, Spettro del Passato e figlia terzogenita di Dumah.
    Gli spiriti sanno chi sei, Samah’el Khan, Bastione di Uschtenheim.
    Sanno cosa hai fatto della tua non vita e che genere di percorso stai costruendo. Il tuo cammino sulla Ruota è come se fosse stato già scritto e solo i morti conoscono l’esito del tuo tentativo di epurazione.
    Con il loro benestare e la loro benevolenza, io ti do il benvenuto in questo luogo, figlio di Dumah.”


    Il potere di quell’artefatto mi sconvolse fin nelle fondamenta. I morti avevano dato la vista del passato glorioso di mia madre e del mio presente a quell’imperatrice cieca.
    Quale sconfinato potere giaceva in quel metallo cangiante...quanta conoscenza avrei potuto assimilare se solo l’avessi avuta tra le mani.
    Doveva essere mia, dovevo provarne il potere, a qualsiasi costo.



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    Quell’antica fortezza, memoria di un’epoca infranta tra le pieghe del tempo e retaggio del mio clan, anche se divorata dai rampicanti e distorta dal regno spettrale, trasudava ancora una certa dignità.
    Varcai le alte mura dell’avamposto accarezzando gli enormi ammassi di pietra che componevano la costruzione, quella struttura, nonostante appartenesse ad un’era rozza e indecorosa era riuscita a conservare almeno lo scheletro, lasciando intendere anche agli occhi meno esperti quanto fosse imponente all’epoca e quanto abili fossero le mani di coloro che l’avevano eretta per la gloria del patriarca, c’era qualcosa di familiare in quel luogo, forse un tempo anche io avevo percorso quei corridoi; un ondata di nostalgia mi travolse stringendomi il cuore in una morsa ferrea. Ancora una volta mi sorpresi per aver provato certi tumulti interiori alla vista di quei siti che da vampiro mi avevano tormentato tanto quanto da umano.
    Dovevo capire, dovevo sapere. Avanzai a passo lento verso il cortile esterno su cui era stato edificata un’imponente torre ormai diroccata e fatiscente, numerosi lamenti di anime infestavano quel luogo, tutti spiriti che nelle epoche passate erano stati eradicati dai loro corpi dalle crudeli mani di antichi e defunti turelhim, sicuramente altri se n’erano aggiunti di recente con la venuta di questo nuovo sotto clan. Erano proprio quegli antichi spiriti predatori che cercavo, loro avrebbero sicuramente dato un senso alla mia strenua resistenza contro la cieca ferocia che serpeggiava nella mente di ogni turelhim.
    Mentre attendevo di scorgere la figura di un vampiro d’anime ripensai al purulento succhiasangue che avevo abbandonato nel regno dei vivi.
    Era stato davvero un peccato non poter vedere la sua faccia contratta da lampi d’ira per la mia sparizione improvvisa, roba da spanciarsi per le risate o da farsela nelle braghe se non potevi fregiarti d’esser uno spirito immortale.
    Quella corrente di pensieri venne interrotta dal fluttuare rapace di uno spirito incappucciato e deforme.
    “Chi disturba le legioni di spettri dimoranti nella fortezza?”
    Era l’avatar di un vampiro che troppo a lungo aveva vagato nelle terre aride, mutando la sua natura in spettro divoratore di anime.
    “Un altro figlio di colei che vede…. ha abbandonato per sempre il mondo dei vivi?”
    Colei che vede doveva essere sicuramente il possessore dell’artefatto turelhim, dunque Sokorth era una femmina.
    “Il mio nome è Kaneel, progenie di Starghol, morto più di un millennio a questa parte ed ora giungo al tuo cospetto spettro per comprendere.”
    “Kaneel… progenie di Starghol… questi nomi non sono sconosciuti”

    In breve un nuovo spettro si aggiunse, forse attirato da quell’insolito vociare in una fortezza così silenziosa.
    “Non è uno spettro… invasore del regno dei vivi...”
    Era comprensibile che non riconoscessero un mietitore, dovevano essere spiriti antecedenti alla fondazione dell’alleanza.
    “Sono uno spettro invero, ma la mia natura di predatore delle terre aride per quanto simile alla vostra ne è profondamente antagonista.”
    i due fantasmi si erano posati al suolo con delicatezza, sembravano confusi sulla mia natura e si guardavano dubbiosi;
    “Il tuo aspetto ricorda i fasti della nostra gloriosa genia… ma sei presente in questo luogo di penitenza… forse dici il vero spettro difforme… anche se parli per enigmi... come un debole figlio del quintogenito”
    Cominciavo a spazientirmi, non avevo certo abbandonato Samah’el rischiando di trovarmi Void tra capo e collo per rispondere alle inutili questioni di quegli sciocchi spiriti.
    “Se anche rivelassi la mia natura non capireste, piuttosto sarebbe meglio per voi se rispondeste alle mie di domande
    I due spettri non sembrarono cogliere la velata minaccia dietro quelle parole, forse erano troppo sicuri di essere i predatori dominanti in quella fortezza.
    “Parla dunque… Kaneel progenie spettrale del patriarca”
    In realtà nemmeno io sapevo cosa avrei dovuto chiedergli per capire se il percorso di resistenza che avevo scelto poteva essere giusto rispetto a quello di Samah’el che tanto bramava gli antichi fasti.
    Così gli posi la domanda più banale che m’era balzata alla mente.
    “Il nostro clan è condannato a preservare la nomea di cani da guardia dell’imperatore? non vi siete mai resi conto di quale desolazione le gesta di Kain hanno provocato alla terra di Nosgoth?
    I due spettri parvero sconcertati da quella domanda.
    “Creatura intrigante… cosa sei diventato fratello se ti poni codesti inutili quesiti?!”
    “Mettere in discussione il proprio passato è forse più inutile che accettarlo senza remore?”

    Il primo fantasma che avevo interpellato cominciò ad avvicinarsi attirato dal suo consanguineo ribelle.
    “Kaneel… sì… ho frammenti di memoria che pulsano… e si chiedono… da quando futili dubbi umani pervadono l’orgoglio del pugno di Turel?”
    “Cos’hai detto?”
    sgranai gli occhi, istintivamente abbassai le orecchie mettendomi in posizione di guardia al sentire quel titolo onorifico.
    Il pugno di Turel, un altro degli epiteti di Starghol.
    “Non fui mai l’orgoglio di Starghol, la tua mente è lacerata da ricordi confusi spirito demente”
    Ma il fantasma non sembrava sentir ragioni.
    “Il figliol prodigo di Starghol… potente e rispettato consanguineo… spietato… ricordo… i tuoi compagni venivano atterriti dalla crudeltà con cui martoriavi i cadaveri dei nostri nemici… umani e vampiri”
    “MENZOGNE! non fui mai ne potente ne rispettato! ero lo scarto del nostro clan piuttosto, finiscila con queste bugie e rispondi alla mia domanda”

    Sguainai la mietitrice irato, come si permetteva quella carcassa incappucciata di infangare l’orgoglio che provavo per aver resistito all’essere una bestia come loro.
    “Un giorno però sparisti… senza lasciar traccia”
    Non mi accorsi che altri spettri erano giunti ad assistere.
    “La morte deve… deve aver fatto qualcosa ai… tuoi ricordi… sembri una sacca di sangue spaventata…parli come un traditore… come un debole...”
    Troppo tardi, gli spettri avevano infestato quel luogo e si stavano accalcando famelici.
    “INDIETRO O ASSAGGERETE LA MIA SPADA!”
    Una vuota minaccia,i vampiri abissali si mossero all’unisono come un’unica creatura, formando quella che per le menti più suggestionabili pareva essere una gigantesca mano trifida pronta a inglobarmi
    “Debole vuol dire cibo”
    Cominciai a sferzare i loro corpi con colpi di lama fantasma ma più che renderli inconsistenti e farli divorare dai loro stessi compagni rafforzandoli non potevo fare, era una guerra d’attrito che avrei perso. Decine di mani trifide tentarono di agguantarmi e strappare le mie carni spettrali, per quelle che ero riuscito a mozzare altrettante le sostituirono.
    Su una cosa non aveva mentito il vampiro, ero ancora troppo debole, decisi dunque di spostare la battaglia sulla cima del bastione, un gesto disperato che avrebbe solamente prolungato lo scontro senza garantirmi la vittoria, ma non avevo scelta.
    Le scale parevano infinite come i miei avversari che intanto avevano intonato una litania di morte nel tentativo di scoraggiarmi.Fendenti, affondi, artigliate e proiettili telecinetici, nulla sembrava scalfire quella fiumana spettrale e quando le scale finirono, troncate di netto da un crollo che sembrava coinvolgere le mura soprastanti, mi decisi a saltare per raggiungere il tetto di quel pinnacolo.
    Mossa sbagliata, riuscii ad agguantare una mattonella del pavimento crollato ma prima che mi potessi issare gli spettri mi avvolsero le gambe con le loro spire voraci.
    Provai con tutte le forze rimaste ma non riuscivo ad issarmi,i fantasmi dei miei consanguinei mi tiravano al suolo.
    gli artigli cedettero uno ad uno e presto mi trovai a resistere solo con un braccio che teso fino allo spasmo sembrava stesse per strapparsi, il dolore che provavo non era dissimile.
    Mi ero quasi rassegnato al fallimento quando una creatura dall’aspetto ittico volteggiò sopra la mia testa, non potevo credere che l’arconte mi avesse seguito fino a quel luogo, tenace abissale.
    Così le mie possibilità di spuntarla passarono da zero a meno uno o almeno così pensavo finchè non vidi l’arconte impattare con il duro carapace chitinoso su quella colonna di spettri che inesorabilmente cercava di trarmi a se, per smembrare la mia essenza; l’arconte con le poderose chele cominciò a mietere vittime come spighe di grano, spezzando e stritolando, schiacciando e divorando, completamente assorto nella sua furia animale, doveva aver pensato che i deboli spettri potevano essere un lauto pasto più di quanto potessi mai esserlo io.
    I fantasmi sciamarono come api impazzite, opponendo una futile resistenza e cercando inutilmente di combattere quella belva artropode.
    Quelli erano i fantasmi degli antichi turelhim che con tanta leggerezza m’avevano giudicato debole? Ah! Patetici.
    Issandomi finalmente sulla cima del bastione rinvenni un portale.
    Troppo debole per proiettarmi attesi di nutrirmi con qualche avanzo lasciato dall’arconte.
    “Spettro defforme… creatura ignobile… Scappi come un melchiahim e combatti come un Dumahim… dov’è finito il tuo orgoglio? Dov’è il tuo onore?”
    L’ombra di turelhim tentava ancora di affrontarmi a parole nonostante i suoi compagni fossero ormai condannati.
    “Sono ancora presenti in me, ma in una forma che la tua semplice mente non può comprendere”
    Lo spettro si scagliò su di me come una creatura irrazionale, lo trafissi con la lama senza difficoltà e assorbii la sua essenza.
    “Meschina creatura traditrice, possa il pugno di Turel banchettare con le ossa che sorreggono il tuo irresoluto cadavere”
    Furono le sue ultime parole prima di raggiungere la ruota
    Così ristorato mi proiettai nel regno materiale, lontano dalle chele dell’arconte e dalle menzogne dei miei consanguinei e per quanto riguardava Starghol, presto o tardi avrebbe risposto alle mie domande.



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    L’accoglienza era stata regale, quasi perniciosa nella sua sacralità. Se quell’accozzaglia di carne marcia di un mietitore mi avesse ritrovato in quella paradossale situazione cortese con quei corrotti si sarebbe dato volentieri fuoco, con grande felicità dei presenti e del sottoscritto per giunta.
    Nel nome dei grandi Clan, quel branco di turelihm avevano “stappato” le loro bottiglie migliori in una cerimonia di antico taglio. Come vacche al macello, erano stati appesi dei risoluti servitori di vampiri a cui avevano tagliato la gola, legato delle pesanti catene ai piedi e tirati su con argani da macellai, fin sopra il soffitto. il loro sangue sgorgava come cornucopie dalle carotidi squarciate, saturando l’aria di vapori vermigli che mi misero non poco appetito.
    Avevo sentito parlare di tali celebrazioni, avevo letto che i vampiri delle case nobiliari erano ad usi adoperare tali pratiche per omaggiare a ospiti facoltosi, addirittura alla luce del sole, sfidando apertamente il mondo degli uomini e la loro stessa natura. Ovviamente, solo i più antichi e potenti tra loro potevano osare tanto ma non era il gesto in se motivo di paura per gli umani, ma l’idea che quei vampiri antichi inculcavano nelle anime dei mortali; noi siamo Dei e non ci sarà momento, secondo, istante, in cui voi sarete al sicuro da noi.
    Sokorth Voce dei Morti si ergeva tra le colonne di sangue come una regina dei dannati nel mentre che i suoi consanguinei avevano posto sotto le fontane umane degli enormi otri di vetro per la raccolta. Quando anche l’ultima goccia di prezioso nettare andò a colmare con un tenero suono armonico l’ultimo otre, il banchetto ebbe inizio.
    Una per una, le coppe vennero colmate dalle mani della stessa Madre, con mia grande sorpresa, venni chiamato a bere dalla stessa coppa della Signora dell’Oltretomba;
    “Unisciti ai tuoi fratelli, figlio di Dumah, e bevi con noi. Insieme, festeggeremo l’unione dell’antico Concilio, aspetteremo l’alba e gemelleremo il patto che unirà nuovamente il nostro mondo.”

    Quel “...aspetteremo l’alba” proprio non mi piacque, al contrario di quegli orecchiuti figli di Turel, io non ero affatto protetto dall’antica maledizione che rendea la luce dell’astro mattutino assai….sgradevole.
    Mi limitai a fare buon viso a cattivo gioco e bevvi quel sangue che deliziosamente era stato lasciato decantare all’aria umida della cisterna. Quella pratica, che così sadica sarebbe parsa agli occhi del mio compagno di missione, aveva reso il nettare della vita assai più gradevole.
    Sorseggiai il nettare senza levare gli occhi da quelli rossi e ciechi della donna, decorati dai riflessi dorati della maschera. Decisi di provare prima la via diplomatica con quei corrotti così cordiali.
    Un carnefice accetta il banchetto offerto dal nemico,è uomo di cuore e orgoglio immenso,detta le condizioni e poi fa un massacro. L’assassino, invece, è un topo di fogna, viscido e silenzioso, neanche si spreca a parlare con il proprietario di magione, prima di tagliargli la gola, ed io non ero di certo nato assassino.
    Il Sussurrò la colse in un momento propizio, era intenta a rimirare i propri figli nel mentre che si provocavano a vicenda in sfide di forza e combattimenti rituali;
    “Le sono riconoscente….Voce dei Morti...per la vostra...calorosa accoglienza.”
    “Ne sono consapevole, Primogenito di Veive, così come so il perché della tua venuta.” disse girandosi verso di me “ Poiché quando un figlio di Dumah sente la necessità di discutere con qualcuno, non porta mai solo parole…”

    Dovetti dargliene atto, quella era una cosa che non necessitava di spiriti lungimiranti e profezie da oracolo per poterlo sapere.
    “Orsù allora, parla e chiedi, Samah’el Khan. Cosa vuole chiedere alla figlia del Guardiano della Tomba dei Saraphan.”
    “Porto con me...non solo la voce del Clan...ma quella di un guerriero...più potente.
    Avete attratto...l’attenzione di occhi….assai attenti. L’Alleanza….è su di voi...l’Ombra del Senza Cuore...è su di voi. Forse non conosci...il perché...della mia venuta...ma sai bene...qual'è il mio stendardo.”

    “Gli spiriti me lo predissero molto tempo fa, così come mi sussurrarono che non sarebbe giunto solo un Dumahim alle porte della mia magione…Dimmi, progenie del Grande Inquisitore, dove si nasconde la creatura azzurra che tanto ricorda i miei fratelli?”


    Quell’affermazione mi lasciò totalmente a bocca aperta. Ella sapeva, la Maschera dei Morti era ponte di comunicazione anche con i deceduti recenti. Forse, i turelhim massacrati per salvare le patetiche vite di quei mortali indegni le avevano sussurrato di noi. Nell’ubbidire agli ordini del Gelido, avevamo messo la testa sul ceppo del boia di nostra iniziativa;

    “Di lui...non mi curo.
    Da codardo...si comporta...e da codardo...è fuggito nel mondo dell’Oltre.
    Fuggito….forse per paura...forse per vergogna...o forse per semplice autocommiserazione.”

    “Non sei suo alleato, dunque?”
    chiese lei con tono assai sorpreso
    “Io rispetto il Clan...i Grandi Re...e la mia venuta...qui non ha nulla...da spartire...con le volontà...di quella creatura.
    Egli...non vede...il vostro glorioso passato….come retaggio da conservare….ma come piaga...da debellare.
    Forse tra due clessidre….da quelle porte ...o dal pavimento...o dalle mura….o sotto forma di cadavere...passerà...un mietitore...mandato dal Gelido...per massacrarvi senza pietà.
    Io sono qui...per darvi un ultimatum.”


    Sokorth si fece guardinga sempre più ad ogni mia parola finché non vidi l’ombra della paura dipinta sul suo volto. Con sottili schiocchi di gola, richiamò l’attenzione dei suoi uomini che lesti rizzarono le orecchie ed emisero lievi ruggiti. Consumai la coppa di sangue da solo, sarebbe stato un orribile peccato mandare in malora tanta abbondanza.
    Mi spostai di qualche passo e immersi nuovamente la coppa nell’otre di vetro colmo del sangue di una vergine color della neve;
    “In nome...dei Vecchi Re...vi propongo...un’alternativa...alla sconfitta.” sussurrai nella mente collettiva di quel pessimo alveare prima di tirare un’altra sorsata a quel divino nettare; quella sacca di sangue era davvero incredibilmente saporita.
    Mi scolai il bicchiere, alzando il dito per chiedere un momento a quella massa di trepidanti guerrieri in ascolto finché uno di loro non sbottò con un ruggito spazientito;

    “EBBENE?!” disse aprendo le braccia ma lo folgorai con lo sguardo nel mentre che prosciugavo quel nettare deglutendo rumorosamente ed asciugarmi la bocca con il dorso della mano;

    “Voi lascerete...nelle mie mani….la Maschera della Morte...abbandonerete questa sede…vi dirigete a Nord….e continuate...la vostra sacra crociata...da vivi.
    Oppure….combattete….morite...raggiungete i vostri avi….e vi farete raccontare ….direttamente dalle loro voci...com’era il mondo dei Grandi Re.”


    Come se avessi dato dei codardi a tutti con quella mia proposta, il branco ruggì, Mardok per primo si batté il petto con vigore strascinando uno zoccolo in terra con fare da toro imbufalito;
    “NOI NON CI PIEGHIAMO davanti alle minacce di un FIGLIO DI DUMAH!”
    “Le mie non sono….minacce….sono...promesse”
    risposi guardandolo con turpe sguardo; “Accadranno...entrambe le cose...sta a voi scegliere...se l’una...o l’altra…”
    “E tu saresti capace di far tanto, da solo? AH! Noi siamo più forti e più scaltri di te, la Voce dei Morti ci sostiene e gli Spiriti ci guidano!”
    “Buon per voi….”
    dissi annuendo e prendendo altro nettare dall’otre, osservandolo con viso gelido e sguardo scettico; “Se sei così...ben protetto….di cosa ti preoccupi.”
    “Resta il fatto che non ti faremo uscire da questa sala con le tue gambe.”
    “Curioso…Stavo per dirti…la stessa cosa.”


    Una luce bluastra si palesò da dietro le mie spalle, riportando alla luce un furente turelhim d’oltretomba che ruggì con nuovamente aria nei putrefatti polmoni come fosse stato il dio della guerra in terra. Le dimensioni gargantuesche che condividevamo diedero al tutto un effetto quasi demoniaco, cosa che vidi riflessa nei volti dei più giovani figli della Voce dei Morti. La vidi retrocedere, sfiduciata e atterrita, come se stesse invocando tutto il regno spettrale per benedire la sua causa e i suoi guerrieri. Mi guardai indietro, rimirando Kaneel appena risorto e sorseggiando il nettare divino ancora una volta prima di sussurrare nelle loro menti poche parole di biasimo, estraendo Void con molta cautela;

    “Vi avevo avvisato...”



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    Emersi dal regno spettrale per ritrovarmi davanti ad uno spettacolo a dir poco penoso, un manipolo di turelhim capeggiati dalla meretrice mascherata che serravano i ranghi impauriti alla vista dell’avatar della mia anima e Samah’el che sorseggiava un boccale ricolmo di sangue sotto gli occhi del nemico.
    “Per quale dannata ragione te ne stai lì seduto a ingrassare con il sangue di qualche povero villico invece di bagnare la tua scure nel loro di sangue?”
    Ringhiai adirato contro il dumahim, estraendo a mia volta la mietitrice.
    “L’ordine….non è massacrare…è di scacciare.” rispose nella mia mente per poi guardare i turelhim e fare spallucce come a voler dire “ve l’avevo detto” e rimettersi a bere.
    Ecco, ci mancava solo una lezione di semantica da parte di quel vampiro putrescente.
    “Puoi rimanere lì a filosofeggiare sulle parole di Rekius quanto vuoi, intanto io recupererò la maschera e la sbatterò in faccia al tuo signore raccontandogli di come un mietitore ha portato a compimento una missione mentre un suo servitore ha preferito trastullarsi con un calice di sangue, che ne dici?”
    Dopo aver pronunciato quelle parole ardite, incurante della reazione di Samah’el, balzai sul tavolo scagliando un proiettile di materia perforante dritto nel volto del turelhim più vicino, la ferita ovviamente non lo uccise ma ci sarebbe voluto qualche tempo prima che potesse rigenerarsi.
    Un altro turelhim balzò anch’esso sul tavolo per affrontarmi corpo a corpo, era un vampiro possente e gli occhi vermigli non lasciarono alcun dubbio sulla sua anzianità, avanzai verso quell’ammasso di muscoli che di poco superava la mia statura brandendo la lama fantasma, pronta per un potente affondo, ma il corrotto, ringalluzzito dalla battaglia, riuscì a schivarlo abbassandosi e approfittò di quella posizione per darsi un poderoso slancio, conseguendo un violento placcaggio che ci fece finire entrambi oltre il tavolo.
    Nonostante il suo peso mi schiacciasse e la sua forza fosse superiore di molto alla mia riuscii a liberare un braccio e a piantargli gli artigli nel costato.
    Non era una ferita ne letale ne profonda ma abbastanza dolorosa da spezzare la presa del corrotto permettendomi di sferrargli un violento diretto sul mento che ricambiò con un affondo sul petto che non potei schivare.
    Il possente braccio dei turelhim mi spezzò il fiato e minacciava di trapassarmi da parte a parte se non lo avessi fermato, intanto con l’altro era pronto per scagliare un proiettile telecinetico che di sicuro mi avrebbe sfondato il cranio.
    Evocai la mietitrice fiammeggiante e trapassai la trifida mano circondata da materia compressa, la materia incanalata in un colpo letale venne rilasciata in malo modo generando un contraccolpo che slogò il braccio del vampiro.
    Nel mentre egli ruggiva iroso sfruttai il momento e ribaltai le nostre posizioni, afferrai il braccio del vampiro che mi stava spaccando il petto e con entrambe le mani lo estrassi seccamente, poi rapidamente gli ghermii la faccia con gli artigli e lo tirai giù, perforandogli la gola con la mietitrice e affondando fino a poterla toccare con le dita, fino a poterla strappare con le mie stesse mani. agevolando la lama nel suo compito.
    La testa cadde lentamente al suolo gorgogliando, divorai in fretta l’anima del turelhim prima che le terre aride mi reclamassero.
    Il giovane che avevo trafitto con il colpo cinetico si era messo a ingurgitare uno dei cadaveri appesi per agevolare la rigenerazione, lo attirai a me tramite la telecinesi e ne perforai le carni con la mano trifida, raggiungendo il cuore e strappandoglielo dal suo loculo di carne e ossa.
    Da parte sua, Samah’el Khan aveva continuato a bere e parlare nella mente della corrotta come se niente stesse succedendo. Sembrava non aver dato peso alle mie parole e la cosa mi dava assai sui nervi. Davvero non avrebbe mosso un dito per aiutarmi?
    Si decise a menar le mani solo dopo che uno di quei corrotti gli andò addosso con gli artigli sguainati e la furia del Clan in corpo. Quell’irrispettoso bastardo prima gli spaccò il calice sul viso, poi sputò il sangue che stava deglutendo in faccia al turelhim, per disorientarne le sensibili narici. L’orripilante lingua dentata guizzò come un serpente in agguato per lacerare i tendini della mano destra dell’avversario nel mentre che si portava le mani al viso e poi gli menò di due pesanti pugni all’altezza delle orecchie sfolgoranti di rossastra energia stordente, sfondandogli i timpani.
    Cieco, sordo e privato dell’olfatto.
    Rimasi colpito da tutta quella crudeltà, era come se il vampiro lo avesse praticamente isolato dal mondo con due mosse….come se lo avesse chiuso in una tomba senza sensi.
    Angoscioso...
    Fatto ciò, si limitò ad afferrare Void con ambo le mani e a falcidiare di dritti, rovesci e un feroce montante il corrotto davanti a se. Confuso com’era, quel povero diavolo dovette soccombere alle pesanti mazzate che cercava di parare con le braccia, autoinliggendosi ferite mortali e perdendo gradatamente entrambi gli arti sotto i potenti fendenti di quel che sembrava essere un taglialegna che aggredisce un ciocco, tanto era la sua metodicità nel colpirlo.
    Non era morto, ma era sordo e tanto ferito che un soffio di vento avrebbe potuto ucciderlo.
    fatto ciò, Samah’el Khan afferrò lo scudo torre e si rimise a dialogare con quella megera dalla maschera mortifera. O per meglio dire, io sentivo solo le urla di risposta di Sokorth e dalle sue parole immaginavo cosa il Cavaliere le stesse sussurrando.
    Che razza di grosso idiota. Perché diavolo non usa quella disgustosa lingua oblunga e parla come tutti.

    Ella retrocedeva, con gli artigli sguainati e la furia negli occhi. Tuttavia, sembrava davvero più intenta a salvarsi la pelle e ad osservare i suoi figli, piuttosto che incentivata a combattere. Come la cagna codarda che era, si voltò e tentò la fuga ma il Dumahim le impedì il passo mutando in una flebile e rossastra nube di morte, passandogli praticamente attraverso e riformandosi davanti a lei.
    Dalle risposte isteriche che dava la Turelhim, sembrava quasi che Samah’el Khan le stesse intimando di darle la maschera e andarsene da li.
    Stolta sanguisuga, davvero pensava che glie l’avrebbe lasciata senza combattere?
    Altri due Turelhim gli andarono contro , tentando di placcarlo da due diverse direzioni: il primo impattò contro un manrovescio tirato di scudo mentre l’altro venne allontanato da un lampo cremisi dal nucleo ombra che da prima lo immobilizzò in un’elettrocuzione violenta e poi lo scagliò dritto contro le pareti della camera, in una roboante esplosione.
    Il primo si rigettò addosso al bersaglio dopo essersi tenuto il naso sfondato da quella sottospecie di saracinesca di bastione. Il cavaliere si acquattò nel momento esatto in cui gli artigli del turelhim gli si stavano per chiudere addosso, riparandosi al di sotto di HellGate. Tanto si era accucciato sotto quello scudo torre che il Turelhim inciampicò e cadde sopra la fredda superficie d’acciaio ribattuto. Samah’el Khan proiettò con incredibile forza il corrotto sopra di lui usando lo scudo come piano d’appoggio, e abbattendolo di prepotenza contro il trono di crani.
    Il Cavaliere di Ferro tornò allora a rimirare la strega tendendole una mano, non so quali parole adoperò perché quel che avvenne ebbe luogo, fatto sta che la Voce dei Morti, la Grande e Gloriosa Figlia del Guardiano si tolse la maschera, rivelando il volto atterrito e la lanciò al Dumahim, per poi darsi ad una codarda fuga dalla porta principale…..e Samah’el non fece nulla per ucciderla o fermarla.
    Sul volto aveva dipinto l’espressione della vittoria...insopportabile gigantesco bastardo.
    Come se non bastasse, si voltò a guardarmi, muovendo la maschera nella mano come se mi ci volesse salutare, mentre io ero ancora intento a menar le mani con quei corrotti.
    La cosa che più mi irritò non furono tanto le provocazioni del dumahim quanto la schifosa viltà di quella turelhim,
    Turel sarebbe mai fuggito? Starghol sarebbe mai fuggito? Io sarei mai fuggito? Ovviamente la risposta poteva essere solo un no lapidario, che creatura ipocrita e infima. Come avrebbe potuto far risorgere un clan di feroci combattenti sprezzanti del pericolo se al primo nemico capace di difendersi se l’era fatta nell’armatura? I turelhim di questa nuova epoca erano davvero degli sciacalli senza onore rispetto a quelli che mi ero lasciato alle spalle cadendo nell’abisso, perfino quell’ombra di corrotto sulla torre aveva ricalcato gli antichi fasti fronteggiandomi a viso aperto nonostante comprendesse la mia superiorità.
    Rivolsi nuovamente la mia attenzione al dumahim, quel demente si era messo a giocare con quella chincaglieria e aveva lasciato che la pusillanime abbandonasse lo scontro.
    “L’hai fatta scappare!” gli urlai con rabbia.
    “Tappati ...la bocca.” sussurrò lui ” Cos’è...che avresti battuto...in faccia...al Senzacuore?
    Meglio…se starai zitto...in futuro...Farai una figura….migliore.
    Andiamo ora….la missione è conclusa….la maschera...è nostra”
    disse, osservandola con bramosia.
    “La missione non è finita finché non lo dico io, dobbiamo uccidere Sokorth o potrebbe minacciare ancora i villaggi!”
    Gli urlai fuori di me, era chiaro che gli importasse solo della maschera ma doveva capire che Sokorth sarebbe potuta tornare con un nuovo manipolo di suoi compatrioti per vendicarsi sulla popolazione e allora tutta la nostra fatica sarebbe andata sprecata.

    Con un gorgogliante suono deforme, il balordo rise. Rise così tanto da farmi venire i nervi per poi depositare ancora una volta le uova del suo pensiero corrotto nel mio cervello, adoperando il ricordo della mia stessa persona nel mentre che gli ruggivo contro la prima volta, alla catapecchia;
    “Il tuo aspetto e i tuoi modi di fare parlano per te...dovrei forse credere… che ti preoccupa davvero per la sorte di qualche villico ...che non esiterebbe a impiccarti sull’albero più vicino ...se ne avesse l’occasione.

    Tu...non comandi ...non decidi ....e vali niente.

    Sokorth non potrà...dare più fastidio...a nessuno.
    Si è dimostrata….una codarda….e come tale...verrà stornata...dal Clan di Turel..e non punzecchierà più….il leone che dorme.
    Non ha avuto...il fegato di morire...per la sua causa…
    Ha capito….l’antifona...e non si farà ammazzare….di certo stanotte.
    Ricorda….la missione...Kaneel Figlio del Niente…
    Fermare scorribanda...in villaggi limitrofi
    Scacciare il clan dalle rovine...ma soprattutto ...riportiate indietro la reliquia... di Sokorth.
    Che c’è...Hai forse perso….i principi...che ti rendevano... tanto migliore di me...e di loro?”
    sussurrò sarcastico nel mentre che continuava a ridere di me con quella sua gutturale e sgraziata risata da belva;
    “Se pensi di vedere del virtuosismo in me ti sbagli vampiro e se credi che quella vigliacca non tornerà alla ribalta solo perché gli ha mostrato come muore un turelhim ti sbagli due volte.
    Sarà anche fuggita come un coniglio spaventato ma i suoi figli si sono battuti con coraggio e tu dall’alto della tua sedicente lungimiranza pensi che non tornerà con altri figli pronti a morire per lei? sei più stupido di quel che pensassi, io voglio finirla ora e per sempre.”

    “Se hai tanta voglia….di sangue...corrigli dietro...e vattela a prendere.
    Un vescovo....senza tonaca...è solo...un uomo.Nessuno...lo ascolta.
    Il suo carisma...è venuto meno...il suo mezzo di comunicazione...con i morti...lo ha perduto.
    Lei...non vale più niente...ed io..non perderò tempo...dietro ad una nullità...che fugge davanti...alla morte.
    Ora...muovi le gambe...e andiamo.”
    sussurrò mentre si incamminava verso l’uscita.

    Quel gesto così perentorio quasi mi fece perdere le staffe totalmente, chi era lui per decidere se e quando la missione si sarebbe conclusa, il suo grado non significava nulla per me e i suoi poteri per quanto terribili non potevano danneggiarmi permanentemente, non aveva niente per far valere le sue ragioni.
    “No! non me ne andrò lasciando quella meretrice in vita solo perché un vampiro è troppo pigro e flaccido per andargli dietro, puoi interpretare gli ordini di Rekius come vuoi mezzosangue ma se lascerai andare quella turelhim la missione non sarà affatto completa!!”
    “Poppante ...hai bisogno della balia? Vai...e non seccarmi oltre.
    Io...torno al Crocevia...e la maschera...viene con me.
    Ne ho avuto... abbastanza...delle tue panzane...da Turelhim prima donna.”
    sussurrò, infilando la maschera nella scarsella e riponendo scudo e ascia,palesandomi per l’ennesima volta quanto piccola minaccia rappresentassi per lui;
    “Vedo che non hai disatteso il retaggio della tua genia, idioti senza cervello, come quel maiale da ingrasso di Dumah,come ti fa sentire sapere che è stato impalato al suo stesso lordo trono e poi divorato da un mietitore? il possente Dumah vittima di un gracile fantasma e deve essere proprio fiero il tuo genitore vampiro nel vedere che ciò che conta per te è il relitto di un altro clan, stai forse pensando di passare sotto il vessillo di Turel?”

    Il gigante si fermò di colpo.L’ascia al suo fianco si accese di fiamme eterne,tanto roventi da illuminare quel luogo cupo e umido. Gli occhi caprini sbarrati nel gelido viso che, lentamente, si voltò nell’osservarmi in uno sguardo che trascendeva l’ira e avrebbe potuto svilire il più demoniaco degli dei dell’odio. Dovevo aver toccato un tasto particolarmente sensibile.
    “E tu? Sei mai stato...un VERO turelhim?” sussurrò con echi di furia assassina, piantando le gambe in terra con un tonfo secco. Le mani erano chiuse a pugno e grosse vene correvano sul collo in tensione “Sei mai stato….qualcosa...di più….di una nullità….o sei buono solo….a dire castronerie?
    Deve essere per la tua stoltagine….che Rekius ti tiene...a casa sua.”

    Istintivamente indietreggiai pronto a sguainare la mietitrice, inconsciamente non aspettavo altro che il vampiro facesse la prima mossa, desideravo che fosse lui a compiere il primo passo.
    “Io sputo sui clan e sputo su questa patetica alleanza, io sono quello che l’epoca che tanto ambisci a rivivere ha prodotto, stai criticando lo stesso operato di quegli anni di demenza, stai criticando ciò che stupidamente vuoi diventare, un altro signore dei clan il cui nome verrà dimenticato e sui cui fango verrò gettato, pensi di essere meglio di Sokorth, ho brutte notizie per te, non lo sei”

    Una stretta di acciaio stritolò il braccio che teneva la mietitrice mentre una carrozza di cavalli al galoppo mi investì in pieno viso, sotto forma di pugno.
    Come un pistone di meccanica fine e potente, il colpì in volto altre due volte prima di fracassarmi i denti e farmi indietreggiare, lasciando libero l’altro braccio dalla morsa.

    “Io vedo solo….un poppante….che ha avuto l’immeritata fortuna..di vivere la storia...facendo l’obiettore di coscienza...con il sedere al caldo in un epoca di Re.
    Tu….non sei quell’epoca…non lo sei mai stato.
    Pigolante….e tremebonda femminuccia...che mille rimorsi...masticava in un angolo...mentre i suoi Padri...combattevano in guerra.
    Patetico….Che vergogna….per Turel...sapere...di avere tale discendenza.
    Tu sei come lei….codardo...incapace di ammettere... la tua stessa storia.
    Tu...sei...ed eri...solo un mellifluo...chiacchierone...femmineo.”

    Sputai quei mozziconi di denti che i pugni demolitori del vampiro m’avevano spezzato, la vista del mio stesso sangue ceruleo che fuoriusciva copioso e le parole arroganti del dumahim ottennero ancora una volta il risultato di farmi perdere la ragione.
    Balzai in piedi sfoderando la mietitrice e le feci compiere una traiettoria obliqua dall’alto verso il basso dritta sull’orrido cranio di quel bastardo corrotto
    “MI dai del codardo? C'è voluta tutta la mia forza di volontà per non piegarmi ad essere una bestia come te mostro schifoso e ora assaggerai quella forza”
    La mietitrice lasciò una scia di mortifera luminescenza nell’andare a colpire il mio bersaglio che però, con mia somma insoddisfazione, si trasmutò in nebbia e sparì solo per riformarsi dietro di me e darmi un poco rispettoso calcio nei fondelli, sbilanciandomi in avanti;
    “Vedo….e che risultato...hai ottenuto? Attacchi….ti muovi...parli...ruggisci all’orgoglio...come una vampira. Ipocrita….e patetico.”
    Quegli occhi caprini pieni di scherno erano su di me come un macigno, glieli arei fatti magiare, avrei divorato la sua anima mentre il suo corpo in fiamme mi avrebbe pregato di risparmiarlo.
    “Ho ottenuto che posso scegliere cosa essere e cosa fare secondo la mia volontà e ora scelgo di strappare l’anima dal tuo cadavere”
    “Hai scelto solo….di essere niente.Prima ...ragli all’orgoglio del clan…Poi...mastichi di salvare innocenti…Poi...te lo rimangi…e in fine...sputi su ciò...che proteggevi alla Cattedrale delle Ceneri.
    Kaneel è confuso….Sceglie senza pensare.
    Vuoi ...la mia anima?...Prenditela...se vuoi...o piantala...di blaterare.
    Sei come...Tiziel….vi date solo arie. Mietitori…..tutti uguali...Sapete solo parlare…e giunti ai fatti...non avete fegato..ne spina dorsale..per far valere anche solo una...delle vostre dorate idee.
    Faccio quello….faccio questo…e poi...vi fate prendere..a calci...nel sedere.
    Stupido….Ipocrita...Codardo... Patetico.
    Ti rimanderò...nel regno spettrale...con le mie sole mani.”

    “Figlio di una cagna”
    Voleva combattermi disarmato, tanto meglio, ero ansioso di scoprire come avrebbe parato una selva di proiettili telecinetici senza il suo amato scudo.
    Tesi il braccio sinistro in avanti e diedi libero sfogo al mio potere telecinetico in un globo di impalpabile energia violenta ma qualcosa la rispedì indietro con mia grande sorpresa. Una impalpabile forma di energia avvolgeva il corpo di quel corrotto;
    “Codardo...usi energie a distanza...in una lotta a mani nude. Con chi credi ...di combattere.
    Non sono un corrotto…ne un putrido mortale. IO SONO ...IL CAVALIERE DI FERRO!”

    Schivai il mio stesso colpo appena in tempo e tentai nuovamente di attaccarlo con altri colpi per intenerire quella dannata barriera ma niente; i colpi tornavano sempre indietro e nel frattempo lui avanzava.
    Non disse ne aggiunse nulla, si limitò a caricare i pugni di energia rossastra per potermi percuotere. Aveva detto che lo avrebbe fatto con le sue stesse mani e, a quanto pareva, i suoi doni oscuri offensivi a distanza non erano compresi in quella specie di rissa.
    Avrei voluto rinfacciarglielo ma fui troppo occupato a schivare quegli artigli intrisi di magia, se da un lato l’essere diventato un mietitore aveva ridotto la mia forza e resistenza dall’altro aveva aumentato la mia agilità e nonostante una certa fatica riuscii a schivare quei montanti, ganci e diretti che sicuramente se mi avessero colpito m’avrebbero spezzato tutte le ossa del corpo. Quando il dumahim caricò un altro devastante gancio, riuscii ad abbassarmi e passare sotto il colpo per poi sbucare in faccia al vampiro e assestargli una violenta testata. Il vampiro la prese dritta sul naso, come un muro riceve un pugno da un uomo carico d’odio, poi mi fissò, serio e pacato, sorrise e mi restituì una testata dritta in mezzo agli occhi, carica di quell’energia che riluceva intorno ai suoi pugni, tanto violenta da lasciarmi stordito. Fu come ricevere una capocciata dal capo cornuto di un toro in carica.
    Approfittando del mio essere confuso, mi afferrò per il collo e tempestò il mio volto di pugni rilucenti di stordente energia finché non sentii le ossa della mandibola frantumarsi sotto la violenza di quei colpi, calibrati per lasciarmi sempre costantemente stordito ma ancora nel regno materiale.
    Le braccia di acciaio mi stritolarono il collo, una mano bifida mi quasi aveva totalmente afferrato il volto, chiudendomi la bocca e impedendomi di parlare mentre l’altra si era piantata con artigli di aquila dietro la nuca, bloccandomi la gola tra i due avambraccio. Tentai di fare leva sfruttando la mia mole ma il corpo del mietitore non era quello del mio alterego vampiro e la forza del cavaliere era inarrestabile. Lo sentii chiaro e tondo, i muscoli che gli si gonfiavano di potenza, le vene che pompavano sangue, i tendini tesi; voleva spezzarmi il collo. Prima di farmi sprofondare nel regno spettrale con una torsione violenta delle mani, quel dannato corrotto mi sussurrò ancora una volta nel cervello:
    “Kaneel…Novizio mediocre…Rekius il Gelido…piangerebbe… nel vederti così. VERGOGNA!”
    “Lasciami subito, dannato animale!”
    ruggì sputando sangue nel tentativo di liberarmi ma la sua stretta era potente.
    “Kaneel non sarà mai…nulla di più...di una montagna di carne mediocre…finché non metterà ordine…nella sua anima. Non può essere…turelhim…mietitore…e umano virtuoso…al contempo. Puoi essere solo una di queste cose…quindi scegli chi sei…e smettila di latrare…come una cagna in calore.”
    “Sei morto, corrotto maledetto! Ti sbranerò il cuore!!”
    sentii la stretta serrarsi e strangolarmi ancor più forte, mi aveva tirato talmente indietro che non toccavo più con gli zoccoli.
    “Puoi darmi del corrotto …e del mostro…tutto il tempo che vuoi…almeno fatti il favore...di urlarlo solo a me…e non a te stesso.” Le mani strinsero ancor più forte il mio cranio, potevo sentirne gli artigli quasi spaccarmi le ossa del collo;
    “Samah’el Khan…Cavaliere di Ferro…Sono dumahim…Ho un Clan…e seguo i dettami della Cattedrale di sangue. Kaneel…Rifiuta il Clan…Rifiuta l’umanità…Rifiuta i dettami…della Cattedrale dell’Anima...e dell’Alleanza.
    L’idiota mezzo sangue vampiro… ha tutto…
    Il sedicente vendicatore mietitore… ha nulla.
    SEI UNA VERGOGNA…per Turel…per i mietitori…e per l’Alleanza. Patetico…e mediocre… Scegli un partito…o levati di torno.”
    E mentre finiva di proferire quelle amare parole, con un rapido movimento delle braccia possenti mi spezzò il collo come fosse stato un giunco.

    Non fu per il dolore provocato dalle vertebre che si spezzarono sotto la pressione esercitata dai muscoli del dumahim, ma fu piuttosto l’ammettere a me stesso che avesse ragione a farmi impazzire di rabbia.

    “DEBOLE!DEBOLE!” Cominciai a scaricare la frustrazione sulle inamovibili pareti di quella stanza eterea.
    “CONDANNATO!” Parole sconnesse uscivano dalla mia gola spettrale, la mia mente era sul punto di cedere alla follia.
    “MALEDETTO BASTARDO!” Il dumahim era forte perché forti erano le sue convinzioni mentre io debolmente cercavo di prendere quanto di più comodo per me stesso c’era nei dettami dei tanti vessilli sotto il quale ero vissuto.
    “RIFIUTO TUTTO!”Ma rifiutando tutto stavo rinunciando ad essere qualcosa, un immortale senza niente per cui combattere non è forse più inutile di un cadavere?
    “NO, NON POSSO!”Sì che potevo, potevo scegliere cosa essere, per quale causa avrei immolato la mia esistenza, potevo dare un senso a tutta quella follia che albergava nella mia anima.
    “COME POSSO SCEGLIERE UNA REALTÀ SENZA ENTRARE IN CONFLITTO CON LE ALTRE?” Samah’el ci era riuscito apparentemente, ma la nostra differenza stava nell’assurdo fatto che io ero riuscito a conservare una parte di umanità.
    O forse mentivo a me stesso per credere di aver sempre avuto una seconda possibilità o in questo caso una terza.
    “STARGHOL!”Gridai quel nome con rabbia, era stata colpa sua, tutta colpa sua.
    O forse anche quella era una menzogna che mi ripetevo per non ammettere di non esser riuscito ad abbracciare il mio destino.
    Forse nemmeno esisteva, forse era solo un parto della mia mente malata.

    “Sto… Sto impazzendo?” sussurrai, non avevo niente tranne l’orgoglio personale che stava a poco a poco scemando e come se non bastasse ora veniva messo in discussione anche il mio passato.
    Dovevo scegliere.
    “Ti ho deluso madre” umano non sarei mai potuto essere, l’inciviltà del mio retaggio era innegabilmente in me.
    “Ti sto tradendo Rekius” Mietitore? forse, ma essi vivono d’un virtuosismo che non mi appartiene, per quanto tenti, per quanto cerchi di capire le loro ragioni non riesco a rispecchiarmici.

    L’alternativa poteva essere una sola, terribile,ingiusta, ipocrita e mi avrebbe distrutto sino alle fondamenta della mia anima.
    Prima di prendere la decisione fatale avrei dovuto incontrare nuovamente il mio genitore vampirico, lui sicuramente avrebbe saputo la verità sul mio passato, passato che fino ad ora avevo dato per scontato.



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    Quella lurida carcassa era sprofondata nel regno spettrale. Un sorriso appagato e uno sbuffare taurino sottolineò la mia soddisfazione. Finalmente, ero rimasto da solo con quella risorsa dorata che valeva molto più del materiale di cui era composta. Mi portai fuori da quel tugurio prima di decidermi a provare la potenza di quell’artefatto. Senza indugio e con incredibile solennità, indossai la maschera e chiusi gli occhi, in trepidante attesa di poter parlare con i miei antenati….ma quel che vidi non lasciò scampo a nessuna supposizione ulteriore. Per un momento fu come se sprofondassi nella pece e quando li riaprii, vidi intorno a me una festa di spettri. Volteggiavano come ombre senza scopo, alcuni urlavano senza produrre suoni, altri tentavano goffamente di nuocermi, senza riuscire a scalfire il mio corpo fisico. Tentai di attrarre la loro attenzione ma era come se non mi potessero ne sentire ne udire. Rimasi totalmente basito a tale spettacolo, tuttavia, lo stupore cedette il passo allo sconforto più nero: quell’oggetto era solo utile per manifestare i fantasmi presenti e non i Grandi Re...
    Con la delusione negli occhi, osservai quell’artefatto e capii come quella maledetta di Sokorth avesse potuto tanto.
    Non parlava affatto con i morti…era solo molto informata su di un epoca di cui sapeva praticamente tutto, i serventi che aveva immolato nel gioco dei troni non dovevano essere gli unici. Probabilmente, aveva spie ovunque, spie con occhi migliori dei suoi e orecchie assai più fini e abili nel captare informazioni dai mortali. Con assoluta certezza, potevo affermare che conosceva me e la mia genia solo per fama della mia Genitrice Veive.
    Quel dannato blocco di sformato minerale non aveva alcun potere divino, era stata lei che con il suo sapere aveva abbindolato le menti dei più corruttibili con promesse di gloria proveniente dall’aldilà. Sokorth aveva avuto solo la brillante idea di dare speranza a dei turelhim, raccontandogli balle sui suoi poteri e unendoli sotto un’unica bandiera. Aveva atteso che i suoi seguaci morissero tutti sotto i nostri colpi per poi darsela a gambe. Succubi e servi di un abile ragno.
    I morti non conquistano, nutrono solo i vermi.
    Notevole, per la testa dura e il cervello marcio di un corrotto, davvero notevole. Mi sorprese comprendere quanto scaltri potevano essere i Turelhim. Se mai ci fosse riuscita, quella vampira mi avrebbe fatto di molto comodo anche se, li per li, avevo solo una gran voglia di sfondarle la faccia a cazzotti. Avevo solo perso tempo…
    Che notte sprecata.
    Misi furiosamente la maschera nella scarsella, ruggendo alla notte la mia frustrazione e mi incamminai via da quelle rovine dannate e menzognere.
    Masticavo sangue misto a bestemmie tra le fauci, ero pronto a far fuori chiunque mi avesse anche semplicemente consigliato una via più rapida per andare da qualsiasi parte.
    Di umore più nero non mi ero mai sentito…e in quel momento, a metà strada tra il Crocevia e le rovine,il mietitore turelhim si palesò davanti ai miei occhi.
    Non avevo alcuna voglia di sentire le sue castronerie da eterno indeciso, rincanalai i miei Doni Oscuri nei pugni per rispedirlo da dove era venuto ma Kaneel fece un passo indietro ponendo le mani in avanti come se volesse dire qualcosa che non mi avrebbe provocato;

    “Aspetta!” ragliò prima che il mio pugno caricato gli si fermasse a poche dita dal suo volto.
    “Se hai qualcosa...da dire..pesa le tue parole.”Lentamente, ritrassi l’arto ma senza disperdere il potere evocato. Attesi che quel dannato facesse, se avesse detto qualcosa di troppo, lo avrei rispedito a calci nel sedere nell’oltre mondo.
    Con voce assai stentata e riluttante, sussurrò a mezza bocca poche parole;

    “Non posso credere a quello che sto per dire…ma….mmf….hai ragione”
    “Lo so….bene.”
    sussurrai con furia e molta poca pazienza.
    “Non ti illudere, sei stato solo un’altra voce che ha confermato ciò che in cuor mio sapevo già ma cercavo di rifiutare.”
    “Non mi importa…Rimetti in discussione…la mia genia…e il mio rango…e ti sotterrerò…ogni volta che ne avrò la possibilità…”

    Il pipistrello redivivo fuorimisura si limitò ad annuire lievemente, oltrepassandomi con passo solenne, rimanendo a contemplare i ruderi di quell’antica fortezza costruita dalla sua stirpe, poi aggiunse;
    “Avrei una richiesta” sussurrò con voce molto poco rassicurante;
    “Parla…”
    “Dì a Rekius …di non preoccuparsi e che tornerò, per quello che gli importa.”
    l’ultima frase l’aveva detta sottovoce ma abbastanza perché la potessi sentire.
    “So com’è fatto…il Gelido….Gli importerà.
    Fa come ti pare….Hai smesso ...di essere un mio problema...per stanotte.”

    Detto ciò mi dileguai in una nuvola di piccoli colibrì cremisi, con la chiara intenzione di raccontare tutto l’accaduto a Rekius.
    Non avevo affatto dimenticato il mio precedentemente fissato appunto mentale.
    Quel mietitore mi aveva attaccato, remando contro fin da principio, sputato sul mio grado e la mia persona, sull'alleanza e su tutto ciò che lo stesso Gelido stava pateticamente cercando di costruire.
    Stima e rispetto, diceva...AH!

    Ora so cosa davvero stanno sobillando quei vili bastardi.
    Sono senza onore, senza spina dorsale e pronti a scannarti alle spalle.
    Non ci si può fidare di loro.
    Mai...
     
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    Epilogo per la missione La Maschera dei Morti


    Con mio malcelato stupore, Samah'El ritornò da solo.
    Aveva uno sguardo visibilmente truce, come di chi ha troppo poco tempo per perdersi in chiacchiere. Con un unico movimento, mentre mi si avvicinava ad ogni passo ed io l'osservavo al di sotto della statua di Raziel, estrasse un oggetto dalla sua borsa da viaggio e lo lanciò ai miei piedi.
    Vidi la maschera scivolare sul marmo, roteando fino a fermarsi davanti a me.
    Curiosamente, sembrava quasi che qualcosa mi guardasse attraverso quei fori per gli occhi... I riflessi del pavimento mi giocarono un brutto scherzo.
    Fulminai il Vampiro con uno sguardo, riferendomi ai suoi modi.

    “Tieni... il tuo nuovo giocattolo...”
    Ignorai la sua provocazione. Non avevo intenzione di assecondare ancora il putrido sobillo di un idiota.
    “Dov'è Kaneel?”
    A quella domanda sentii un fragrante gorgoglio provenire dalla gola di Samah'El, che rise, a modo suo.
    “Il tuo vecchio giocattolo...Non tornerà. Per il momento... Deve capire. Per quale vento...spiri la sua bandiera...”

    Senza più alcun freno alla mia rabbia il mio corpo scattò di volontà propria. Due falcate così rapide come mai avevo avuto l'ardire di compiere mi avvicinarono all'energumeno. Contemporaneamente due rivoli di ghiaccio presero a vorticare dal pavimento salendo, salendo fino a creare dei ceppi ai suoi lati che bloccarono a mezz'aria i suoi artigli. Un terzo nodoso e contorto ramo gelido si produsse alle sue spalle, cinse il suo collo, gli fermò la gola.
    Sentii un ruggito strozzato.
    Invocai la Mietitrice d'Acqua e la puntai alla giugulare del Vampiro.
    “Se scopro che la tua corrotta lingua da serpente ha fatto qualcosa ad un mio compagno, farò in modo che ricorderai per sempre questo giorno.”


    Poi quella visione lentamente abbandonò la mia mente, cedendo il passo ad una più conciliante sensazione di preoccupazione che mi riportò alla realtà.
    “Cos'è successo?” chiesi.
    “Stima...rispetto... appartenenza... La tua pedina deve riscoprirne...il significato... Fino ad allora, vagherà.”
    Con un ghigno mi voltò le spalle, facendo per andarsene.
    Feci per recuperare la reliquia dal terreno, quando sentii ancora una volta il pensiero di Samah'El provare a bussare alle porte della mia materia grigia.
    Assecondai la sua richiesta, accogliendo le sue parole...

    “Mi ha chiesto di avvisarti... per quello che potesse importarti. Ripostogli...che ti sarebbe importato...”
    Rimasi colpito dall'inaspettata mozione di coscienza del Vampiro. Che iniziasse a manifestare una parvenza di fiducia...?
    Poi il silenzio.
    Rimasi solo, nella penombra, a fissare la Maschera dei Morti.





    Premio per questa missione di Kaneel e Samah'El

    Kaneel riceve.... :cavaliere: Level Up!
    Congratulazioni, da ora sei un Cavaliere!
    ed in più...
    :mietiaria: Impregnatura d'Aria!
    CITAZIONE
    FORGIA D'ARIA
    Permette di camminare senza rallentamenti anche nei terreni fangosi e rende il portatore più leggero, effettivamente aumentando la distanza di planata o la capacità di volo. I proiettili telecinetici hanno un alto potere distruttivo.

    Skulk, tu dovrai attendere momentaneamente che un Vampiro ti assegni un premio. Non temere comunque, sono tutti al lavoro :)
     
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15 replies since 6/6/2014, 15:33   970 views
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